Giuseppe Flavio
Vita Nato a Gerusalemme nel 37/8 d.C. da famiglia ebraica di rango sacerdotale Giuseppe (ebr. Josèph) si distinse negli anni della sua giovinezza negli studi della cultura del suo popolo. Nel 66/7, allo scoppio della rivolta giudaica contro Roma (vd. sto → Giudaica, Guerra), fu tra i capi dei rivoltosi organizzando la difesa della fortezza di Iotapata. Nel 67, però, caduta la fortezza e portato prigioniero alla presenza dei capi Romani, predisse a (sto →) Vespasiano, allora comandante delle milizie romane in Giudea, che di lì a poco sarebbe stato proclamato imperatore. Poiché, di fatto, la profezia si avverò poco dopo (68/9), Giuseppe venne liberato e fatto cittadino romano con il nome di Flavio. Dopo la presa di Gerusalemme (70) per opera di (sto →) Tito e la resa della fortezza di Masada (73), Giuseppe si trasferì definitivamente a Roma, dove attese alla stesura delle sue opere. La sua morte va collocata tra il 95 e il 105.
Opere Giuseppe scrisse prima in aramaico (o, secondo taluni, in ebraico), poi in greco la Guerra Giudaica (7 libri), la sua opera principale in cui raccontò le vicende della guerra cui aveva preso parte prima come combattente e poi come prigioniero dei Romani. Nelle Antichità Giudaiche (20 libri) Giuseppe, seguendo il racconto biblico, raccontava le vicende dalla creazione del mondo fino al 66 d.C., per ricongiungersi così all'opera precedente. Il Contro Apione è una dura requisitoria contro l'antisemita Apione e contro certa libellistica antiebraica; mentre la Vita è una sorta di autobiografia con la quale Giuseppe tenta di difendere il suo passaggio da rivoltoso a cittadino romano.
Caratteristiche generali dell'opera L'opera di Giuseppe, di indubbio valore storico, deve il suo intrinseco interesse anche al fatto di offrirci una testimonianza di primo piano sugli ambienti che, pochi anni prima, avevano visto la predicazione di Gesù. Sennonché, va tenuto presente che, a parte la famosissima testimonianza su Gesù delle Antichità Giudaiche, (il cosiddetto Testimonium Flavianum, da considerarsi, però, o in toto o, almeno, in gran parte spurio); nelle opere di Giuseppe il punto di vista resta pur sempre quello ebraico ortodosso di matrice farisaica. La condizione di Giuseppe, a ben vedere, era per molti aspetti analoga a quella di Polibio (entrambi gli storici avevano militato contro Roma per poi ritrovarsi legati agli ambienti del potere romano), ma, a differenza dello storico megalopolitano, in Giuseppe il bisogno di giustificare il proprio passaggio dalla parte del nemico è a tal punto pressante da condizionare spesso assai fortemente la sua oggettività di storico, di cui pure mena gran vanto.
Lingua e stile La lingua parlata da Giuseppe era l'aramaico (e l'ebraico), non il greco. Sappiamo, del resto, che Giuseppe fece correggere i suoi scritti da almeno due revisori di madrelingua greca. Questo spiega da un lato l'indubbia eleganza del dettato, dovuta al ricorso a collaboratori esperti; dall'altro, certe difformità di stile che sono imputabili, chiaramente, alla diversità degli assistenti impegnati nelle revisioni. La lingua di Giuseppe, secondo la moda nascente del tempo destinata ad affermarsi nei secoli successivi, è un attico ricreato artificialmente sulla base della frequentazione degli autori del V-IV sec. a.C. È stato notato, però, che mentre il revisore della sezione centrale delle Antichità Giudaiche (ΧVII-ΧIΧ) abbonda di espressioni tratte dall'opera di Tucidide, al contrario il revisore delle altre sezioni delle Antichità e della Guerra Giudaica (probabilmente, la stessa persona) inserisce frequenti espressioni poetiche tratte soprattutto dalle opere di Sofocle, che gli debbono essere state particolarmente congeniali. Lo iato è sempre accuratamente evitato.
Vedi versioni 439-446, alle pp. 417-421 di Saphéneia.
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