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Espunzione
(gr. athétesis)
Termine con cui si indica l’eliminazione di parole o brani da un testo scritto, in quanto ritenuti non originali o inseritisi erroneamente. Tale operazione è connessa anticamente con l’attività di revisione critica, edizione e interpretazione finalizzata alla conservazione e trasmissione del patrimonio letterario tradizionale, compiuta dai filologi alessandrini, innanzitutto sul testo omerico. A Zenòdoto (IV-III sec. a.C.) si ascrive l’invenzione dell’obelós, lineetta orizzontale posta nel margine sinistro del testo, con cui il filologo contrassegnava i versi da rigettare in quanto spurii. Il motivo dell’espunzione era spesso l’aprépeia, cioè il linguaggio o il comportamento indecoroso, inadatto (per esempio a determinati personaggi). Nella critica testuale odierna il segno con cui si indica l’espunzione è costituito da parentesi graffe {…}, se la tradizione è papiracea; quadre […], se manoscritta. Le ragioni dell’espunzione di un particolare segmento di testo non sono più legate naturalmente a criteri moralistici, bensì a motivazioni di ordine metrico, linguistico, storico etc.
[Elena Esposito]
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