
«Per chiarir coloro, i quali stanno in dubbio della grandezza dell’ingegno femminile»
A cura di Eleonora Faricelli
Voci femminili dall’Italia del Cinquecento
Ancora fino a poco tempo fa, sfogliando la maggior parte dei manuali di letteratura italiana o di storia ci si imbatteva in un canone solo al maschile di protagonisti della cultura scritta. Era persino difficile chiedersi se vi fosse effettivamente stato un contributo da parte delle donne alla poesia, alla drammaturgia e alla prosa nel passato. Eppure, c’è stato un tempo in cui la scrittura femminile non era affatto inusuale nella società ma, anzi, pur con le dovute distinzioni in termini numerici – agli uomini, è bene dirlo, continuò a spettare un quasi monopolio letterario –, esse furono capaci di imporsi come autrici nel mercato del libro a stampa. Tali e tante erano le voci femminili capaci di risuonare nel Cinquecento italiano, che un intraprendente letterato come Lodovico Domenichi (1515-1564) decise di raccoglierne ben 53 in un’unica raccolta poetica: nel 1559 uscirono a Lucca, dalla stamperia di Vincenzo Busdraghi (1524?-1601), le Rime diverse d’alcune nobilissime et virtuosissime donne (d’ora in poi Rime di donne), la prima antologia di liriche femminili della letteratura italiana.
Quella che presentiamo qui è la lettera dedicatoria che Domenichi indirizzava a Giannotto Castiglioni (1532-1571), un gentiluomo milanese, per presentargli il volume che aveva confezionato. L’opera usciva proprio sotto il nome di Domenichi: era comune che un libro potesse essere intestato ad altri che non fossero l’autore e questo perché il diritto d’autore e la sua tutela, per come li concepiamo oggi, si sarebbero imposti soltanto nella tarda modernità, mentre nei primi secoli della stampa riusi, abusi e contraffazioni dei testi erano all’ordine del giorno.
Quella che presentiamo qui è la lettera dedicatoria che Domenichi indirizzava a Giannotto Castiglioni (1532-1571), un gentiluomo milanese, per presentargli il volume che aveva confezionato. L’opera usciva proprio sotto il nome di Domenichi: era comune che un libro potesse essere intestato ad altri che non fossero l’autore e questo perché il diritto d’autore e la sua tutela, per come li concepiamo oggi, si sarebbero imposti soltanto nella tarda modernità, mentre nei primi secoli della stampa riusi, abusi e contraffazioni dei testi erano all’ordine del giorno.
Un curatore impegnato nella difesa dell’«ingegno femminile»
Domenichi aveva iniziato ad assemblare il materiale per la stampa almeno dieci anni prima, quando la sua attività si era collocata in due centri tipografici di grande rilievo nell’Italia del tempo: Venezia e Firenze, dove aveva prestato servizio presso le stamperie legate al duca Cosimo I de’ Medici. Aveva così avuto modo di incontrare diverse personalità di spicco della letteratura femminile e aveva frequentato i cenacoli letterari di maggior fama, i luoghi in cui la scrittura, tanto degli uomini quanto delle donne, veniva letta e discussa.
Soprattutto il soggiorno veneziano aveva informato Domenichi di uno dei principali dibattiti che infiammavano allora i salotti letterari, vale a dire quello riguardante l’eccellenza femminile. La querelle des femmes – questo il nome con il quale all’epoca era conosciuto – aveva posto all’attenzione degli intellettuali il problema del ruolo delle donne nella società, se esse fossero da considerarsi inferiori o superiori agli uomini. Ai molti che criticarono l’ingegno femminile considerandolo non all’altezza di quello maschile, si contrappose una schiera di sostenitori pronti a spendersi per la dignità del pensiero delle donne. Tra questi figurò anche Domenichi che, prima di approntare le Rime di donne, intervenne nel dibattito sin dal 1549 pubblicando La nobiltà delle donne, uscito a Venezia per l’editore Gabriel Giolito de’ Ferrari, uno tra i principali promotori delle opere femminili.
Dalla Repubblica veneziana, come detto, Domenichi si spostò a Firenze dove prese servizio presso il duca Cosimo I che andava allora costruendo e rafforzando i propri domini, estendendo i confini del ducato (sarebbe diventato granducato nel 1569) a scapito della repubblica di Siena, che capitolò nel 1555 e la cui annessione ai territori medicei fu siglata dalla pace di Cateau-Cambrésis nel 1559. L’attività letteraria di Domenichi in quegli anni fu molto produttiva e orientata a ingraziarsi le simpatie di Cosimo I. Ma il suo percorso conobbe anche intoppi: la curiosità per le idee riformate spinse Domenichi a tradurre in italiano un testo di Giovanni Calvino, finendo nel mirino dell’Inquisizione. L’intercessione di Cosimo fece sì che rimanesse poco in carcere, ma il duca lo persuase a cambiare aria. Lasciata Firenze, Domenichi dovette passare anche per Lucca, dove conobbe lo stampatore più affermato in città, Vincenzo Busdraghi, anch’egli simpatizzante per le idee della Riforma. Agli inizi degli anni ’50 cominciò la collaborazione tra Domenichi e Busdraghi, da cui poi scaturirono le Rime di donne.
Soprattutto il soggiorno veneziano aveva informato Domenichi di uno dei principali dibattiti che infiammavano allora i salotti letterari, vale a dire quello riguardante l’eccellenza femminile. La querelle des femmes – questo il nome con il quale all’epoca era conosciuto – aveva posto all’attenzione degli intellettuali il problema del ruolo delle donne nella società, se esse fossero da considerarsi inferiori o superiori agli uomini. Ai molti che criticarono l’ingegno femminile considerandolo non all’altezza di quello maschile, si contrappose una schiera di sostenitori pronti a spendersi per la dignità del pensiero delle donne. Tra questi figurò anche Domenichi che, prima di approntare le Rime di donne, intervenne nel dibattito sin dal 1549 pubblicando La nobiltà delle donne, uscito a Venezia per l’editore Gabriel Giolito de’ Ferrari, uno tra i principali promotori delle opere femminili.
Dalla Repubblica veneziana, come detto, Domenichi si spostò a Firenze dove prese servizio presso il duca Cosimo I che andava allora costruendo e rafforzando i propri domini, estendendo i confini del ducato (sarebbe diventato granducato nel 1569) a scapito della repubblica di Siena, che capitolò nel 1555 e la cui annessione ai territori medicei fu siglata dalla pace di Cateau-Cambrésis nel 1559. L’attività letteraria di Domenichi in quegli anni fu molto produttiva e orientata a ingraziarsi le simpatie di Cosimo I. Ma il suo percorso conobbe anche intoppi: la curiosità per le idee riformate spinse Domenichi a tradurre in italiano un testo di Giovanni Calvino, finendo nel mirino dell’Inquisizione. L’intercessione di Cosimo fece sì che rimanesse poco in carcere, ma il duca lo persuase a cambiare aria. Lasciata Firenze, Domenichi dovette passare anche per Lucca, dove conobbe lo stampatore più affermato in città, Vincenzo Busdraghi, anch’egli simpatizzante per le idee della Riforma. Agli inizi degli anni ’50 cominciò la collaborazione tra Domenichi e Busdraghi, da cui poi scaturirono le Rime di donne.
Perché la dedica a un «gentilhuomo»
Tutti gli elementi sin qui elencati trovano riscontro nella lettera di Domenichi a Giannotto Castiglioni. Domenichi chiarisce anzitutto l’intento dell’opera. Egli non è naturalmente l’autore; le autrici, al contrario, sono tutte donne e valenti rimatrici che meritano per questo di essere lette da un pubblico quanto più vasto possibile. Tuttavia, è l’intuizione del letterato a permettere al testo di essere prodotto: è lui a essersi occupato di raccogliere nel tempo il materiale e di consegnarlo poi alle stampe. In questa impresa è stato aiutato da amici e colleghi, come Giuseppe Betussi (1512-1573), vicino tanto a Domenichi quanto a Busdraghi, con il quale aveva stampato nel 1557 il dialogo La Leonora, sempre incentrato sul valore femminile. Si tratta dunque di una rete di sostenitori del valore delle donne, in quegli anni particolarmente attiva e partecipe dei dibattiti in corso. Domenichi, infatti, spiega di voler entrare nel vivo della querelle non attraverso trattati filosofici redatti da uomini, ma direttamente attraverso la voce femminile. In questo modo i detrattori delle donne non avranno elementi per argomentare contro l’intelletto del «gentil sesso»: le loro poesie mostrano come esse siano capaci di ben interpretare il sentire del proprio tempo.
Nella medesima direzione si colloca la scelta di Castiglioni come destinatario della dedica: nelle parole di Domenichi egli appare uno dei più importanti estimatori delle donne, pertanto capace di apprezzare i prodotti del loro ingegno. Vi è però una motivazione ulteriore nella dedica al gentiluomo. Chi si trovi a tenere il libro tra le mani, potrebbe erroneamente giudicare che le uniche a poter sfogliare le pagine debbano essere donne, come donne sono le autrici dei componimenti presentati. La dedica a un uomo, per mano di un uomo, doveva rompere lo schema che sminuiva a «cose da donne» la scrittura femminile.
Nella medesima direzione si colloca la scelta di Castiglioni come destinatario della dedica: nelle parole di Domenichi egli appare uno dei più importanti estimatori delle donne, pertanto capace di apprezzare i prodotti del loro ingegno. Vi è però una motivazione ulteriore nella dedica al gentiluomo. Chi si trovi a tenere il libro tra le mani, potrebbe erroneamente giudicare che le uniche a poter sfogliare le pagine debbano essere donne, come donne sono le autrici dei componimenti presentati. La dedica a un uomo, per mano di un uomo, doveva rompere lo schema che sminuiva a «cose da donne» la scrittura femminile.
Il documento
Al molto magnifico, et nobilissimo signor mio.
Sono già molti anni passati, ch’essendo Io con l’animo, e con l’opere tutto volto a celebrare qua[n]to per Mesi poteva allhora, la nobiltà, et eccellentia delle Donne, la qual cosa Io ridussi poi in un giusto volume; sì come il pensier mi guidava, mi posi in un medesimo tempo raunare ciò che mi pareva potere procurar loro gloria, e honore. Così con l’aiuto d’alcuni amorevoli miei, e grandeme[n]te affettionati al valor Donnesco, raccolsi da più parti assai ragionevole quantità di rime composte da Donne. Le quali rime sono poi state insino ad hora appresso di Me í[n] quel grado tenute, che le più care, e pretiose cose si soglion tenere. Et benché infino allhora, ch’Io cominciai a raccorle, Io fossi fermo di volere in ogni modo publicarle al mondo col mezo delle stampe, per chiarir coloro, i quali stanno in dubbio della grandezza dell’Ingegno feminile: nondimeno non ho potuto mai porre ad effetto tal mio pensiero, essendo quando da uno, e quando da un’altro impedimento distornato. Pur finalmente confortato dal mio Virtuosiss[imo] amico M. Giuseppe Bettusi, mi son risoluto a metterle in luce, e non indugiar più, quel che già molto tempo è stato no[n] pur desiderio, ma debito mio. Et quantunque, per esser queste compositioni di Donne, ad alcuno paresse, ch’elle più convenissero a Donne, e ad alcuna d’esse doversi dedicare; non ho però voluto per giuste cagioni seguire in ciò il lor consiglio. [...] No[n]dimeno ho giudicato assai meglio, e ho più tosto voluto dedicarle a un mio carissimo, e meritevole amico, e Signore, quale è la S[ignoria] V[ostra] degna di tale, e molto maggiore honore, sì per la nobiltà della sua antichissima famiglia, [...] sì ancho per le virtù vostre, fra le quali infinitamente riluce quella nobilissima creanza, e modestia, la quale oltre che v’havete portata dalle fasce, vi sforzate ancho di ridurla a perfettione del co[m]mercio, che havete preso, con la nobilissima natione Spagnuola. Perciò havendo V[ostra] S[ignoria] co[n] maturo giudicio elettosi la Spagna per istanza di molti anni, e di continuo usando co[n] gentilissimi cavalieri, e grandissimi servidori di Donne; son certo, che tutti i meriti, e le eccellentie loro da Lei sara[n]no abbracciati, e graditi senza fine. Di qui è, ch’Io non entro a lodar l’opera, ch’Io le mando: perché oltra ch’Io farei ingiuria al suo eccellente giudicio, metterei forse altrui in dubbio la gratia, ch’Io ho seco: la qual ragionevolmente m’assecura, che Io le havrò fatto cosa grata, se non per altro, almeno per haver Mostro qualche memoria de gli oblighi, ch’Io tengo a quella, e delle cortesie da Lei ricevute. N[ostro] S[ignor] Iddio doni a V[ostra] S[ignoria] il compimento de suoi desiderii, e me nella sua gratia conservi. A dì primo Giugno. MDLIX. Di Fiorenza
Di V[ostra] S[ignoria] molto Magnifica
Deditissimo servidore
Lodovico Domenichi
Fonte: Rime diverse d’alcune nobilissime et virtuosissime donne, raccolte per m. Lodovico Domenichi, e intitolate al signor Giannotto Castiglione gentil’huomo milanese, per Vincenzo Busdragho, Lucca 1559, pp. 3-5 (lettera dedicatoria). Questa edizione è disponibile online all’interno del progetto GoogleBooks. Per agevolare la lettura, si sono corrette alcune convenzioni tipografiche (spaziature, uso di apostrofi e accenti).
L’importanza di questa antologia letteraria come fonte
Domenichi mise insieme autrici già note e affermate sulla scena letteraria, come Vittoria Colonna (1490-1547), o Lucia Bertana (1521-1567), un nome forse oggi poco conosciuto e di cui, purtroppo, sono sopravvissuti soltanto dei frammenti, ma che era una delle voci più accreditate dell’ambiente letterario coevo, e scrittrici che, al contrario, non godevano di alcuna fama presso il grande pubblico, come Virginia Gemma. Per questo l’antologia curata da Domenichi ha tanta importanza per la storica e lo storico di oggi: riunisce infatti un pantheon di autrici altrimenti sconosciute (come appunto Virginia Gemma), le cui tracce oggi pervenuteci sono quasi esclusivamente quelle raccolte in queste pagine. Non tutte poterono godere della fama e del prestigio della Colonna e men che meno poterono contare sul sostegno di estimatori pronti a valorizzare la loro arte. Tuttavia, non furono nemmeno rari i casi di quante non si dimostrarono interessate a pubblicare i propri testi, preferendo la circolazione manoscritta, allora ancora di pari importanza rispetto alla stampa.
La raccolta attesta anche come queste autrici intervenivano non solo per parlare d’amore, ma anche su questioni di politica e religione. È quanto è ben esplicitato nella poesia della senese Virginia Salvi, una delle penne più virulenti a scagliarsi contro l’espansionismo mediceo.
L’altro filone narrativo è ravvisabile invece nella matrice religiosa della raccolta, in cui le liriche abbracciano soprattutto temi di carattere meditativo-penitenziale. La cifra comune pare essere per le donne quella di voler intrattenere un rapporto diretto con Dio, attraverso la ricerca di una fede interiore sincera. Questioni che, da Lutero in avanti, erano allora largamente dibattute tanto nei circoli letterari quanto nelle piazze italiane. Tra le molte donne che toccano questi temi vi sono per esempio Silvia di Somma, Onorata Pecci, Costanza d’Avalos e, non ultime, la già citata Vittoria Colonna e la regina di Navarra, Margherita d’Angoulême, tutte presenti all’interno dell’antologia.
In conclusione, le Rime di donne rappresentano un laboratorio unico. Un’antologia letteraria che è preziosa testimonianza della vivacità intellettuale delle donne nel Cinquecento italiano, ma anche raffinata attestazione storica del clima culturale, religioso e politico dell’Italia del tempo, declinata attraverso uno sguardo femminile, così inusuale nel passato.
La raccolta attesta anche come queste autrici intervenivano non solo per parlare d’amore, ma anche su questioni di politica e religione. È quanto è ben esplicitato nella poesia della senese Virginia Salvi, una delle penne più virulenti a scagliarsi contro l’espansionismo mediceo.
L’altro filone narrativo è ravvisabile invece nella matrice religiosa della raccolta, in cui le liriche abbracciano soprattutto temi di carattere meditativo-penitenziale. La cifra comune pare essere per le donne quella di voler intrattenere un rapporto diretto con Dio, attraverso la ricerca di una fede interiore sincera. Questioni che, da Lutero in avanti, erano allora largamente dibattute tanto nei circoli letterari quanto nelle piazze italiane. Tra le molte donne che toccano questi temi vi sono per esempio Silvia di Somma, Onorata Pecci, Costanza d’Avalos e, non ultime, la già citata Vittoria Colonna e la regina di Navarra, Margherita d’Angoulême, tutte presenti all’interno dell’antologia.
In conclusione, le Rime di donne rappresentano un laboratorio unico. Un’antologia letteraria che è preziosa testimonianza della vivacità intellettuale delle donne nel Cinquecento italiano, ma anche raffinata attestazione storica del clima culturale, religioso e politico dell’Italia del tempo, declinata attraverso uno sguardo femminile, così inusuale nel passato.
Per approfondire
Clara Stella, La parola d’autrice tra propaganda e dissenso: alcuni appunti sulla questione politica nelle «Rime diverse d’alcune nobilissime et virtuosissime donne», in Vincenzo Busdraghi (1524?-1601). Uno stampatore europeo a Lucca, a cura di Davide Martini, Tommaso Maria Rossi, Gaia Elisabetta Unfer Verre, Lucca, Archivio Storico Diocesano di Lucca, 2017, pp. 42-53.
Ead., Il ruolo di Vittoria Colonna nelle Rime Diverse d’alcune Nobilissime et Virtuosissime Donne (1559), in «Italian Studies», 2019, pp. 1-18.
Ead., Lodovico Domenichi e le Rime diverse d’alcune nobilissime et virtuosissime donne (1559), Classiques Garnier, Paris 2022.
Su Giuseppe Betussi, Vincenzo Busdraghi, Giannotto Castiglioni, Lodovico Domenichi si possono consultare le voci a loro dedicate nel Dizionario biografico degli italiani, firmate rispettivamente da Claudio Mutini (vol. 9, 1967), Alfredo Cioni (vol. 15, 1972), Agostino Borromeo (vol. 22, 1979) e da Angela Piscini (vol. 40, 1991).
Ead., Il ruolo di Vittoria Colonna nelle Rime Diverse d’alcune Nobilissime et Virtuosissime Donne (1559), in «Italian Studies», 2019, pp. 1-18.
Ead., Lodovico Domenichi e le Rime diverse d’alcune nobilissime et virtuosissime donne (1559), Classiques Garnier, Paris 2022.
Su Giuseppe Betussi, Vincenzo Busdraghi, Giannotto Castiglioni, Lodovico Domenichi si possono consultare le voci a loro dedicate nel Dizionario biografico degli italiani, firmate rispettivamente da Claudio Mutini (vol. 9, 1967), Alfredo Cioni (vol. 15, 1972), Agostino Borromeo (vol. 22, 1979) e da Angela Piscini (vol. 40, 1991).