Where I Work: le professioni STEM che non ti aspetti

di Eleonora Palumbo

  • Obiettivo Primario: 10 - Ridurre le diseguaglianze
  • Obiettivo Secondario: 5 - Parità di genere

Where I Work: le professioni STEM che non ti aspetti

La navicella spaziale indiana Chandrayaan-3 è atterrata sul suolo lunare ad agosto 2023. Una delle foto simbolo del successo di questa missione colpisce per un dettaglio: alcune scienziate del gruppo di ricerca che ha guidato il veicolo si abbracciano indossando il sari, un tradizionale indumento femminile indiano. Questa è una caratteristica a cui non siamo soliti pensare quando dobbiamo descrivere chi lavora nella ricerca. Infatti, alcuni studi hanno dimostrato che il ritratto dello scienziato è spesso accompagnato dal classico stereotipo di essere bianco, maschio e di indossare il camice da laboratorio. Ma è davvero sempre così?

La rivista scientifica Nature prova a rispondere a questa domanda mettendo in luce le diverse sfumature della scienza, in una sezione dedicata alle professioni STEM chiamata Where I Work. Questo sito raccoglie dal 2019 le testimonianze di scienziate e scienziati da tutto il mondo in numerosi articoli. Questi racconti tracciano i percorsi professionali di persone che condividono gli aspetti unici della loro cultura e storia personale sul luogo di lavoro e che, spesso, collaborano a stretto contatto con il loro territorio d’origine.

Per esempio, la scienziata ambientale nepalese Hemu Kafle indossa il kurta, un’ampia camicia lunga fino alle ginocchia, e pantaloni a gamba larga per dirigere l’Istituto di Scienze Applicate di Kathmandu, che lei stessa ha fondato. In Nepal, infatti, non esisteva una stazione metereologica in grado di sostenere le sue ricerche sulla siccità nei Paesi dell'Asia meridionale; la studiosa quindi decide di costruirne una a basso costo all’interno dell’Istituto.

Il biologo molecolare di origini africane Brighton Samatanga, invece, si sta impegnando ad aumentare la sicurezza alimentare nello Zimbabwe, il suo Paese di nascita, modificando i geni delle colture di mais per aiutarle a diventare resistenti alla siccità e ad alcuni parassiti.

Un’altra interessante storia è quella della chimica computazionale Mona Minkara che esegue simulazioni al computer per comprendere quali interazioni chimiche si verificano nei polmoni durante la respirazione e per sviluppare metodi personalizzati di somministrazione dei farmaci. La scienziata aiuta anche a realizzare degli strumenti che consentono di rendere lo studio della chimica accessibile alle persone che, come lei, hanno una disabilità visiva.

Tutte queste testimonianze collezionate da Nature contribuiscono a decostruire il tipico stereotipo di chi fa ricerca e sono un esempio di come sia possibile promuovere la diversità nella scienza. Rappresentare il lato più umano può migliorare la percezione che le persone hanno nei confronti dei contenuti scientifici e incoraggiare i più giovani a orientare la propria formazione verso materie scientifiche.

 

Attività da proporre alla classe

Nella sezione Where I work di Nature si possono leggere molti altri racconti di ricercatori e di ricercatrici. In gruppo, selezionate quelli che ritenete più interessanti e preparate un breve video in cui raccontate la storia personale e il percorso professionale delle testimonianze che avete approfondito.

 

Sitografia

Bibliografia

Manasee Weerathunga (2023). Diversity in Science Includes Cultural Dress. Scientific American

Kendall Powell (2021). Chemical modelling with a sense of touch. Nature 595, 756.

Abdullahi Tsanni (2021). Fighting food insecurity with CRISPR at Zimbabwe’s first private research institute. Nature 594, 142.

Bianca Nogrady (2022). We built a science institute from scratch. Nature 607, 414.