L’inquinamento nell’età della plastica
di Ylenia Nicolini
- Obiettivo Primario: 14 - Vita sott'acqua
- Obiettivo Secondario: 3 - Salute e benessere
- Materie: Biologia, Chimica, Scienze della terra
(L’oceano di plastica, 2011)
La produzione globale di plastica, a partire dal 1950, è aumentata vertiginosamente, fino a superare un totale di 310 milioni di tonnellate ogni anno. Un simile aumento, nell’arco di soli 70 anni, ha trasformato la plastica in uno degli inquinanti più diffusi e insidiosi del nostro pianeta.
La maggior parte degli oggetti di uso comune sono fatti di plastica: una pallina da golf, gli abiti che indossiamo, le chiavette USB, i barattoli utilizzati in cucina, i CD, gli occhiali da sole, gli stessi telefoni cellulari che utilizziamo ogni giorno. Questi oggetti sono perlopiù composti da polimeri sintetici (di origine petrolchimica) miscelati con sostanze chimiche capaci di aumentarne l’efficienza. È proprio grazie all’eccezionale stabilità e durevolezza che le materie plastiche hanno guadagnato una sempre più crescente popolarità e applicazione in svariati ambiti; la resistenza chimica e la lentezza di degradazione, però, ne hanno determinato l’accumulo eccessivo nell’ambiente in cui viviamo. Tra il 1950 e il 2015, infatti, sono stati prodotti 6,3 miliardi di tonnellate di rifiuti di plastica, dei quali solo il 9% è stato riciclato; se il 12% degli stessi è stato inviato agli inceneritori, il restante 79% è stato stoccato nelle discariche o, ancor peggio, riversato direttamente nell’ambiente.
Ad oggi, le materie plastiche costituiscono uno dei principali inquinanti del suolo, dei corsi d’acqua e, in particolare, degli oceani. Questi materiali hanno un effetto nocivo sia sugli habitat, sia sugli organismi che ivi vivono, soprattutto negli ambienti oceanici: possono intrappolare gli animali marini (Figura 1a), essere scambiati per cibo e venire inghiottiti (Figura 1b), trasportare le specie invasive da un habitat all’altro, depositarsi nei sedimenti e influire quindi sugli esseri viventi che popolano i fondali. Le particelle di plastica possono inoltre rilasciare le sostanze chimiche in esse contenute, a loro volta in grado di interferire con i normali processi fisiologici sia negli esseri umani che negli altri animali.
A differenza dei rifiuti plastici visibili a occhio nudo, le microplastiche presenti negli oceani non possono essere rilevate facilmente, né tantomeno raccolte per essere riciclate o stoccate in discarica. Gli organismi che popolano i mari, inclusi i mammiferi e gli uccelli marini, i pesci, gli invertebrati e lo zooplancton, nutrendosi, ingeriscono anche le microplastiche in sospensione. Una volta consumate dagli animali di piccole dimensioni, queste ultime entrano nella catena alimentare e possono essere trasferite da un livello trofico all’altro giungendo, attraverso i livelli più elevati della piramide alimentare, fino all’uomo (Figura 2). Secondo le analisi più recenti, questi microscopici rifiuti solidi sono ormai presenti nell’acqua potabile, nel miele, nel sale e in molte specie ittiche in commercio, per citarne alcune. Di per sé, l’effetto cumulativo dell’ingestione delle microplastiche nel tempo può essere nocivo (Figura 3); tuttavia, oggi sappiamo anche che questi micropolimeri possono fungere da veicolo di trasporto di inquinanti organici persistenti, i POP, in grado di alterare aspetti chiave del comportamento di alcune specie e di influire negativamente sulla salute umana e animale.
Attività da proporre alla classe
Realizza una ricerca in internet e prepara una presentazione multimediale che illustri da un lato i provvedimenti presi dall’Unione europea nel corso degli ultimi 20 anni per ridurre l’inquinamento da plastica e dall’altro le scelte quotidiane che ciascuna persona potrebbe mettere in atto per fare la differenza nel combattere questo fenomeno.
Sitografia
Bibliografia
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