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l e t t u r a
d
o p e r a
Giovan Carlo Doria a cavallo
di Pierre Paul Rubens
Giovan Carlo Doria (1576-1625), figlio del doge
Agostino, è uno dei membri di spicco dell’
aristo-
crazia genovese
di primo Seicento. Sin da giova-
ne collabora col padre nella gestione dell’azien-
da di famiglia, dedita al commercio.
Alla morte del padre eredita l’impresa e il palaz-
zo di città, ricco di una collezione di dipinti, e si
qualifica come uno dei principali e raffinati col-
lezionisti e mecenati del tempo.
Il nobile Giovan Carlo Doria è ripreso da Rubens
mentre regge le briglie del suo bianco destriero
che, appena scorciato di tre quarti a sinistra da un
punto di vista molto ravvicinato, sta galoppando
nella direzione dello spettatore, occupando tutto
il proscenio del dipinto. Accompagna la corsa del
cavallo un cagnolino che gli si volge abbaiando.
Il
ritratto
è incorniciato sulla sinistra dalle fron-
de di un albero ripiegate sul capo del Doria, tra
le quali s’infiltrano gli ultimi raggi del sole che
rischiarano appena il cielo, carico di dense nubi
grigie, prossimo al tramonto.
Il gentiluomo indossa l’alto cappello alla fiammin-
ga e corte e rigide brache di un prezioso tessuto
nero con ricami in oro e perle. Sull’armatura spic-
ca l’insegna dell’ordine dei Cavalieri di San Gia-
como, a lui promessa nel 1606 dal re di Spagna
Filippo III. La commissione del ritratto a Rubens
risale al 1610, periodo in cui il pittore è di pas-
saggio a Genova al seguito del duca di Mantova.
Il dipinto, che campeggiava nel salone d’onore nel
palazzo cittadino dei Doria, rimase di proprietà
della famiglia fino al 1940, quando andò all’asta
con tutta la collezione Doria d’Angrì di Napoli.
Nel 1941 Mussolini ordinò la vendita del dipinto
a Hitler, ma nel 1948 venne restituito dalla Ger-
mania allo Stato italiano.
Si tratta di uno degli
esemplari più elevati
del-
la ritrattistica di Rubens. Il pittore di Anversa si
serve di canoni compositivi aulici: il ritratto eque-
stre, infatti, era stato fino a quel momento gene-
ralmente riservato agli imperatori romani e per
estensione ai sovrani.
L’adozione di un
modello così alto
per immortala-
re l’effigie di un patrizio, seppur importante, tro-
va giustificazione nel fatto che le insegne di San
Giacomo erano proprie dei cavalieri.
Rubens si ispira ai celebri ritratti equestri esegui-
ti da Tiziano per Carlo V, ma lo trasforma in una
cavalcata travolgente come rappresentazione del
movimento in atto, per mezzo dell’impostazione
dei volumi del cavallo impennato e procurando
un effetto di concentrazione generata dal moto e
dalla distanza ravvicinata.
Nello
sfondo
, le nubi plumbee conferiscono una
luce fredda
all’ambiente, contro la quale risalta-
no le lunghe pennellate dense di colore: è l’ecce-
zionale qualità della pittura di Rubens che sa ren-
dere la consistenza materica delle cose, dalla pelle
del cavallo alla stoffa preziosa del collare di trine.
La
forza espressiva
è acuita dalle dimensioni “al
naturale” del ritratto e dall’adesione naturalisti-
ca con cui Rubens rende la focosa irruenza del
destriero dalle narici frementi nella corsa, con la
criniera e la coda mirabilmente agitate dal vento.
Un
naturalismo
che viene ripreso in tono minore
nel cagnolino (simbolo di fedeltà) che ansimando
corre di fianco, e nello sguardo pacato e cordiale,
per nulla altezzoso, del cavaliere.
ch i av i
d i
l e t t ura
Il ritratto equestre tra-
dizionalmente veniva utiliz-
zato per raffigurare sovra-
ni o comunque persone di
d’altissimo rango.
La tipologia del ritrat-
to equestre trova qui una
nuova interpretazione di-
namica, nello slancio che
proietta cavallo e cavalie-
re verso l’osservatore.
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Pierre Paul Rubens,
Giovan Carlo Doria a cavallo
, 1610, olio
su tela, com 256 x 119. Genova, Palazzo Spinola.