Iliade
57
“
mÇ se, gÅron, koÉlÃsin ógß par° nhus§ kiceÉw
ò; n¨n dhqÖnontj ò; åsteron a¡ti” ôÑnta,
mÇ nÖ toi oõ craÉsmà sküptron ka§ stÅmma qeo™o:
t£n dj ógß oõ lÖsw: prÉn min ka§ güra” êpeisin
30
∞metÅrÕ ón§ oíkÕ, ón [Arge
i
, thlÑqi pÄtrh”,
±st•n ópoicomÅnhn ka§ óm•n lÅco” ñntiÑwsan:
ñllj íqi, mÇ mj órÅqize, saÜtero” é” ke nÅhai.
”
}W” êfatj, êdeisen dj ≤ gÅrwn ka§ ópeÉqeto mÖqÕ:
bü dj ñkÅwn par° q™na polufloÉsboio qalÄssh”
8
:
35
poll° dj êpeitj ñpÄneuqe kißn òrùqj ≤ gerai•”
jApÑllwni ènakti, t•n ò»komo” tÅke LhtÜ:
“
kl¨qÉ meu, ñrgurÑtoxj,
M
” CrÖshn ñmfibÅbhka”
KÉllan te zaqÅhn TenÅdoiÑ te øfi ñnÄssei”,
Sminqe¨
9
, eí potÅ toi carÉentj óp§ nh•n êreya,
40
â
eô dÇ potÅ toi kat° pÉona mhrÉj êkha
10
taÖrwn òdj aôg≠n, tÑde moi krÇhnon óÅldwr:
teÉseian Danao§ óm° dÄkrua so™si bÅlessin.
11
”
}W” êfatj eõcÑmeno”, to¨ dj êklue Fo™bo” jApÑllwn,
bü d¢ katj OõlÖmpoio karÇnwn cwÑmeno” kür,
45
tÑxj ïmoisin êcwn ñmfhrefÅa te farÅtrhn:
êklagxan dj èrj ö
i
sto§ ópj ïmwn cwomÅnoio,
no
l’aristocrazia militare.
8.
polufloÉsboio qalÄssh©
: «mare urlan-
te», espressione formulare, come già nei versi precedenti
ó
u
knÇmi-
de©
, «schinieri robusti» (v. 17),
qo°©... nüa©
, «navi rapide» (v. 12), e
koÉlÃsin... nhusÉ
, «navi concave» (v. 26). Anche
d™o©
, «glorioso» (v.
7), riferito nel poema a vari eroi e personaggi, può essere considerato
un esempio di epiteto formulare.
9.
Crisa e Cilla sono due città del-
la Troade, Tenedo è un’isoletta di fronte alla costa. Incerto è il signifi-
cato dell’epiteto Sminteo: forse è da collegare a
smÉnqo©
, «topo», e si
riferisce a un’antica rappresentazione in forma animale del dio, ov-
vero alla sua venerazione in quanto uccisore di topi. Qualcuno ritie-
ne invece che derivi dal nome della città di Sminte, nella Troade.
10.
kat°... êkha
: tmesi, ovvero separazione di una parola composta per
interposizione di altri elementi, da
katakaÉw
(«bruciare completa-
mente», «consumare bruciando»). La frequenza della tmesi in Omero
dipende dal fatto che in una primitiva fase della lingua greca, rispec-
chiata nel linguaggio omerico, il preverbo e la radice verbale erano
sentiti come elementi autonomi, quindi solamente accostati e
non
fusi insieme.
11.
La supplica di Crise riproduce esattamente lo schema
delle formule cultuali di preghiera, che è caratteristico anche degli inni
religiosi: invocazione al dio; elencazione degli epiteti; richiesta di essere
ascoltato; citazione dei sacrifici compiuti e degli atti di pietà di cui l’uo-
mo si è reso benemerito; supplica conclusiva.
“Mai te colga, vecchio, presso le navi concave,
non adesso a indugiare, non in futuro a tornare,
che non dovesse servirti più nulla lo scettro, la benda del dio!
Io non la libererò: prima la coglierà vecchiaia
30
nella mia casa, in Argo, lontano dalla patria,
mentre va e viene al telaio e accorre al mio letto.
Ma vattene, non m’irritare, perché sano e salvo tu parta”.
Disse così, tremò il vecchio, obbedì al comando,
e si avviò in silenzio lungo la riva del mare urlante
8
;
35
ma poi, venuto in disparte, molto il vegliardo pregò
il sire Apollo, che partorì Latona bella chioma:
“Ascoltami, Arco d’argento, che Crisa proteggi,
e Cilla divina, e regni sovrano su Tenedo,
Sminteo
9
, se mai qualche volta un tempio gradito t’ho eretto,
40
e se mai t’ho bruciato cosce pingui
10
di tori o capre, compimi questo voto:
paghino i Danai le lacrime mie coi tuoi dardi
11
”.
Disse così pregando: e Febo Apollo l’udì,
e scese giù dalle cime d’Olimpo, irato in cuore,
45
l’arco avendo a spalla, e la faretra chiusa sopra e sotto:
le frecce sonavano sulle spalle dell’irato
Apollo del Belvedere
, copia
romana del secolo ii d.C.
di un originale greco in bronzo
del secolo iv a.C.