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Prima e dopo il
Decameron
temi e motivi
Il
Filostrato
Il
Filostrato
è un poemetto in ottave (713
in tutto), composto da Boccaccio sicuramente durante il
suo soggiorno napoletano e diviso in nove canti, preceduti
da un proemio. All’interno dei canti alcuni gruppi di ottave
sono introdotti da rubriche, che ne anticipano il contenuto;
sia queste rubriche sia quelle anteposte ai nove canti sono
opera dell’autore. Il titolo significherebbe, secondo un’eti-
mologia greca in parte invenzione dell’autore, “uomo vinto
e abbattuto d’amore”, e si riferirebbe tanto alla condizione
del protagonista, Troilo, quanto a quella della voce narrante
che, nel
Proemio
, si dichiara infelice per la lontananza della
donna amata, cui dedica il poemetto.
La narrazione, che rielabora un episodio del
Roman de Troie
del francese Benoît de Sainte-Maure (
xii
secolo), racconta le
vicende dell’innamoramento del troiano Troilo e del guer-
riero greco Diomede per la stessa donna – Criseide, figlia
dell’indovino Calcàs –, dando origine a gelosie e contrasti
che si concludono con l’uccisione di Troilo da parte di un
terzo attore, Achille.
Una Venere multiforme
La Venere che Troilo evoca e
loda in questa commossa apostrofe è una Venere multifor-
me, nella quale si depositano secoli di tradizione letteraria
pagana classica e medievale e in cui si rivelano le molteplici
letture del giovane Boccaccio.
Venere è invocata dapprima come stella (noi diremmo pia-
neta) «del sole amica» (74, 4) che «fa bello il terzo ciel» (74,
2), con stilemi che richiamano immediatamente il
Paradiso
di Dante; poi come dea dell’amore, «figliuola di Giove / be-
nigna donna d’ogni gentil cuore» (74,4-5). Al suo ruolo di
dea personificata alludono anche il suo legame con Giove,
da lei spinto a creare il mondo e a proteggerlo (ottava 76),
e con Marte (ottava 77), il dio della guerra di cui secondo la
mitologia era amante. Ma soprattutto in relazione a queste
connessioni con i due dèi, Venere diventa qualcosa di più
alto: non è solo la dea donna che ha esortato Giove a creare
il mondo (ottava 76), ma è un principio filosofico, la forza
vitale che spinge gli animali a riprodursi e le piante a fiorire
nel bel tempo primaverile (ottava 75). E non è solo la dea
amante che sa domare il selvaggio Marte, dio della guerra, e
insegna come comportarsi in amore (ottava 77), ma è l’idea
stessa della vita sociale, della pace e della fratellanza che
garantisce prosperità al mondo umano.
Boccaccio, tuttavia, è pur sempre un poeta cristiano, anche
se “laico”, e così l’inno è coronato dall’invocazione a Dio
(85, 1), l’unico al quale vada veramente il merito per aver
creato una donna bella come l’amata di Troilo, illuminando
la sua umile vita con un lume così splendente.
modelli e tradiZione
L’inno a Venere di Lucrezio
Soprattutto nell’ottava 75
è chiarissima l’eco in Boccaccio del grande poeta latino
Lucrezio (
i
secolo a.C.), che apre il suo poema filosofico
De
rerum natura
con una grandiosa invocazione a Venere (I,
1-43): «Madre dei romani, voluttuoso piacere degli uomini
e degli dei, Venere nutrice: per te gli astri erranti nel cielo, il
mare che porta le navi, le terre fertili di messi si popolano
di creature: solo per te ogni specie di creatura vivente può
essere concepita e, appena uscita dalle tenebre, vedere la
luce del sole; davanti a te, o dea, al tuo arrivo, fuggono i venti,
si disperdono le nebbie; sotto i tuoi passi la terra industriosa
si copre dei fiori più soavi, le distese dei mari ti sorridono,
e il cielo placato risplende tutto inondato di luce. Appena
ricompare il volto primaverile delle cose e, rompendo le sue
catene, riprende vigore il soffio fecondatore dello zèfiro, per
primi gli uccelli dell’aria celebrano te, o dea, e la tua venuta,
turbati in cuore dalla tua potenza. Dietro, bestie selvagge
e armenti percorrono a balzi i grassi pascoli: tanto ognuno,
preso dal tuo fascino, arde di seguirti ovunque tu voglia
trascinarlo. Nei mari e sui monti, nei fiumi impetuosi, nelle
fronzute dimore degli uccelli e sulle verdeggianti pianure,
infondendo in tutti i cuori le blandizie dell’amore, tu ispiri a
ogni creatura il desiderio di propagare la sua specie: tu sola
basti a governare la natura, e senza di te nulla approda alle
divine spiagge della luce, nulla avviene di lieto e amabile»
(trad. di O. Cescatti).
Boccaccio deve trovare congeniale questa Venere, conside-
rata come principio vitale e amore fisico, ed è certamente
lettore attento di Lucrezio, citato due volte nelle
Genealogie
deorum gentilium
(IX, 25 e XII, 16).
La benedizione petrachesca
Nella sua grande ver-
satilità intellettuale, accanto ai modelli latini e a Dante, il
voracissimo lettore Boccaccio cita disinvoltamente il più
grande dei contemporanei, il suo amico e maestro Petrarca.
Le ottave 83 e 84 richiamano scopertamente il sonetto LXI
del
Canzoniere
, benedicendo non solo le circostanze dell’in-
contro tra gli amanti (ottava 83; cfr. i vv. 1-4 in Petrarca:
«Benedetto sia ’l giorno, e ’l mese, et l’anno, / et la stagione, e
’l tempo, et l’ora, e ’l punto, / e ’l bel paese, e ’l loco ov’io fui
giunto / da’ duo begli occhi che legato m’ànno»), ma anche
le dolci sofferenze d’amore che ne sono derivate (ottava
84, cfr. i vv. 5-11 in Petrarca: «et benedetto il primo dolce
affanno / ch’i’ ebbi ad esser con Amor congiunto, / et l’arco,
et le saette ond’i’ fui punto, / et le piaghe che ’nfin al cor mi
vanno. / Benedette le voci tante ch’io, chiamando il nome de
mia donna, ò sparte, / e i sospiri, et le lagrime, e ’l desio»).
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