Page 33 - 120900031521_asorrosa_letteraturaitaliana

Basic HTML Version

499
Saranno per
avventura
alcune di voi
che diranno
che io abbia
nello scriver
queste novelle
troppa licenzia
usata...
Boccaccio e la fondazione
della prosa italiana
Il Decameron testo canonico
della grammatica italiana
Il linguaggio narrativo del
Decameron
viene indicato come modello grammati-
cale e stilistico già da Pietro Bembo nelle
Prose della volgar lingua
(1525), e tale fun-
zione esemplare viene successivamen-
te confermata e rafforzata nelle celebri
«rassettature» (cioè revisioni) promosse
dal Sant’Uffizio ai tempi della Contro-
riforma: ne derivano due edizioni (1573
e 1582), la seconda delle quali curata da
Lionardo Salviati, l’ispiratore dell’Acca-
demia della Crusca.
Le rassettature, se da un lato hanno il di-
fetto di alterare i contenuti del
Decameron
espungendone passi che sembrano offen-
dere l’ortodossia religiosa, dall’altro con-
sentono il recupero della veste linguistica
originale del testo, alterata e modernizza-
ta nelle edizioni precedenti.
Fonetica e lessico
La lingua di Boccaccio è il fiorentino del
Trecento (come dichiarato programmati-
camente dall’autore nell’
Introduzione
alla
Quarta giornata), caratterizzato dai se-
guenti tratti fonetici:
- l’anafonesi, tipo «famiglia» rispetto a
«fameglia», «lingua» rispetto a «len-
gua» e simili;
- il dittongamento di «e» e «o» aperte
toniche in sillaba libera, tipo «viene»
rispetto a «vene», «buono» rispetto a
«bono» e simili;
- la chiusura di «e» protonica in «i»;
- l’evoluzione di «ar» intertonico e posto-
nico in «er», tipo «Lazzero» rispetto a
«Lazzaro» e simili;
-
arius
che diventa «-aio», tipo «notaio»
rispetto a «notaro».
A questi tratti generali si aggiungono ar-
caismi («diece» rispetto al più moderno, e
poi italiano, «dieci»; i congiuntivi «dea»
e «stea», vitali fino al primo Trecento)
e, viceversa, casi di adeguamento all’uso
corrente («dissono» rispetto a «dissero»,
«andrò» rispetto a «anderò» e simili).
Nel settore del lessico notiamo sostan-
tivi con desinenza provenzaleggiante,
di tipo tradizionale (come «abitanza»,
«continuanza», «dottanza» ecc.) ovvero
uscenti in «-mento» («consentimento»,
«correggimento», «guernimento» ecc.) o
in «-tore» («amatore», «andatore», «bef-
fatore», «componitore» ecc.), mentre le
forme legate all’espressione poetica (per
esempio «core» rispetto a «cuore», «foco»
e «loco» rispetto a «fuoco» e «luogo»)
sono strettamente confinate nelle poesie
che chiudono le singole giornate.
Un altro aspetto inerente il lessico,
anch’esso rivelatore della ben nota aper-
tura boccacciana verso la sua materia
narrativa, è l’uso di forme dialetta-
li là dove si tratti di caratterizzare
in modo realistico questo o quel
personaggio (per esempio, in IV,
2 i Veneziani sono chiamati «bèr-
goli», cioè «chiacchieroni», e affio-
rano forme come «marido», con la
sonorizzazione della «-t-» e «mo
vedi tu»; in VII, 7 troviamo
la forma bolognese «sali-
gastro» = «salice selvati-
co»; in VIII, 10, di am-
bientazione siciliana,
un personaggio pro-
nuncia le parole «tu
m’hai miso lo foco
all’arma, toscano
acanino»).
Gian Francesco Rustici,
Boccaccio con il suo
libro
, 1503. Certaldo,
Chiesa dei Santi Jacopo
e Michele.
10 V1C8 Boccaccio 468-634.indd 499
08/11/