Page 41 - 120900030473_roncoroni_latinitas

Basic HTML Version

Gli antichi e noi
Orazio, ovvero il costo di una morale laica
Un uomo alle prese con i suoi problemi
Alfonso
Traina (
Autoritratto di un poeta
cit., p. 15) ha osserva-
to che «Orazio è un problema a se stesso». L’osserva-
zione è molto giusta, anche se ci potrebbe sembrare
quasi ovvia: quale autore, quale uomo saggio non è un
problema per se stesso? Certamente lo era Catullo. Ma
mentre Catullo si limitava a piangere sui suoi problemi
e per risolverli chiedeva aiuto agli dèi (carme 76), Ora-
zio aspira a conquistare la serenità con le proprie forze:
aequum mi animum ipse parabo
, «la pace dell’animo me
la procurerò da me» (epistola
I 18, vv. 111-112). E qui la
sfida incomincia a essere stimolante anche per il lettore,
curioso di vedere se e come il poeta ne verrà fuori.
Un uomo importante…
La lettura di Orazio ci pro-
pone la parabola della vita di un uomo. Figlio di un
liberto di Venosa, egli ha conquistato grazie ai suoi
meriti e alla lungimiranza del padre una
posizione so-
ciale invidiabile
e rilevantissima, al punto da poter
diventare il segretario privato dell’uomo più potente
del mondo. Tuttavia, quando si è accorto che una po-
sizione di potere sarebbe stata di ostacolo alla sua li-
bertà, ha preferito rinunciare e farsi da parte: «chi per
timore della povertà rinuncia alla libertà, che vale più
di qualsiasi metallo prezioso, per la sua avidità porterà
sulle spalle un padrone in eterno» (epistola
I 10, vv.
39-41). E a Mecenate, i cui inviti a tornare a Roma si
facevano troppo insistenti, si dichiara disposto perfino
a restituire la villa avuta in dono: «Ai piccoli si addicono
piccole cose; a me non piace Roma regale, ma la tran-
quilla Tivoli e Taranto pacifica» (epistola
I 7, vv. 44-45).
… che ha saputo salvaguardare la propria libertà
È
una determinazione lontana dal nostro sentire comune,
avvezzo ad assegnare il primato alla visibilità e al potere
e a vedere gli intellettuali in corsa verso il prestigio e
le rendite connesse. Ma Orazio disponeva di una salda
armatura filosofica e morale: teneva fede alla virtù stoica
della coerenza; applicava il precetto epicureo «Vivi na-
scosto»; salvaguardava la propria libertà in base al prin-
cipio di Aristippo secondo cui bisogna sottomettere le
cose a sé, non sé alle cose (epistola
I 1, v. 19).
i limiti dell’
autárkeia
Di fronte a tale soluzione, il
lettore moderno non può che nutrire un sentimento di
profonda ammirazione
per le eccezionali doti di
auto-
controllo
con cui Orazio – come Mecenate e tanti altri
che potevano accedere ai centri del potere – riuscì a
non pregiudicare la propria libertà di vita e di pensiero.
Ma di fronte a Orazio avvertiamo anche una certa di-
stanza. In fondo l’
autárkeia
equivale alla
chiusura in
se stessi
e può comportare una rinuncia al rapporto
con gli altri. E qui la conclamata autosufficienza svela
i suoi limiti: anche se le espressioni più radicali come
quella contenuta nel verso in cui Orazio immagina un
ritiro completo in Lèbedo deserta (
oblitusque meorum,
obliviscendus et illis
, «dimentico dei miei e per essi da
dimenticare», epistola I 11, 9) non vanno prese alla let-
tera, certo è che la presunta serenità di Orazio deve es-
sere corretta alla luce del
funestus veternus
(«morta-
le torpore») che aleggia in molte epistole e della forte
percezione della precarietà
che si avverte nelle odi
più apprezzabili e più famose.
Mors ultima linea rerum est
(«La morte è la meta di tutte
le cose») suona il finale dell’epistola
I 16: una triste e di-
sillusa risposta all’esametro lucreziano
nil igitur mors est
ad nos neque pertinet hilum
(
De rerum natura
III 830,
«nulla dunque è la morte per noi e non ci riguarda af-
fatto»: ma era poi davvero tanto ottimista Lucrezio?).
il costo della libertà e il riscatto nell’arte
Dunque
che cosa ci insegna Orazio? Ci insegna che la libertà
ha un costo. Verso dopo verso, con estrema coerenza,
egli delinea i contorni di una morale e di una virtù as-
solutamente laiche nella loro purezza: una morale che
rinuncia a cercare soddisfazioni fuori di sé, una virtù in
cui si colgono gli splendori – ma anche i limiti – della
concezione pagana della vita e dei suoi valori.
Sulla strada della felicità, Orazio non è mai giunto alla
meta. Vi è giunta però la sua arte, che ha mostrato
quanto può la poesia, lasciando all’Occidente una ere-
dità insostituibile. L’eccellenza della forma, lo spessore
del messaggio, il dominio delle componenti emotive e
letterarie sono altrettante conquiste destinate a durare
nella lirica successiva, fino al nostro tempo. Ricercando
nella poesia la chiarezza e l’equilibrio di cui avvertiva
il bisogno in ambito morale, Orazio ha conquistato
un’arte matura nella sua esattezza concettuale e for-
male: un
modello di classicismo e di buon gusto
che non smette di parlare alla nostra sensibilità.
Per questo dalla lettura di Orazio si esce ristorati, si ri-
cava un senso di sollievo: se l’arte non è giunta ad an-
nientare i fantasmi che funestano un’esistenza, ha po-
tuto almeno esorcizzarli. E, una volta tanto, la sconfitta
dell’uomo e dei suoi ideali ha trovato un risarcimento
nella
vittoria della poesia
.
04 Orazio 150-244.indd 242
01/12/