Sezione I - Ordinamento giurisdizionale

Articolo 110

Ferme le competenze del Consiglio superiore della magistratura, spettano al Ministro della giustizia l’organizzazione e il funzionamento dei servizi relativi alla giustizia.

La storia

Con l’art. 110, l’Assemblea costituente volle affidare al Consiglio superiore della magistrature alcune funzioni che durante il regime fascista erano prerogativa del ministro della Giustizia, il quale, di fatto, aveva la possibilità di influenzare l’esito dei processi.
L’on. Meuccio Ruini (Gruppo Misto) spiegò: «Tutto quanto riguarda il personale, la sua carriera è regolato esclusivamente dal Consiglio; e il ministro è vincolato per tale riguardo alle sue decisioni. Ma, tranne ciò, resta al ministro e al suo ministero un campo non piccolo di attribuzioni. Sarà intaccata soltanto la direzione generale del personale. Ad ogni modo rimangono al ministero altri personali: cancellieri e uscieri; rimangono i servizi di prevenzione e di esecuzione delle pene… Il ministero conserva tutti i servizi amministrativi. Per quanto riguarda lo stesso personale della magistratura, se il ministro è vincolato alle decisioni del Consiglio superiore, deve però vigilarne la legalità; e non è un mero economo o gerente responsabile, come si vuole da qualcuno; è il responsabile davanti al Parlamento».

Il commento

L’art. 110 ha dato luogo a un contenzioso interpretativo circa le competenze spettanti al ministro della Giustizia.
Un primo indirizzo sostiene che al ministro compete solamente la gestione del personale ausiliario e degli allestimenti materiali necessari all’esercizio della giurisdizione.
Un secondo indirizzo afferma che sono di pertinenza del ministro tutti i provvedimenti per i quali non è prevista un’«implicita attribuzione al CSM o agli organi giurisdizionali» (per esempio, i poteri di vigilanza e sorveglianza sugli uffici giudiziari).
Nel 1958 è stata approvata una legge (n. 159) che proponeva un’interpretazione alquanto estesa dei poteri attribuibili al ministro della Giustizia: dopo numerose accuse di incostituzionalità, la legge è stata profondamente modificata in seguito ad alcuni interventi della Corte costituzionale, che hanno ribadito i limiti del ruolo del ministro della Giustizia e imposto un modello collaborativo fra CSM e ministro.
La Corte costituzionale – nel 1973 – ha ribadito che il ministro della Giustizia è «l’unico organo politicamente responsabile […] di quanto attiene all’organizzazione della giustizia ed al suo funzionamento», ma ha anche stabilito – nel 1992 e nel 2003 –   che l’attività di concertazione fra ministro e CSM non implica una riduzione dell’autonomia del CSM