La storia
Il primo comma dell’art. 27 – dove i costituenti ribadivano che ciascun individuo è perseguibile penalmente solamente per un fatto commesso da lui stesso – fu approvato in quanto i costituenti avevano ben presenti le rappresaglie compiute dal regime fascista su persone estranee ai fatti (e sui loro beni), nonché la persecuzione dei familiari dei cosiddetti «criminali politici» (ovvero, chiunque si opponeva apertamente al regime fascista).
Con il secondo comma, l’Assemblea volle ripristinare le garanzie cancellate dal regime fascista con il Codice penale del 1930.
Quanto al terzo comma, il suo significato era illustrato dall’on. Umberto Tupini (Democrazia cristiana): «[…] effettivamente la società non deve rinunciare ad ogni sforzo, ad ogni mezzo affinché colui che è caduto nelle maglie della giustizia, che deve essere giudicato, che deve essere anche condannato, dopo la condanna possa offrire delle possibilità di rieducazione».
Infine, l’Assemblea approvò senza alcuna osservazione la norma che escludeva la pena di morte dall’ordinamento giudiziario italiano.