
«La Storia che vorrei»
Un dossier a cura di Filippo Benfante e Francesco Staderini. Con interventi di Franco Bertini, Lucio Caracciolo e Adriano Roccucci, Alberto Cavaglion, Nicolò Da Lio, Maria Beatrice Di Castri, Miguel Gotor, Walter Panciera, Adriano Prosperi, Elena Tabacchi, Enrico Zanette.
Abbozzo di una consultazione «dal basso»
Sotto questo titolo, fin troppo audace, collochiamo un proposito più realistico: discutere di come si insegna e si può insegnare storia nella scuola italiana, cogliendo l’interesse sorto al riguardo a seguito delle prime anticipazioni relative alle nuove Indicazioni nazionali e alla recente pubblicazione, l’11 marzo scorso, delle Indicazioni relative al primo ciclo di istruzione (fino alla Scuola secondaria di primo grado). Nel corso del mese di febbraio, abbiamo interpellato insegnanti, storici, autori di manuali scolastici, consulenti editoriali ed esperti di didattica della storia, con cui, nel corso degli anni, abbiamo avuto modo di collaborare nell’ambito di ricerche e progetti legati alla storia e alla scuola, realizzati da Mondadori Education o in altri contesti.
La nostra intenzione è stata sollecitare chi ha esperienza di insegnamento della storia, sia pure con ruoli diversi e in contesti diversi, per mettere a fuoco le criticità e le esigenze di cambiamento che da queste esperienze emergono, in quello spirito di costruttiva dialettica democratica che dovrebbe caratterizzare ogni discussione di pubblico interesse.
La nostra intenzione è stata sollecitare chi ha esperienza di insegnamento della storia, sia pure con ruoli diversi e in contesti diversi, per mettere a fuoco le criticità e le esigenze di cambiamento che da queste esperienze emergono, in quello spirito di costruttiva dialettica democratica che dovrebbe caratterizzare ogni discussione di pubblico interesse.
«Come le fareste voi?»
La domanda che abbiamo posto ai nostri interlocutori e interlocutrici, idealmente, si riassume così: «Se toccasse a voi la revisione delle Indicazioni nazionali di storia, come la fareste?». Abbiamo proposto di svolgere la traccia liberamente, limitandoci a suggerire alcuni punti, che ci sembrano i pilastri della discussione:
- periodizzazioni e cronologie;
- il rapporto tra «competenze» e «conoscenze»;
- il rapporto con l’educazione civica (che talvolta sembra essere diventato presupposto, se non sinonimo, dell’insegnamento della storia a scuola);
- la questione della formazione degli e delle insegnanti.
Le risposte ricevute
Il nostro invito ha raccolto dieci risposte da uomini e donne di generazioni diverse: insegnanti, di scuola e università, in pensione o in servizio da più o meno anni; autori di manuali di scuola; un esperto di didattica della storia. Li ringraziamo qui, tutte e tutti, per la loro generosità.
Il nostro piccolo campione è accomunato dall’avere maggiore dimestichezza con ragazzi e ragazze più grandi, che frequentano l’ultimo triennio della scuola superiore – i licei più che gli istituti tecnici e professionali –, ma tutte e tutti hanno cercato, in misura maggiore o minore, di mettere a fuoco l’intero curricolo verticale di storia. Tutti e tutte condividono la centralità della storia come materia di insegnamento a scuola e per la formazione di una cittadinanza attiva e consapevole: si dà per sottinteso che la storia dovrà sempre accompagnare l’intero percorso di chi frequenta la scuola in Italia, dalla primaria alle superiori.
Al di là di questo, la gamma delle questioni emerse è molto ampia, e rimandiamo ai singoli contributi perché ognuno di essi contiene osservazioni acute e spunti originali. Ci limitiamo qui a evidenziare alcuni temi che a nostro avviso, nel complesso, spiccano sugli altri.
Il nostro piccolo campione è accomunato dall’avere maggiore dimestichezza con ragazzi e ragazze più grandi, che frequentano l’ultimo triennio della scuola superiore – i licei più che gli istituti tecnici e professionali –, ma tutte e tutti hanno cercato, in misura maggiore o minore, di mettere a fuoco l’intero curricolo verticale di storia. Tutti e tutte condividono la centralità della storia come materia di insegnamento a scuola e per la formazione di una cittadinanza attiva e consapevole: si dà per sottinteso che la storia dovrà sempre accompagnare l’intero percorso di chi frequenta la scuola in Italia, dalla primaria alle superiori.
Al di là di questo, la gamma delle questioni emerse è molto ampia, e rimandiamo ai singoli contributi perché ognuno di essi contiene osservazioni acute e spunti originali. Ci limitiamo qui a evidenziare alcuni temi che a nostro avviso, nel complesso, spiccano sugli altri.
Indicazioni e libertà
Le «indicazioni» hanno da tempo sostituito i «programmi» prescrittivi (si tratta di un pendant dell’autonomia scolastica più che del principio costituzionale della libertà di insegnamento), ma questo cambiamento è passato quasi inosservato nell’opinione pubblica, tra studenti e genitori, le cui aspettative sembrano cristallizzate all’esperienza avuta in proprio nella scuola di qualche decennio fa, e soprattutto non viene colto nemmeno da molti e molte insegnanti.
C’è unanime accordo sulla necessità di valorizzare la libertà di insegnamento, ma allo stesso tempo si sente l’esigenza di un «canone» che possa servire da base e da guida per gli e le insegnanti.
Un «canone» essenziale e realistico (rispetto ai tempi della scuola) di «storia generale» è necessario anche per trovare un corretto equilibrio tra lo sviluppo delle «competenze» – pratiche legate alla disciplina, con un valore generale per la formazione dei più giovani – e l’accumulo delle «conoscenze»; tale equilibrio appare essenziale per raggiungere l’obiettivo di consegnare a ragazze e ragazzi gli strumenti necessari per esercitare un autonomo «sguardo storico» sulla realtà e il presente che li circonda e da qui la capacità di esercitare una cittadinanza consapevole e attiva.
C’è unanime accordo sulla necessità di valorizzare la libertà di insegnamento, ma allo stesso tempo si sente l’esigenza di un «canone» che possa servire da base e da guida per gli e le insegnanti.
Un «canone» essenziale e realistico (rispetto ai tempi della scuola) di «storia generale» è necessario anche per trovare un corretto equilibrio tra lo sviluppo delle «competenze» – pratiche legate alla disciplina, con un valore generale per la formazione dei più giovani – e l’accumulo delle «conoscenze»; tale equilibrio appare essenziale per raggiungere l’obiettivo di consegnare a ragazze e ragazzi gli strumenti necessari per esercitare un autonomo «sguardo storico» sulla realtà e il presente che li circonda e da qui la capacità di esercitare una cittadinanza consapevole e attiva.
Lo spazio della storia contemporanea
La consacrazione del quinto anno al Novecento è apprezzata, benché il bilancio sia in chiaroscuro, anche perché nella pratica risulta difficile superare la prima metà del XX secolo. Alcuni suggeriscono la possibilità di dedicare il quinto anno alla storia «molto contemporanea» (per ricalcare un’espressione francese), partendo dalla Prima guerra mondiale, secondo la nozione di «secolo breve» di Hobsbawm, o addirittura dalla Seconda guerra mondiale.
In generale c’è molta attenzione per la storia contemporanea (questo peraltro è anche l’ambito per cui è più facile reperire strumenti didattici e formativi per gli e le insegnanti), che alcuni suggeriscono di reintrodurre in modo più strutturale anche nella scuola primaria (una delle questioni che resta in discussione anche nella prima bozza delle Indicazioni del 2025, dove si evoca solo un «racconto» del Risorgimento da impartire al secondo anno, lasciando alla storia contemporanea indicazioni ancora più vaghe e generiche rispetto alle Indicazioni del 2012).
Da qui discende anche l’invito a prendere sul serio l’innalzamento dell’obbligo scolastico (2006), pensando a un curricolo verticale che parta dalla scuola media per giungere al Novecento nel biennio delle superiori.
Qualcuno peraltro insiste sugli scuri del bilancio della riforma del 1996, e sottolinea la necessità di prendere le distanze dal tempo presente, per esplorare le «alterità» date dalla distanza temporale (storica e addirittura preistorica), anche come antidoto per ogni tentazione «identitaria». C’è comunque un punto di sostanziale accordo in tutte le risposte: la cronologia non deve essere un «tabù», non è necessario un insegnamento «lineare» che proceda dal remoto ai giorni nostri.
In generale c’è molta attenzione per la storia contemporanea (questo peraltro è anche l’ambito per cui è più facile reperire strumenti didattici e formativi per gli e le insegnanti), che alcuni suggeriscono di reintrodurre in modo più strutturale anche nella scuola primaria (una delle questioni che resta in discussione anche nella prima bozza delle Indicazioni del 2025, dove si evoca solo un «racconto» del Risorgimento da impartire al secondo anno, lasciando alla storia contemporanea indicazioni ancora più vaghe e generiche rispetto alle Indicazioni del 2012).
Da qui discende anche l’invito a prendere sul serio l’innalzamento dell’obbligo scolastico (2006), pensando a un curricolo verticale che parta dalla scuola media per giungere al Novecento nel biennio delle superiori.
Qualcuno peraltro insiste sugli scuri del bilancio della riforma del 1996, e sottolinea la necessità di prendere le distanze dal tempo presente, per esplorare le «alterità» date dalla distanza temporale (storica e addirittura preistorica), anche come antidoto per ogni tentazione «identitaria». C’è comunque un punto di sostanziale accordo in tutte le risposte: la cronologia non deve essere un «tabù», non è necessario un insegnamento «lineare» che proceda dal remoto ai giorni nostri.
Le dimensioni dei contesti
Tutti gli interventi qui raccolti precedono la bozza resa pubblica l’11 marzo, ma sono scritti conoscendo le anticipazioni che il ministro Giuseppe Valditara aveva consegnato alla stampa in gennaio e le polemiche che ne sono seguite, in particolare quella sulla priorità che si dovrebbe accordare alla storia italiana, europea, occidentale in nome di una «identità» nazionale.
Su un versante, come appena segnalato, si insiste su come lo studio della storia debba favorire un incontro con l’«alterità»: vite, esperienze, ambienti diversi da quelli che ci sono familiari in primo luogo perché distanti da noi nel tempo. Che questo incontro sia «fraterno», auspicava Marc Bloch nell’Apologia della storia, mettendo in guardia anche dall’«idolo delle radici».
Su un altro, ampliare i contesti equivale a moltiplicare i punti di vista. Questa moltiplicazione di punti di vista deve non ridursi a una semplice giustapposizione, ma aiutare a mettere in luce le reti di rapporti, non per forza pacifici e simmetrici, le relazioni di interdipendenza, le gerarchie, all’interno di quadri che evolvono nel tempo. Anche in questo caso, più che lo specifico oggetto o contesto di studio, conta un approccio – o una «competenza» – in grado di mettere in discussione le gerarchie consolidate e illuminare aspetti che sfuggono a letture tradizionali. La discussione sul «cosa» può dunque essere oziosa, se non riguarda anche il «come».
Su un versante, come appena segnalato, si insiste su come lo studio della storia debba favorire un incontro con l’«alterità»: vite, esperienze, ambienti diversi da quelli che ci sono familiari in primo luogo perché distanti da noi nel tempo. Che questo incontro sia «fraterno», auspicava Marc Bloch nell’Apologia della storia, mettendo in guardia anche dall’«idolo delle radici».
Su un altro, ampliare i contesti equivale a moltiplicare i punti di vista. Questa moltiplicazione di punti di vista deve non ridursi a una semplice giustapposizione, ma aiutare a mettere in luce le reti di rapporti, non per forza pacifici e simmetrici, le relazioni di interdipendenza, le gerarchie, all’interno di quadri che evolvono nel tempo. Anche in questo caso, più che lo specifico oggetto o contesto di studio, conta un approccio – o una «competenza» – in grado di mettere in discussione le gerarchie consolidate e illuminare aspetti che sfuggono a letture tradizionali. La discussione sul «cosa» può dunque essere oziosa, se non riguarda anche il «come».
Il tempo della scuola, il tempo della formazione
La nostra sollecitazione aveva anche lo scopo di discutere aspetti concreti e quotidiani di quanto effettivamente accade nelle aule. Tra gli altri è emerso in particolare quello del tempo a disposizione: nessuna richiesta di «un’ora in più» (nella consapevolezza che tutte le discipline la richiederebbero, e in ogni caso non la cederebbero), ma un’analisi pragmatica del monte ore, decurtato non solo dalle numerose attività extracurricolari in orario scolastico, ma anche dalle attività di valutazione.
La questione è dunque come utilizzare al meglio le ore disponibili, e a esse commisurare contenuti e obiettivi. Sullo sfondo, cruciali, la formazione di chi è chiamato a insegnare, i supporti didattici, le attività di aggiornamento e autoformazione su cui può contare, per alimentare non solo una specifica professionalità, ma quel requisito immateriale che è la passione per la storia.
Sono tutte questioni su cui la discussione dovrebbe essere continua, pubblica, ampia, non legata solo a periodiche riforme, ma costituiva di un mestiere complesso qual è quello di insegnare. Per questo, contiamo di tornare sull’argomento. Intanto, è ora di dare la parola a chi ha accettato di partecipare a questa «consultazione dal basso».
La questione è dunque come utilizzare al meglio le ore disponibili, e a esse commisurare contenuti e obiettivi. Sullo sfondo, cruciali, la formazione di chi è chiamato a insegnare, i supporti didattici, le attività di aggiornamento e autoformazione su cui può contare, per alimentare non solo una specifica professionalità, ma quel requisito immateriale che è la passione per la storia.
Sono tutte questioni su cui la discussione dovrebbe essere continua, pubblica, ampia, non legata solo a periodiche riforme, ma costituiva di un mestiere complesso qual è quello di insegnare. Per questo, contiamo di tornare sull’argomento. Intanto, è ora di dare la parola a chi ha accettato di partecipare a questa «consultazione dal basso».
Per leggere i singoli contributi
- Franco Bertini, Un canone serve
- Lucio Caracciolo, Adriano Roccucci, Rivolgersi alla storia, con passione
- Alberto Cavaglion, Il bilancio di un insegnante in pensione, con alcune proposte per il futuro
- Nicolò Da Lio, Impressioni ed esperienze di chi insegna da qualche anno
- Maria Beatrice Di Castri, «Fare storia» a scuola oggi
- Miguel Gotor, Alcuni auspici in vista della «riforma»
- Walter Panciera, La scuola risponda alla domanda di storia delle giovani generazioni
- Adriano Prosperi, Sull’insegnamento della storia a scuola, in vista della sua riforma
- Elena Tabacchi, Spazio al Novecento e a una storiografia aggiornata
- Enrico Zanette, Rompere l’ordine cronologico