La tutela del territorio e il dissesto idrogeologico
Competenze e responsabilità
di Alessandro M. Basso, gennaio 2025
Il territorio italiano è ormai continuamente funestato da eventi idrogeologici di significativa portata, con danni a strutture pubbliche e private e spesso con vittime umane. Delineiamo un quadro sintetico delle competenze e delle responsabilità in materia.
L’autore: Alessandro M. Basso è docente di Diritto ed Economia politica, avvocato, geometra abilitato e giornalista pubblicista e Dottore di Ricerca Interfacoltà “Giurisprudenza-Agraria” in “uomo-ambiente”.
L’autore: Alessandro M. Basso è docente di Diritto ed Economia politica, avvocato, geometra abilitato e giornalista pubblicista e Dottore di Ricerca Interfacoltà “Giurisprudenza-Agraria” in “uomo-ambiente”.
L’evoluzione della normativa
In Italia, a partire dalla proclamazione del Regno d’Italia e con un significativo incremento dopo l’entrata in vigore della Carta costituzionale, numerosi provvedimenti legislativi si sono succeduti in materia di relazione tra uomo e ambiente, seppur con diverse rationes legis.
Dapprima l’attenzione si è focalizzata sul rapporto tra modalità di sfruttamento delle risorse naturali e pubblici interessi (l. n. 2248/1865) e sull’introduzione del vincolo forestale (l. n. 3917/1877); in seguito, si è sviluppata in ambito di opere idrauliche e bonifica (R.D. n. 523/1904, R.D. n. 215/1933 e R.D. n. 2669/1937) e difesa del suolo (R.D. n. 3267/1923, l. n. 183/1989), giungendo al concetto di rischio idrogeologico (l. n. 267/1998); infine, si è approdati al riordino normativo in ambito di salvaguardia e miglioramento delle condizioni dell’ambiente (d.lgs n. 152/2006), costituzionalizzato nell’art. 9, comma 3 della Costituzione (l. cost. 11 febbraio 2022, n. 1).
Questo percorso della legislazione italiana conferma l’importanza universale del corretto uso delle risorse naturali, in quanto vitali per l’esistenza dell’essere umano. Assistiamo invece a un approccio che pone in alternativa le esigenze economiche e sociali (incremento delle aree urbanizzate a discapito delle aree naturali e di quelle agricole, emissioni inquinanti e di gas serra) con le esigenze di tutela dell’ambiente naturale e del territorio. Il risultato è l’incremento e l’intensificazione di fenomeni naturali avversi, come deficit idrici e siccità, alluvioni, tempeste e inondazioni, frane e valanghe, ondate di calore estreme, erosioni costiere.
Opere ed attività devono, quindi, essere compatibili sul piano ambientale ovvero il relativo impatto non deve pregiudicarne le risorse.
Canone di buon senso, oltreché principio giuridico, è agire secondo precauzione, ovvero senza aspettare la produzione del danno quando ne ricorra la minaccia grave o irreversibile. Tale principio non va tuttavia interpretato quale divieto automatico per ogni attività che, in via di mera ipotesi, sia ritenuta rischiosa (TAR Lazio-Roma, 11-01-2017 n. 451).
Dapprima l’attenzione si è focalizzata sul rapporto tra modalità di sfruttamento delle risorse naturali e pubblici interessi (l. n. 2248/1865) e sull’introduzione del vincolo forestale (l. n. 3917/1877); in seguito, si è sviluppata in ambito di opere idrauliche e bonifica (R.D. n. 523/1904, R.D. n. 215/1933 e R.D. n. 2669/1937) e difesa del suolo (R.D. n. 3267/1923, l. n. 183/1989), giungendo al concetto di rischio idrogeologico (l. n. 267/1998); infine, si è approdati al riordino normativo in ambito di salvaguardia e miglioramento delle condizioni dell’ambiente (d.lgs n. 152/2006), costituzionalizzato nell’art. 9, comma 3 della Costituzione (l. cost. 11 febbraio 2022, n. 1).
Questo percorso della legislazione italiana conferma l’importanza universale del corretto uso delle risorse naturali, in quanto vitali per l’esistenza dell’essere umano. Assistiamo invece a un approccio che pone in alternativa le esigenze economiche e sociali (incremento delle aree urbanizzate a discapito delle aree naturali e di quelle agricole, emissioni inquinanti e di gas serra) con le esigenze di tutela dell’ambiente naturale e del territorio. Il risultato è l’incremento e l’intensificazione di fenomeni naturali avversi, come deficit idrici e siccità, alluvioni, tempeste e inondazioni, frane e valanghe, ondate di calore estreme, erosioni costiere.
Opere ed attività devono, quindi, essere compatibili sul piano ambientale ovvero il relativo impatto non deve pregiudicarne le risorse.
Canone di buon senso, oltreché principio giuridico, è agire secondo precauzione, ovvero senza aspettare la produzione del danno quando ne ricorra la minaccia grave o irreversibile. Tale principio non va tuttavia interpretato quale divieto automatico per ogni attività che, in via di mera ipotesi, sia ritenuta rischiosa (TAR Lazio-Roma, 11-01-2017 n. 451).
Le competenze ordinarie
La Carta costituzionale (art. 117 Cost.) conferisce sia allo Stato sia alle Regioni la possibilità di intervenire in via legislativa a tutela dei beni di interesse generale. Più precisamente, lo Stato è titolare di potestà esclusiva in ambito di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, mentre le Regioni possono agire, in via concorrente, a tutela della salute, governo del territorio e protezione civile (Corte Cost. n. 8/2016).
Quindi, si configura una trasversalità di funzioni e di interessi: le singole Regioni sono titolari di competenze finalizzate alla cura di interessi funzionalmente collegati con quelli propriamente ambientali, mentre spetta allo Stato il potere di fissare gli standards minimi di tutela uniformi sull’intero territorio nazionale (Corte Cost. n. 210/2016 e n. 378/2007).
Dopo l’istituzione, presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, di un’apposita Struttura di missione contro il dissesto idrogeologico (art. 10, c. 11, d.l. n. 91/2014), i compiti sono stati trasferiti (D.l. n. 86/2018) al Ministero dell’ambiente. Inoltre, è stata istituita una cabina di regia (Strategia Italia) per verificare lo stato di attuazione degli interventi connessi a fattori di rischio per il territorio (art. 40 d.l. n. 109/2018 e D.P.C.M. 15-02-2019). Infine, è stata introdotta la denominazione di Commissario di Governo per il contrasto al dissesto idrogeologico (art. 36-ter d.l. n. 77/2021).
Il Ministero della transizione ecologica deve trasmettere annualmente al Parlamento, entro il 30 giugno, una relazione contenente l’indicazione degli interventi per il contrasto al dissesto e il loro stato di attuazione.
Al Presidente del Consiglio dei ministri sono attribuite funzioni di indirizzo e coordinamento e, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, l’approvazione dei piani di bacino (su proposta del Ministro dell’ambiente e sentita la Conferenza Stato-Regioni) e del programma nazionale di intervento per gli interventi nel settore della difesa del suolo (su proposta del Comitato dei Ministri). Inoltre, il Presidente del Consiglio è titolare del potere sostitutivo di carattere generale, che esercita su proposta del Ministro dell’ambiente e previa diffida.
Il Comitato dei Ministri per gli interventi nel settore della difesa del suolo definisce, d’intesa con la Conferenza Stato-Regioni, programmi di interventi urgenti per la riduzione del rischio idrogeologico e predispone lo schema di programma nazionale di intervento per il triennio.
Gli interventi di mitigazione del rischio idrogeologico sono individuati con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri su proposta del Ministro dell’ambiente: con DPCM si individuano i criteri e le modalità per stabilire le priorità di attribuzione delle risorse. Tali interventi sono qualificati come opere di preminente interesse nazionale aventi carattere prioritario ed è possibile procedere all’occupazione d’urgenza ai fini dell’espropriazione delle aree occorrenti per la loro realizzazione.
Alle Regioni spettano varie funzioni in materia di conservazione e difesa del territorio, del suolo e del sottosuolo e delle acque nei bacini idrografici: tra queste, il rilevamento e l’elaborazione dei piani di bacino dei distretti idrografici, la polizia idraulica, la redazione di una relazione annuale sull’uso del suolo e sulle condizioni dell’assetto idrogeologico, da trasmettere al Ministro di settore entro il mese di dicembre.
Elemento di raccordo tra Amministrazione centrale e Amministrazione periferica è la Conferenza Stato-Regioni, titolare di funzioni consultive sui piani di bacino e sulla ripartizione degli stanziamenti autorizzati.
Gli enti locali partecipano all’esercizio delle funzioni regionali:
In caso di aree a rischio idrogeologico molto elevato per l’incolumità delle persone e per la sicurezza delle infrastrutture e del patrimonio ambientale e culturale, vi è la possibilità di adottare piani straordinari finalizzati all’individuazione e alla perimetrazione delle suddette aree, nonché la possibilità di nominare commissari straordinari per la realizzazione di interventi urgenti (art. 17 D.L. n. 195/2009), individuati nella figura dei Presidenti delle Regioni (l. n. 6/2014).
Questi ultimi, in tale veste giuridico-istituzionale, possono avvalersi di strutture e uffici di altri Enti (Comuni, provveditorati interregionali alle opere pubbliche, ANAS S.p.A., consorzi di bonifica e autorità di distretto, società a totale capitale pubblico ovvero società dalle stesse controllate), nonché delle strutture commissariali già esistenti (l. 11-08-2014 n. 116).
L’autorizzazione rilasciata dal Presidente della Regione ha valore trasversale e omnibus: essa, infatti, rileva quale dichiarazione di pubblica utilità e come variante agli strumenti di pianificazione urbanistica e territoriale e sostituisce tutti i provvedimenti abilitativi necessari per l’esecuzione dell’intervento, fatti salvi i provvedimenti previsti dal Codice dei beni culturali e del paesaggio.
In riferimento al rischio alluvione, l’ordinamento prescrive l’obbligo di valutazione preliminare del rischio, elaborazione delle mappe di pericolosità e di rischio, predisposizione dei piani di gestione del rischio.
Sono inoltre previsti piani di bacino di rilievo nazionale e distrettuali. Le Autorità di bacino possono redigere piani di bacino anche “per sottobacini o stralci relativi a settori funzionali” e derogare alle ordinarie procedure di adozione dei piani di bacino per approvare i piani straordinari diretti a rimuovere le situazioni a più elevato rischio idrogeologico. Le Autorità di bacino distrettuali hanno la competenza per la valutazione preliminare del rischio di alluvioni, l’individuazione delle zone a rischio potenziale di alluvioni e la predisposizione delle mappe di pericolosità e del rischio di alluvioni.
Quindi, si configura una trasversalità di funzioni e di interessi: le singole Regioni sono titolari di competenze finalizzate alla cura di interessi funzionalmente collegati con quelli propriamente ambientali, mentre spetta allo Stato il potere di fissare gli standards minimi di tutela uniformi sull’intero territorio nazionale (Corte Cost. n. 210/2016 e n. 378/2007).
Dopo l’istituzione, presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, di un’apposita Struttura di missione contro il dissesto idrogeologico (art. 10, c. 11, d.l. n. 91/2014), i compiti sono stati trasferiti (D.l. n. 86/2018) al Ministero dell’ambiente. Inoltre, è stata istituita una cabina di regia (Strategia Italia) per verificare lo stato di attuazione degli interventi connessi a fattori di rischio per il territorio (art. 40 d.l. n. 109/2018 e D.P.C.M. 15-02-2019). Infine, è stata introdotta la denominazione di Commissario di Governo per il contrasto al dissesto idrogeologico (art. 36-ter d.l. n. 77/2021).
Il Ministero della transizione ecologica deve trasmettere annualmente al Parlamento, entro il 30 giugno, una relazione contenente l’indicazione degli interventi per il contrasto al dissesto e il loro stato di attuazione.
Al Presidente del Consiglio dei ministri sono attribuite funzioni di indirizzo e coordinamento e, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, l’approvazione dei piani di bacino (su proposta del Ministro dell’ambiente e sentita la Conferenza Stato-Regioni) e del programma nazionale di intervento per gli interventi nel settore della difesa del suolo (su proposta del Comitato dei Ministri). Inoltre, il Presidente del Consiglio è titolare del potere sostitutivo di carattere generale, che esercita su proposta del Ministro dell’ambiente e previa diffida.
Il Comitato dei Ministri per gli interventi nel settore della difesa del suolo definisce, d’intesa con la Conferenza Stato-Regioni, programmi di interventi urgenti per la riduzione del rischio idrogeologico e predispone lo schema di programma nazionale di intervento per il triennio.
Gli interventi di mitigazione del rischio idrogeologico sono individuati con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri su proposta del Ministro dell’ambiente: con DPCM si individuano i criteri e le modalità per stabilire le priorità di attribuzione delle risorse. Tali interventi sono qualificati come opere di preminente interesse nazionale aventi carattere prioritario ed è possibile procedere all’occupazione d’urgenza ai fini dell’espropriazione delle aree occorrenti per la loro realizzazione.
Alle Regioni spettano varie funzioni in materia di conservazione e difesa del territorio, del suolo e del sottosuolo e delle acque nei bacini idrografici: tra queste, il rilevamento e l’elaborazione dei piani di bacino dei distretti idrografici, la polizia idraulica, la redazione di una relazione annuale sull’uso del suolo e sulle condizioni dell’assetto idrogeologico, da trasmettere al Ministro di settore entro il mese di dicembre.
Elemento di raccordo tra Amministrazione centrale e Amministrazione periferica è la Conferenza Stato-Regioni, titolare di funzioni consultive sui piani di bacino e sulla ripartizione degli stanziamenti autorizzati.
Gli enti locali partecipano all’esercizio delle funzioni regionali:
- la Provincia si occupa, tra l’altro, dei piani territoriali di coordinamento per la difesa del suolo e dei piani di previsione;
- al Comune spettano la pianificazione urbanistica e i piani di protezione civile; il Sindaco, quale organo locale di protezione civile, provvede con tutti i mezzi a disposizione, agli interventi immediati, dandone subito notizia al Prefetto (art. 50 d.lgs. 18-08-2000 n. 267) e ha la potestà di emanare ordinanze contingibili ed urgenti.
- ai Consorzi di bonifica spettano la gestione delle reti idrauliche di competenza e i pareri di compatibilità idraulica.
In caso di aree a rischio idrogeologico molto elevato per l’incolumità delle persone e per la sicurezza delle infrastrutture e del patrimonio ambientale e culturale, vi è la possibilità di adottare piani straordinari finalizzati all’individuazione e alla perimetrazione delle suddette aree, nonché la possibilità di nominare commissari straordinari per la realizzazione di interventi urgenti (art. 17 D.L. n. 195/2009), individuati nella figura dei Presidenti delle Regioni (l. n. 6/2014).
Questi ultimi, in tale veste giuridico-istituzionale, possono avvalersi di strutture e uffici di altri Enti (Comuni, provveditorati interregionali alle opere pubbliche, ANAS S.p.A., consorzi di bonifica e autorità di distretto, società a totale capitale pubblico ovvero società dalle stesse controllate), nonché delle strutture commissariali già esistenti (l. 11-08-2014 n. 116).
L’autorizzazione rilasciata dal Presidente della Regione ha valore trasversale e omnibus: essa, infatti, rileva quale dichiarazione di pubblica utilità e come variante agli strumenti di pianificazione urbanistica e territoriale e sostituisce tutti i provvedimenti abilitativi necessari per l’esecuzione dell’intervento, fatti salvi i provvedimenti previsti dal Codice dei beni culturali e del paesaggio.
In riferimento al rischio alluvione, l’ordinamento prescrive l’obbligo di valutazione preliminare del rischio, elaborazione delle mappe di pericolosità e di rischio, predisposizione dei piani di gestione del rischio.
Sono inoltre previsti piani di bacino di rilievo nazionale e distrettuali. Le Autorità di bacino possono redigere piani di bacino anche “per sottobacini o stralci relativi a settori funzionali” e derogare alle ordinarie procedure di adozione dei piani di bacino per approvare i piani straordinari diretti a rimuovere le situazioni a più elevato rischio idrogeologico. Le Autorità di bacino distrettuali hanno la competenza per la valutazione preliminare del rischio di alluvioni, l’individuazione delle zone a rischio potenziale di alluvioni e la predisposizione delle mappe di pericolosità e del rischio di alluvioni.
La Protezione civile
Il Servizio nazionale della protezione civile, istituito con l. n. 225/1992 e riformato dal d.lgs. 02-01-2018 n. 1, ha per obiettivo la tutela della vita, dei beni, degli insediamenti e dell’ambiente da danni o pericoli causati da calamità naturali. A tal fine, la Protezione civile è titolare di compiti di previsione, prevenzione (informazione, allerta, pianificazione) e mitigazione dei rischi, nonché di gestione e superamento dell’emergenza (ripristino dei servizi essenziali, riduzione del rischio residuo, ricognizione dei danni).
Sotto il profilo formale, le funzioni di indirizzo e coordinamento sono affidate al Presidente del Consiglio dei ministri. Presso la Presidenza del Consiglio dei ministri è istituito il Dipartimento della protezione civile.
In termini procedurali, in caso di emergenze di rilievo nazionale, il Consiglio dei ministri, su proposta del Presidente del Consiglio (a sua volta allertato dal Capo Dipartimento Protezione civile) e previa intesa con la Regione o la Provincia autonoma interessata, delibera lo stato di emergenza e la mobilitazione del servizio nazionale.
Lo stato di emergenza di rilievo nazionale, normalmente, non può superare la durata di dodici mesi ed è prorogabile per non più di ulteriori dodici mesi.
Sotto il profilo formale, le funzioni di indirizzo e coordinamento sono affidate al Presidente del Consiglio dei ministri. Presso la Presidenza del Consiglio dei ministri è istituito il Dipartimento della protezione civile.
In termini procedurali, in caso di emergenze di rilievo nazionale, il Consiglio dei ministri, su proposta del Presidente del Consiglio (a sua volta allertato dal Capo Dipartimento Protezione civile) e previa intesa con la Regione o la Provincia autonoma interessata, delibera lo stato di emergenza e la mobilitazione del servizio nazionale.
Lo stato di emergenza di rilievo nazionale, normalmente, non può superare la durata di dodici mesi ed è prorogabile per non più di ulteriori dodici mesi.
Le responsabilità
La responsabilità è una diretta conseguenza di comportamenti in violazione di una norma e connessi all’evento dannoso. L’ordinamento codifica vari tipi di responsabilità e ne prevede, quando possibile, la cumulabilità.
Possono rientrare nel perimetro delle responsabilità tutti coloro che, in qualità di pubblici amministratori, funzionari o collaboratori a vario titolo (ad esempio progettisti, direttore dei lavori), abbiano contribuito a provocare l’evento dannoso mediante omissione o adozione di atti e/o provvedimenti di competenza: quando, cioè, non hanno agito in modo tale da evitare il danno e, dunque, hanno agito con colpa grave o in modo particolarmente imprudente (ad esempio per non aver adottato misure cautelari e di protezione, o per non aver svolto correttamente le analisi geologiche, o per aver progettato un intervento inefficace).
Sul piano formale, si può distinguere tra causalità attiva e causalità omissiva di un evento dannoso derivante da eventi naturali o calamità: nel primo caso, l’evento è oggettivamente addebitabile a chi l’abbia cagionato (o abbia contribuito a cagionarlo), indipendentemente dalla circostanza che l’agente sia titolare di una posizione di garanzia; nel secondo caso, invece, rileva la posizione di garanzia e, dunque, è necessario individuare la persona fisica che aveva l’obbligo giuridico di impedire l’evento.
Elemento di valutazione è, comunque, se l’evento fosse evitabile dall’agente, ad esempio mediante adozione di regole cautelari. Segnatamente, è fonte di responsabilità il comportamento del Sindaco che, dopo una frana, adotti un’ordinanza in deroga a un precedente provvedimento di evacuazione della zona, senza valutare adeguatamente il rischio gravante sulla popolazione comunale e senza aver preso contatto con la Prefettura per la doverosa richiesta di informazioni e delucidazioni (Cass. Sez. III ord. 21-02-2024 n. 4614). Il Comune ha, cioè, l’obbligo di attivarsi per allertare, con ogni mezzo, la popolazione ovvero deve adottare misure adeguate (Cass. Sez. III Civ. 15-01-2020 n. 512).
Due sono le possibili fattispecie civilistiche applicabili in caso di danni da frana o da alluvione: l’art. 2051 c.c. e l’art. 2043 c.c.
Nel primo caso, l’onere della prova è a carico del soggetto convenuto il quale, a fini liberatori, deve dimostrare il caso fortuito ovvero di aver realizzato tutti gli interventi necessari per evitare il danno, che si è, dunque, verificato soltanto perché è avvenuto qualcosa di imprevedibile che abbia interrotto il nesso eziologico tra la cosa e l’evento lesivo.
Nel secondo caso, l’onere della prova spetta al danneggiato il quale deve, quindi, dimostrare la colpa dell’ente, cioè, che esso non abbia adottato le cautele necessarie per evitare il danno.
È determinante il rapporto tra caso fortuito e responsabilità: quando, cioè, l’evento è qualificabile in termini di caso fortuito, non si configurano ipotesi di responsabilità punibile.
L’evento, anche di notevole intensità, è qualificabile come caso fortuito esclusivamente se eccezionale e imprevedibile: deve, cioè, esservi l’obiettiva inverosimiglianza dell’evento e una sensibile deviazione dalla normale frequenza statistica. Si ritiene che l’evento, se già verificatosi in un dato arco temporale, non possa più essere qualificato eccezionale e imprevedibile (Cass. Sez. Un. Civ. 26-02-2021 n. 5422).
Considerata tale forbice tra danno, responsabilità e caso fortuito, l’ordinamento ha previsto l’obbligo di polizza assicurativa a carico delle imprese contro le calamità naturali (l. 30-12-2023 n. 213, art. 1 co. 101/111). Inoltre, nei comuni alluvionati, vi è la possibilità di pervenire alla sospensione del pagamento delle utenze, come acqua, gas, energia elettrica (d.l. n. 61/2023, delib. 13-06-2023 n. 267).
Sul piano penalistico, infine, con l’introduzione dei delitti contro l’ambiente (l. n. 68/2015), si è estesa la tutela di quest’ultimo (inteso come bene e valore a sé stante) non più soltanto al caso di lesione della pubblica incolumità.
Possono rientrare nel perimetro delle responsabilità tutti coloro che, in qualità di pubblici amministratori, funzionari o collaboratori a vario titolo (ad esempio progettisti, direttore dei lavori), abbiano contribuito a provocare l’evento dannoso mediante omissione o adozione di atti e/o provvedimenti di competenza: quando, cioè, non hanno agito in modo tale da evitare il danno e, dunque, hanno agito con colpa grave o in modo particolarmente imprudente (ad esempio per non aver adottato misure cautelari e di protezione, o per non aver svolto correttamente le analisi geologiche, o per aver progettato un intervento inefficace).
Sul piano formale, si può distinguere tra causalità attiva e causalità omissiva di un evento dannoso derivante da eventi naturali o calamità: nel primo caso, l’evento è oggettivamente addebitabile a chi l’abbia cagionato (o abbia contribuito a cagionarlo), indipendentemente dalla circostanza che l’agente sia titolare di una posizione di garanzia; nel secondo caso, invece, rileva la posizione di garanzia e, dunque, è necessario individuare la persona fisica che aveva l’obbligo giuridico di impedire l’evento.
Elemento di valutazione è, comunque, se l’evento fosse evitabile dall’agente, ad esempio mediante adozione di regole cautelari. Segnatamente, è fonte di responsabilità il comportamento del Sindaco che, dopo una frana, adotti un’ordinanza in deroga a un precedente provvedimento di evacuazione della zona, senza valutare adeguatamente il rischio gravante sulla popolazione comunale e senza aver preso contatto con la Prefettura per la doverosa richiesta di informazioni e delucidazioni (Cass. Sez. III ord. 21-02-2024 n. 4614). Il Comune ha, cioè, l’obbligo di attivarsi per allertare, con ogni mezzo, la popolazione ovvero deve adottare misure adeguate (Cass. Sez. III Civ. 15-01-2020 n. 512).
Due sono le possibili fattispecie civilistiche applicabili in caso di danni da frana o da alluvione: l’art. 2051 c.c. e l’art. 2043 c.c.
Nel primo caso, l’onere della prova è a carico del soggetto convenuto il quale, a fini liberatori, deve dimostrare il caso fortuito ovvero di aver realizzato tutti gli interventi necessari per evitare il danno, che si è, dunque, verificato soltanto perché è avvenuto qualcosa di imprevedibile che abbia interrotto il nesso eziologico tra la cosa e l’evento lesivo.
Nel secondo caso, l’onere della prova spetta al danneggiato il quale deve, quindi, dimostrare la colpa dell’ente, cioè, che esso non abbia adottato le cautele necessarie per evitare il danno.
È determinante il rapporto tra caso fortuito e responsabilità: quando, cioè, l’evento è qualificabile in termini di caso fortuito, non si configurano ipotesi di responsabilità punibile.
L’evento, anche di notevole intensità, è qualificabile come caso fortuito esclusivamente se eccezionale e imprevedibile: deve, cioè, esservi l’obiettiva inverosimiglianza dell’evento e una sensibile deviazione dalla normale frequenza statistica. Si ritiene che l’evento, se già verificatosi in un dato arco temporale, non possa più essere qualificato eccezionale e imprevedibile (Cass. Sez. Un. Civ. 26-02-2021 n. 5422).
Considerata tale forbice tra danno, responsabilità e caso fortuito, l’ordinamento ha previsto l’obbligo di polizza assicurativa a carico delle imprese contro le calamità naturali (l. 30-12-2023 n. 213, art. 1 co. 101/111). Inoltre, nei comuni alluvionati, vi è la possibilità di pervenire alla sospensione del pagamento delle utenze, come acqua, gas, energia elettrica (d.l. n. 61/2023, delib. 13-06-2023 n. 267).
Sul piano penalistico, infine, con l’introduzione dei delitti contro l’ambiente (l. n. 68/2015), si è estesa la tutela di quest’ultimo (inteso come bene e valore a sé stante) non più soltanto al caso di lesione della pubblica incolumità.