La nuova finanza ESG
E come Enviroment, S come Social, G come Governance
di Laura Piatti, 13 Aprile 2023
Anche la finanza, come la politica e l’economia, si interroga in questi ultimi anni su quale potrebbe essere il suo ruolo nella promozione di affari e di azioni più coerenti con la tutela dell’ambiente e del clima, con la correttezza dei comportamenti e l’etica del business, con la sostenibilità nel lungo termine del modello di sviluppo connesso alla finanziarizzazione dei sistemi economici.
L’autrice: Laura Patti è professore affiliato della Facoltà di Economia e Statistica, Università di Torino, e dirigente del Gruppo Intesa Sanpaolo. Ha lavorato in ambito finanziario presso Autorità di vigilanza, Istituzioni e Intermediari
L’autrice: Laura Patti è professore affiliato della Facoltà di Economia e Statistica, Università di Torino, e dirigente del Gruppo Intesa Sanpaolo. Ha lavorato in ambito finanziario presso Autorità di vigilanza, Istituzioni e Intermediari
Premessa
Il noto economista statunitense Joseph Stiglitz scrive, in un articolo di qualche mese fa: “costringiamo la finanza a salvare il pianeta”. Sembra una sorta di paradosso, se osservato in particolare con gli occhi di chi ha vissuto o ha studiato gli ultimi 15 anni di storia del sistema finanziario internazionale.
Per poter analizzare la definizione e le prospettive della cosiddetta finanza sostenibile e degli investimenti ESG (ossia orientati alla salvaguardia dell’ambiente, alla tenuta e al sostegno della società e dei suoi componenti, al corretto governo delle imprese), cominciamo con una breve rivisitazione del ruolo della finanza in questi ultimi anni.
Per poter analizzare la definizione e le prospettive della cosiddetta finanza sostenibile e degli investimenti ESG (ossia orientati alla salvaguardia dell’ambiente, alla tenuta e al sostegno della società e dei suoi componenti, al corretto governo delle imprese), cominciamo con una breve rivisitazione del ruolo della finanza in questi ultimi anni.
La finanza è stata finora sostenibile?
La crisi finanziaria del 2008 è stata generata dal fenomeno dei mutui cosiddetti “subprime”, ossia da una forzata concessione del credito da parte delle banche americane a famiglie con bassa capacità di spesa e di risparmio. Essa ha condotto a una repentina perdita di valore delle case così acquistate e si è propagata al sistema finanziario mondiale attraverso la creazione di titoli ad alto rendimento e scarsa trasparenza, perché di fatto collegati agli attivi di quelle stesse banche – ossia ai mutui oramai non più esigibili – che necessariamente avevano un valore pressoché nullo (i cosiddetti “titoli spazzatura” o “junk bond”).
La crisi, diventata così “paradigmatica”, si è propagata dalle banche all’economia reale, e dunque agli investimenti, ai consumi, all’occupazione, alla stabilità di interi Paesi.
La recessione che si è velocemente presentata ha creato situazioni difficili per le finanze di alcuni Stati (tra cui l’Italia) che hanno dovuto, in particolare nel 2012 e 2013, adottare politiche di austerità, di riduzione del loro debito (sappiamo che anche i Governi si possono indebitare emettendo titoli) e di revisione degli interventi a sostegno di famiglie e imprese.
Ha fatto seguito un periodo di politiche finanziarie orientate a ripristinare investimenti e consumi privati, attraverso la compressione del costo del credito (tassi di interesse a zero). Tuttavia, dalla fine del 2019 il propagarsi della pandemia ha avviato un ennesimo ciclo di caduta delle economie mondiali, a cui i Governi hanno risposto con interventi straordinari, finanziati dalla creazione di linee di credito speciali da parte delle Banche Centrali.
Il tema della transizione ecologica e dell’importanza di destinare una parte delle somme disponibili anche alla gestione della crisi ambientale e climatica è entrato nelle agende di alcuni Stati coinvolti nella pandemia, proprio nell’ottica di rispettare maggiormente le risorse naturali del Pianeta e individuare modalità di sviluppo più sostenibili, anche dal punto di vista del rispetto degli individui e delle società.
Nel frattempo, i fragili equilibri politici ed economici che hanno caratterizzato il passato decennio si sono sfaldati di fronte al crescere delle tensioni sulla disponibilità e sul costo delle materie prime energetiche. I flussi migratori, le emergenze dettate da importanti fenomeni climatici e le situazioni di turbolenza politica e sociale di vari Stati sono aumentati esponenzialmente.
L’insorgere di una guerra prossima, spesso coincidente con aree di interesse anche economico, e la spirale inflattiva generata dall’aumento dei costi dell’energia e di altre materie prime, hanno condotto i Governi a misure finanziarie progressivamente più restrittive, con un aumento dei tassi di interesse e nuove tensioni in ambito bancario e finanziario. A ciò è conseguito il timore di un nuovo possibile deterioramento della solidità di alcune banche più esposte verso attività o settori in forte difficoltà e di ulteriori contagi speculativi, con impatti sulle economie reali.
La crisi, diventata così “paradigmatica”, si è propagata dalle banche all’economia reale, e dunque agli investimenti, ai consumi, all’occupazione, alla stabilità di interi Paesi.
La recessione che si è velocemente presentata ha creato situazioni difficili per le finanze di alcuni Stati (tra cui l’Italia) che hanno dovuto, in particolare nel 2012 e 2013, adottare politiche di austerità, di riduzione del loro debito (sappiamo che anche i Governi si possono indebitare emettendo titoli) e di revisione degli interventi a sostegno di famiglie e imprese.
Ha fatto seguito un periodo di politiche finanziarie orientate a ripristinare investimenti e consumi privati, attraverso la compressione del costo del credito (tassi di interesse a zero). Tuttavia, dalla fine del 2019 il propagarsi della pandemia ha avviato un ennesimo ciclo di caduta delle economie mondiali, a cui i Governi hanno risposto con interventi straordinari, finanziati dalla creazione di linee di credito speciali da parte delle Banche Centrali.
Il tema della transizione ecologica e dell’importanza di destinare una parte delle somme disponibili anche alla gestione della crisi ambientale e climatica è entrato nelle agende di alcuni Stati coinvolti nella pandemia, proprio nell’ottica di rispettare maggiormente le risorse naturali del Pianeta e individuare modalità di sviluppo più sostenibili, anche dal punto di vista del rispetto degli individui e delle società.
Nel frattempo, i fragili equilibri politici ed economici che hanno caratterizzato il passato decennio si sono sfaldati di fronte al crescere delle tensioni sulla disponibilità e sul costo delle materie prime energetiche. I flussi migratori, le emergenze dettate da importanti fenomeni climatici e le situazioni di turbolenza politica e sociale di vari Stati sono aumentati esponenzialmente.
L’insorgere di una guerra prossima, spesso coincidente con aree di interesse anche economico, e la spirale inflattiva generata dall’aumento dei costi dell’energia e di altre materie prime, hanno condotto i Governi a misure finanziarie progressivamente più restrittive, con un aumento dei tassi di interesse e nuove tensioni in ambito bancario e finanziario. A ciò è conseguito il timore di un nuovo possibile deterioramento della solidità di alcune banche più esposte verso attività o settori in forte difficoltà e di ulteriori contagi speculativi, con impatti sulle economie reali.
La finanza può diventare “sostenibile”?
Perché “ripassare” la storia recente prima di analizzare la finanza ESG?
Incominciamo dalle tre lettere che compongono questo acronimo. E sta per Environment (Ambiente), S sta per Social (Società), G sta per Govenance (Governo dei rischi).
La storia ci rende consapevoli dei limiti del nostro modello di crescita, così come delle sue potenzialità. La finanza è stata indubbiamente generatrice di crisi, ma altresì di strumenti di gestione di situazioni complesse e critiche.
È pertanto auspicabile che anche la finanza, come la politica e l’economia, si interroghi su quale potrebbe essere il suo ruolo nella promozione di affari e di azioni più coerenti con la sostenibilità nel lungo termine del modello di sviluppo economico e sociale, con la tutela dell’ambiente e del clima, con la correttezza dei comportamenti e l’etica del business. La storia che abbiamo raccontato ci propone alcuni interessati contesti nei quali le tre lettere in questione possono trovare un loro spazio di “azione”.
Entriamo nel merito di queste tre parole, perché esse rappresentano nuovi principi e valori su cui fondare la finanza del futuro. La comunità internazionale ha infatti da tempo preso atto della necessità di agire per conciliare lo sviluppo economico con il raggiungimento di obiettivi definiti nell’interesse della collettività e con la tutela dell’ambiente.
Un primo pilastro internazionale di questo approccio è costituito dall’approvazione, nel 2015, dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite per lo sviluppo sostenibile e dei relativi 17 obiettivi (Sustainable Development Goals), articolati in 169 Target – obiettivi di dettaglio – da raggiungere entro il 2030.
L’Unione europea aveva lanciato nel 2001 la strategia per lo sviluppo sostenibile, rivista successivamente in più tappe. Con il Green Deal lanciato nel 2019, l’Unione ha sancito l’impegno ad azzerare le proprie emissioni nette di gas a effetto serra entro il 2050 e a rispettare obiettivi intermedi per il 2030 e il 2040. Il Piano d’azione per finanziare la crescita sostenibile, pubblicato dalla Commissione europea a marzo 2018, delinea gli interventi regolamentari tesi a promuovere gli investimenti in attività sostenibili. Tra le innovazioni normative avviate, uno specifico Regolamento delegato del 2021 ha stabilito che a partire da metà 2022 gli intermediari debbano tenere conto, nella valutazione di adeguatezza delle proposte di investimento a favore della clientela, anche delle “possibili preferenze di sostenibilità”. Pertanto, un risparmiatore/investitore oggi può anche esprimere una sua propensione per scelte di investimento ESG.
Incominciamo dalle tre lettere che compongono questo acronimo. E sta per Environment (Ambiente), S sta per Social (Società), G sta per Govenance (Governo dei rischi).
La storia ci rende consapevoli dei limiti del nostro modello di crescita, così come delle sue potenzialità. La finanza è stata indubbiamente generatrice di crisi, ma altresì di strumenti di gestione di situazioni complesse e critiche.
È pertanto auspicabile che anche la finanza, come la politica e l’economia, si interroghi su quale potrebbe essere il suo ruolo nella promozione di affari e di azioni più coerenti con la sostenibilità nel lungo termine del modello di sviluppo economico e sociale, con la tutela dell’ambiente e del clima, con la correttezza dei comportamenti e l’etica del business. La storia che abbiamo raccontato ci propone alcuni interessati contesti nei quali le tre lettere in questione possono trovare un loro spazio di “azione”.
Entriamo nel merito di queste tre parole, perché esse rappresentano nuovi principi e valori su cui fondare la finanza del futuro. La comunità internazionale ha infatti da tempo preso atto della necessità di agire per conciliare lo sviluppo economico con il raggiungimento di obiettivi definiti nell’interesse della collettività e con la tutela dell’ambiente.
Un primo pilastro internazionale di questo approccio è costituito dall’approvazione, nel 2015, dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite per lo sviluppo sostenibile e dei relativi 17 obiettivi (Sustainable Development Goals), articolati in 169 Target – obiettivi di dettaglio – da raggiungere entro il 2030.
L’Unione europea aveva lanciato nel 2001 la strategia per lo sviluppo sostenibile, rivista successivamente in più tappe. Con il Green Deal lanciato nel 2019, l’Unione ha sancito l’impegno ad azzerare le proprie emissioni nette di gas a effetto serra entro il 2050 e a rispettare obiettivi intermedi per il 2030 e il 2040. Il Piano d’azione per finanziare la crescita sostenibile, pubblicato dalla Commissione europea a marzo 2018, delinea gli interventi regolamentari tesi a promuovere gli investimenti in attività sostenibili. Tra le innovazioni normative avviate, uno specifico Regolamento delegato del 2021 ha stabilito che a partire da metà 2022 gli intermediari debbano tenere conto, nella valutazione di adeguatezza delle proposte di investimento a favore della clientela, anche delle “possibili preferenze di sostenibilità”. Pertanto, un risparmiatore/investitore oggi può anche esprimere una sua propensione per scelte di investimento ESG.
I prodotti finanziari ESG
Come comprendere e definire in modo semplice gli obiettivi di finanza sostenibile?
La finanza e il sistema finanziario realizzano, attraverso la produzione e l’offerta di prodotti e servizi, tre fondamentali processi del funzionamento di un sistema economico:
Quest’ultima è alla base delle attività degli intermediari finanziari. Gli obiettivi dei principi ESG vanno proprio nella direzione di gestire in modo più efficace i rischi finanziari che derivano dal cambiamento climatico, dal consumo di risorse, dal degrado ambientale e dalle disuguaglianze sociali, anche dagli eccessi della speculazione, migliorando la trasparenza e incoraggiando un approccio di lungo periodo nelle attività finanziarie.
Che cosa vuol dire creare un prodotto finanziario ESG? Facciamo l’esempio più classico: un fondo d’investimento che si definisca “responsabile” o “ESG compliant (conforme)” di fatto attua scelte di composizione del proprio portafoglio orientate ad azioni e obbligazioni di società, emittenti e Stati che vengono analizzati sulla base di tre dimensioni: impatto ambientale, sociale e di buon governo societario. Tali valutazioni avvengono sulla base di informazioni di dettaglio e parametri che vengono forniti dagli stessi emittenti o da altre strutture di mercato. In altre parole, quel fondo sceglierà investimenti in imprese, organizzazioni e progetti realizzati con l’intenzione di generare un impatto socio-ambientale positivo e misurabile, a livello sia esterno sia interno alle aziende in cui investe, assieme a un ritorno finanziario. Concretamente: progetti per la costruzione di edilizia popolare, di impianti di generazione di energia pulita, di bonifica di aree dismesse o ecologicamente depauperate, di ricerche in ambito di farmaci ad ampio impatto per curare malattie endemiche. E ancora: titoli di imprese che offrono ai loro dipendenti forme di welfare aziendale o che adottano politiche di smaltimento ecosostenibile di scorie e rifiuti. Contestualmente rinuncia a scegliere titoli di aziende che operano nel settore degli armamenti o non adottano regole interne per contrastare il riciclaggio di denaro e il finanziamento del terrorismo.
La finanza e il sistema finanziario realizzano, attraverso la produzione e l’offerta di prodotti e servizi, tre fondamentali processi del funzionamento di un sistema economico:
- il regolamento degli scambi e la gestione del sistema dei pagamenti;
- l’accumulazione del risparmio e il finanziamento degli investimenti attraverso il credito;
- il trasferimento, la diversificazione e la gestione dei rischi.
Quest’ultima è alla base delle attività degli intermediari finanziari. Gli obiettivi dei principi ESG vanno proprio nella direzione di gestire in modo più efficace i rischi finanziari che derivano dal cambiamento climatico, dal consumo di risorse, dal degrado ambientale e dalle disuguaglianze sociali, anche dagli eccessi della speculazione, migliorando la trasparenza e incoraggiando un approccio di lungo periodo nelle attività finanziarie.
Che cosa vuol dire creare un prodotto finanziario ESG? Facciamo l’esempio più classico: un fondo d’investimento che si definisca “responsabile” o “ESG compliant (conforme)” di fatto attua scelte di composizione del proprio portafoglio orientate ad azioni e obbligazioni di società, emittenti e Stati che vengono analizzati sulla base di tre dimensioni: impatto ambientale, sociale e di buon governo societario. Tali valutazioni avvengono sulla base di informazioni di dettaglio e parametri che vengono forniti dagli stessi emittenti o da altre strutture di mercato. In altre parole, quel fondo sceglierà investimenti in imprese, organizzazioni e progetti realizzati con l’intenzione di generare un impatto socio-ambientale positivo e misurabile, a livello sia esterno sia interno alle aziende in cui investe, assieme a un ritorno finanziario. Concretamente: progetti per la costruzione di edilizia popolare, di impianti di generazione di energia pulita, di bonifica di aree dismesse o ecologicamente depauperate, di ricerche in ambito di farmaci ad ampio impatto per curare malattie endemiche. E ancora: titoli di imprese che offrono ai loro dipendenti forme di welfare aziendale o che adottano politiche di smaltimento ecosostenibile di scorie e rifiuti. Contestualmente rinuncia a scegliere titoli di aziende che operano nel settore degli armamenti o non adottano regole interne per contrastare il riciclaggio di denaro e il finanziamento del terrorismo.
La realtà, i problemi e le prospettive della finanza sostenibile
Se osserviamo i dati degli ultimi dieci anni, non vi è dubbio che investire con criteri ambientali, sociali e di corporate governance sia diventato un fenomeno quantitativamente significativo. Guardando ai dati Morningstar a fine marzo 2022, si può notare che dei quasi 3 mila miliardi di dollari investiti a livello internazionale in fondi sostenibili, circa 2,3 sono radicati in Europa, quasi l’80% del volume totale. Gli Stati Uniti rappresentano il 12%, mentre il restante 8% è diviso tra Asia-Pacifico, Oceania, Giappone e Canada.
Per affrontare al meglio la transizione verso il paradigma della finanza sostenibile è sempre più importante che i Governi e le Autorità di vigilanza adottino un approccio proattivo e di massima attenzione alla misurazione e alle “conferme empiriche” su ciò che realmente è ESG. Occorre sia promuovere le applicazioni della tecnologia alla sostenibilità, al fine di innalzare qualità e comparabilità delle informazioni su caratteristiche e impatto ESG degli investimenti, sia favorire l’efficienza dei processi di vigilanza da parte delle Autorità e dei processi di adeguamento dei partecipanti al mercato nel rispetto degli obblighi normativi.
La finanza sostenibile non può essere semplicemente una “etichetta” o una “moda”. Passare dalle parole ai fatti non è semplice: soprattutto, come spesso accade nella finanza, la complessità e l’intangibilità dei servizi e dei prodotti non agevola la comprensione e la corretta valutazione di un investimento realmente “sostenibile/ESG” rispetto invece alla mera presenza di una “etichetta” di sostenibilità.
Nel descrivere le criticità riscontrate nell’analisi ESG, l’assenza di uno standard di rendicontazione e la mancanza di dati verificati e certificati rivestono un ruolo chiave. Da una ricerca empirica condotta dalla Consob nel 2022, attraverso interviste a risparmiatori italiani sulla comprensibilità e sull’adeguatezza degli obblighi vigenti in materia di rendicontazione non finanziaria (ossia qualitativa), viene ribadita, per esempio, la difficoltà di valutazione in particolare del fattore “social”, su cui l’informativa standard appare piuttosto carente e poco affidabile. Anche alcuni contenuti “green” e di corretto governo societario di un titolo o di un emittente non sono sempre catturabili con immediatezza.
Non deve stupire il fatto che l’Europa presenti un panorama di particolare presenza e diffusione di strumenti ESG. Abbiamo già illustrato l’attivismo delle Istituzioni europee in tale ambito. È evidente che occorre continuare su questa linea e dotare gli investitori di ulteriori strumenti per compiere scelte consapevoli anche in materia di investimenti ESG. A questo proposito si segnala una recente proposta di Direttiva che introduce nuove informazioni su cui rendicontare, come quelle sulla strategia perseguita dall’impresa e sulla sua sostenibilità economica e neutralità climatica, sugli obiettivi fissati e i progressi compiuti, sulle metodologie usate per ricavare le informazioni, sugli impatti negativi sulla sostenibilità correlati all’attività, su come le società tengono conto degli interessi dei loro attori (dipendenti, soci, clienti, fornitori rilevanti).
Con lo sviluppo di nuovi metodi per generare rendimenti sostenibili e davanti all’impegno di un numero crescente di società a raggiungere obiettivi di business sostenibili, possiamo augurarci che i prossimi anni di storia della finanza vengano scritti e ricordati per un nuovo corso di sviluppo e crescita dei sistemi.
Cosa possiamo fare noi come cittadini, insegnanti, studenti, per favorire questa transizione? Sappiamo che ognuno di noi dovrebbe cominciare con il modificare le proprie abitudini di consumo, per esempio riducendo gli sprechi, riutilizzando materiali e oggetti, uscendo dalla logica dell’”usa e getta”. Anche nel momento in cui abbiamo un reddito e un risparmio, possiamo cercare occasioni di investimento scegliendo attività finanziarie non solo potenzialmente redditizie, ma anche più etiche nel loro contenuto.
I governi, la politica, la finanza devono fare la loro parte. Ma noi, in quanto società civile, abbiamo un ruolo e possiamo esercitarlo.
Per affrontare al meglio la transizione verso il paradigma della finanza sostenibile è sempre più importante che i Governi e le Autorità di vigilanza adottino un approccio proattivo e di massima attenzione alla misurazione e alle “conferme empiriche” su ciò che realmente è ESG. Occorre sia promuovere le applicazioni della tecnologia alla sostenibilità, al fine di innalzare qualità e comparabilità delle informazioni su caratteristiche e impatto ESG degli investimenti, sia favorire l’efficienza dei processi di vigilanza da parte delle Autorità e dei processi di adeguamento dei partecipanti al mercato nel rispetto degli obblighi normativi.
La finanza sostenibile non può essere semplicemente una “etichetta” o una “moda”. Passare dalle parole ai fatti non è semplice: soprattutto, come spesso accade nella finanza, la complessità e l’intangibilità dei servizi e dei prodotti non agevola la comprensione e la corretta valutazione di un investimento realmente “sostenibile/ESG” rispetto invece alla mera presenza di una “etichetta” di sostenibilità.
Nel descrivere le criticità riscontrate nell’analisi ESG, l’assenza di uno standard di rendicontazione e la mancanza di dati verificati e certificati rivestono un ruolo chiave. Da una ricerca empirica condotta dalla Consob nel 2022, attraverso interviste a risparmiatori italiani sulla comprensibilità e sull’adeguatezza degli obblighi vigenti in materia di rendicontazione non finanziaria (ossia qualitativa), viene ribadita, per esempio, la difficoltà di valutazione in particolare del fattore “social”, su cui l’informativa standard appare piuttosto carente e poco affidabile. Anche alcuni contenuti “green” e di corretto governo societario di un titolo o di un emittente non sono sempre catturabili con immediatezza.
Non deve stupire il fatto che l’Europa presenti un panorama di particolare presenza e diffusione di strumenti ESG. Abbiamo già illustrato l’attivismo delle Istituzioni europee in tale ambito. È evidente che occorre continuare su questa linea e dotare gli investitori di ulteriori strumenti per compiere scelte consapevoli anche in materia di investimenti ESG. A questo proposito si segnala una recente proposta di Direttiva che introduce nuove informazioni su cui rendicontare, come quelle sulla strategia perseguita dall’impresa e sulla sua sostenibilità economica e neutralità climatica, sugli obiettivi fissati e i progressi compiuti, sulle metodologie usate per ricavare le informazioni, sugli impatti negativi sulla sostenibilità correlati all’attività, su come le società tengono conto degli interessi dei loro attori (dipendenti, soci, clienti, fornitori rilevanti).
Con lo sviluppo di nuovi metodi per generare rendimenti sostenibili e davanti all’impegno di un numero crescente di società a raggiungere obiettivi di business sostenibili, possiamo augurarci che i prossimi anni di storia della finanza vengano scritti e ricordati per un nuovo corso di sviluppo e crescita dei sistemi.
Cosa possiamo fare noi come cittadini, insegnanti, studenti, per favorire questa transizione? Sappiamo che ognuno di noi dovrebbe cominciare con il modificare le proprie abitudini di consumo, per esempio riducendo gli sprechi, riutilizzando materiali e oggetti, uscendo dalla logica dell’”usa e getta”. Anche nel momento in cui abbiamo un reddito e un risparmio, possiamo cercare occasioni di investimento scegliendo attività finanziarie non solo potenzialmente redditizie, ma anche più etiche nel loro contenuto.
I governi, la politica, la finanza devono fare la loro parte. Ma noi, in quanto società civile, abbiamo un ruolo e possiamo esercitarlo.
Fonti e suggerimenti di lettura
- Consob, Quaderni di Finanza Sostenibile, sito www.consob.it, anni 2021 e 2022
- Consob, Portale di Educazione Finanziaria, sito cit.
- Banca d’Italia, Finanza Sostenibile, sito www.bancaditalia.it