La carne coltivata in laboratorio

Risorsa per il futuro o pericolo per la salute dei consumatori?

di Giuseppe Spoto, gennaio 2025

L’Italia ha scelto la strada della cautela, vietando il commercio della carne a base cellulare, ma se il consumo di questo tipo di alimento verrà approvato dall’Unione europea, le posizioni di chiusura da parte del nostro Paese dovranno essere con molta probabilità riviste. La produzione di carne a base cellulare rappresenta un argomento di grande attualità, sia per il bisogno crescente di cibo a livello mondiale sia per le esigenze di tutela e benessere degli animali.


L’autore: Giuseppe Spoto è professore di diritto privato presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università Roma Tre, dove insegna anche diritto agrario e alimentare. È autore di numerose pubblicazioni in materia di tutela dei consumatori, diritto alimentare, diritto agrario, diritto delle obbligazioni e dei contratti.

 

La produzione della carne a base cellulare

La carne coltivata in laboratorio è realizzata a partire da cellule staminali prelevate da un animale mediante biopsia. Tali cellule vengono fatte proliferare attraverso l’utilizzo di bioreattori, in terreni di coltura contenenti fattori di crescita. In questo modo, è possibile realizzare tessuti del tutto simili a quelli ricavati dopo i processi di macellazione, senza dover abbattere l’animale.

Tra gli aspetti positivi del consumo di carne coltivata in laboratorio può essere certamente annoverata la realizzazione di proteine che, pur derivanti da animali, non presentano il rischio di zoonosi, cioè di malattie infettive trasmissibili dagli animali agli umani. Infatti, la coltivazione di carne in laboratorio avviene in luoghi protetti da agenti patogeni.

Un ulteriore vantaggio potrebbe riguardare la tutela dell’ambiente, perché la produzione di carne a base cellulare non produce le stesse emissioni inquinanti che derivano dagli allevamenti intensivi.

Premesso ciò, sulla effettiva sostenibilità della carne coltivata esistono numerosi dubbi. Infatti, se sviluppare in vitro solo una porzione di tessuto muscolare dell’animale può sembrare di minor impatto ambientale rispetto a far crescere un “intero” animale nel tempo, il fabbisogno energetico per far funzionare i bioreattori e gli investimenti a livello industriale per elevate quantità di produzione non può essere considerata un’attività del tutto neutrale in termini di impatto ambientale. I vantaggi derivanti dalla riduzione di emissioni di metano derivanti dalla fermentazione enterica dei ruminati e il minor consumo di suolo e di acqua, potrebbero essere controbilanciati dall’esigenza di un elevato consumo energetico per gli impianti.

 

Il divieto di produzione e commercializzazione della carne coltivata

La legge n. 172/2023 vieta la produzione e l’immissione sul mercato di alimenti prodotti a partire da colture cellulari.

La legge italiana ha vietato al contempo l’uso di denominazioni legali, che in qualche modo possano ricondurre o accostare alla carne prodotti ottenuti esclusivamente con materie prime di tipo vegetale, ammettendo però tali denominazioni quando le proteine animali risultino prevalenti rispetto alle proteine vegetali, fermo restando la necessità di non indurre in errore il consumatore per quanto riguarda la composizione dell’alimento.

L’espressione carne non carne indica gli alimenti che presentano la forma e l’aspetto della carne, ma in realtà sono composti da ingredienti di origine vegetale. Il fenomeno è anche conosciuto come meat sounding e riguarda prodotti a base di preparati vegetali che ricordano per forma e gusto prodotti derivati dalla carne.

Le esigenze di differenziazione nelle denominazioni merceologiche per non indurre in errore i consumatori ricorrono anche per il commercio degli alimenti a base cellulare, perché tali prodotti sono differenti rispetto alla definizione legale utilizzata per la carne convenzionale.

Il diritto dei consumatori e le regole sulla sicurezza alimentare prevedono che siano fornite informazioni complete e corrette per quanto riguarda gli ingredienti di un prodotto destinato al consumo umano. La carne è certamente da annoverare tra i prodotti dove vi è la massima cura del rispetto del principio di trasparenza e di tracciabilità delle fasi della filiera produttiva.

Un’altra preoccupazione derivante dal commercio di carni coltivate in laboratorio riguarda l’impatto economico che lo sviluppo di questo business potrebbe avere nei confronti degli allevamenti tradizionali. Tra le finalità del divieto vi è infatti l’esigenza di proteggere gli interessi economici degli allevatori, mantenendo elevato il livello qualitativo e quantitativo della produzione di carne.

Si prevede che il mercato della carne coltivata in laboratorio sia destinato a crescere, ma attualmente sono pochi i Paesi che ne hanno autorizzato la produzione e la vendita. Singapore è stato il primo Paese al mondo, mentre recentemente il Regno Unito ha ammesso la produzione di carne a base cellulare per i prodotti alimentari destinati al nutrimento degli animali da compagnia.

 

Nuovi consumatori e nuovi stili alimentari

Il consumo di carne coltivata in laboratorio potrebbe intercettare gli interessi delle categorie di consumatori che hanno scelto una dieta alimentare di tipo vegetariano o di tipo vegano. Nel primo caso, si tratta di consumatori che hanno deciso di nutrirsi di vegetali, ma che accettano di consumare anche alimenti derivati dagli animali, purché non comportino la loro uccisione, come ad esempio uova, latte, formaggi. I vegani, invece, rifiutano qualsiasi forma di sfruttamento degli animali e quindi non consumano nessuna materia prima di origine animale.

La differenza è molto importante, perché uno stile di alimentazione vegetariano potrebbe essere fondato su motivazioni non necessariamente legate al benessere degli animali, ma ad esempio per ragioni di carattere salutistico. La carne a base cellulare potrebbe garantire una dieta proteica alternativa per queste fasce di popolazione.

Tuttavia, i risultati di un consumo diffuso di tali alimenti non sono del tutto chiari per quanto riguarda l’impatto sulla salute nel lungo periodo. Il commercio nei Paesi europei non potrà avvenire senza aver superato i controlli ed avere ottenuto l’autorizzazione da parte dell’EFSA (Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare), l’agenzia istituita nel 2002 con la funzione di fornire consulenze scientifiche in materia di sicurezza alimentare.

In caso di autorizzazione dell’EFSA, il divieto italiano potrà valere solo per i produttori interni, ma non potrà impedire il commercio di questi prodotti nel mercato italiano.

 

Precauzione e rischio per la salute

Il divieto di produrre e vendere carne a base cellulare in Italia trova riferimento nel principio generale di precauzione in materia di sicurezza alimentare: di fronte a dati scientifici controversi o dubbi, deve essere considerato preferibile adottare una politica di cautela che può legittimare, a scopo prudenziale, il divieto di circolazione di un prodotto, perché potenzialmente pericoloso per la salute.

Il principio di precauzione è espressamente citato nell’articolo 191 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea e permette di reagire rapidamente di fronte a un possibile pericolo per la salute umana, animale o vegetale, ovvero per la protezione dell’ambiente.

L’applicazione di misure restrittive al commercio degli alimenti in base al principio di precauzione non può essere arbitraria, ma deve essere giustificata dall’identificazione degli effetti potenzialmente negativi di un prodotto, sulla base della valutazione dei dati scientifici a disposizione.

 

Novel food e mercato europeo

La carne a base cellulare rientra nella categoria dei novel food. Con questo termine si indicano tutti quei prodotti e quelle sostanze alimentari per cui non è possibile dimostrare un consumo “significativo” prima del 15 maggio 1997 all’interno dell’Unione Europea. Si tratta di “nuovi alimenti” che non fanno parte della tradizione alimentare europea e che possono comparire nell’elenco dei prodotti in commercio soltanto dopo essere stati autorizzati dall’EFSA.

La data del 15 maggio 1997 si riferisce all’entrata in vigore del primo regolamento in materia di novel food, che continua ad essere lo spartiacque per indicare la distinzione tra cibi tradizionali e cibi non consumati regolarmente e in quantità rilevante all’interno di un Paese membro.

Il termine “novel food” è utilizzato per indicare:

  • alimenti che sono il risultato di applicazione di tecniche innovative per realizzare prodotti nuovi che non esistevano in precedenza;

  • alimenti che, pur essendo consumati in altri mercati, erano sconosciuti nel mercato europeo, perché estranei alle abitudini alimentari dei consumatori.


Questa distinzione ha importanti conseguenze sul regime delle autorizzazione, perché sono previsti controlli più veloci e regole più semplici per autorizzare il commercio di alimenti che, pur non essendo consumati in Europa, sono conosciuti in altri Paesi extraeuropei e sono stati acquistati da un numero significativo di persone in un consolidato arco temporale di almeno venticinque anni. Controlli più rigorosi e complessi vengono invece richiesti per autorizzare quei cibi che sono invece il risultato di sconosciute tecnologie di produzione, come la carne coltivata.

 

Conclusioni

La ricerca di forme di approvvigionamento alimentare compatibili con il rispetto dell’ambiente, il benessere degli animali e il crescente fabbisogno di cibo di una popolazione mondiale in aumento diventerà sempre più urgente in futuro. La produzione di carne a base cellulare può fornire risposte a questi bisogni e rappresentare una risorsa preziosa, ma occorre che il consumo sia sicuro per la salute umana.

Vi è un delicato equilibrio che deve essere mantenuto tra libertà di ricerca e tutela della salute. Migliori condizioni di vita possono essere consentite solamente investendo nella ricerca e nella sperimentazione. Le misure di restrizione e i divieti di circolazione di prodotti considerati potenzialmente pericolosi per i consumatori possono essere giustificati dall’applicazione del principio di precauzione, ma devono essere azioni proporzionate, non discriminatorie, trasparenti e coerenti con gli obiettivi da realizzare.