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Il Rapporto Draghi sulla competitività europea
Diagnosi, proposte, ostacoli
di Flavio Delbono, gennaio 2025
La relazione sulla competitività europea e le prospettive di crescita dell’UE nel nuovo scenario geopolitico, commissionata a Mario Draghi dal Consiglio europeo, potrebbe rappresentare il programma della futura governance europea.
L’autore: Flavio Delbono è professore ordinario di Economia politica presso l'Università di Bologna. Per Mondadori Education ha pubblicato i corsi Piazza affari (2019) e Scelte sostenibili (2022).
L’autore: Flavio Delbono è professore ordinario di Economia politica presso l'Università di Bologna. Per Mondadori Education ha pubblicato i corsi Piazza affari (2019) e Scelte sostenibili (2022).
Premesse
Commissionato dal Consiglio Europeo, a settembre 2024 è stato presentato il rapporto intitolato Il futuro della competitività europea, redatto dall’ex premier italiano Mario Draghi. Questo documento vede la luce pochi mesi dopo il rapporto sul mercato unico europeo, predisposto da Enrico Letta, un altro ex premier del nostro Paese.
Nelle parole di Draghi, l’Europa fronteggia una sfida esistenziale: «I valori fondamentali dell’Europa sono la prosperità, l’equità, la libertà, la pace e la democrazia in un ambiente sostenibile. L’UE esiste per garantire che gli europei possano sempre beneficiare di questi diritti fondamentali. Se l’Europa non è più in grado di fornirli ai suoi cittadini – o se deve scambiare l’uno con l’altro – avrà perso la sua ragione d’essere. L’unico modo per affrontare questa sfida è crescere e diventare più produttivi, preservando i nostri valori di equità e inclusione sociale. E l’unico modo per diventare più produttivi è che l’Europa cambi radicalmente».
Cambiamenti resi ancora più radicali, possiamo aggiungere, alla luce dell’esito elettorale americano di novembre 2024. Dovesse dare seguito ai propositi annunciati, infatti, il neopresidente D. Trump attiverà misure di politica estera (riduzione del finanziamento USA alla NATO) e di politica economica (dazi sulle importazioni e benefici fiscali per gli investitori esteri sul suolo americano) che renderebbero ancora più urgenti le proposte contenute nel Rapporto Draghi.
Nelle parole di Draghi, l’Europa fronteggia una sfida esistenziale: «I valori fondamentali dell’Europa sono la prosperità, l’equità, la libertà, la pace e la democrazia in un ambiente sostenibile. L’UE esiste per garantire che gli europei possano sempre beneficiare di questi diritti fondamentali. Se l’Europa non è più in grado di fornirli ai suoi cittadini – o se deve scambiare l’uno con l’altro – avrà perso la sua ragione d’essere. L’unico modo per affrontare questa sfida è crescere e diventare più produttivi, preservando i nostri valori di equità e inclusione sociale. E l’unico modo per diventare più produttivi è che l’Europa cambi radicalmente».
Cambiamenti resi ancora più radicali, possiamo aggiungere, alla luce dell’esito elettorale americano di novembre 2024. Dovesse dare seguito ai propositi annunciati, infatti, il neopresidente D. Trump attiverà misure di politica estera (riduzione del finanziamento USA alla NATO) e di politica economica (dazi sulle importazioni e benefici fiscali per gli investitori esteri sul suolo americano) che renderebbero ancora più urgenti le proposte contenute nel Rapporto Draghi.
Il punto di partenza e le criticità
Il posizionamento della UE nello scacchiere economico mondiale è di tutto rilievo. Un mercato unico ormai consolidato formato da quasi 450 milioni di cittadini-consumatori; 23 milioni di imprese; una quota del 17% del PIL planetario (al pari della Cina e dietro soltanto al 26% degli USA, fonte FMI). Inoltre, e non meno importante, una distribuzione del reddito assai meno diseguale rispetto a USA e Cina. Paesi dove, peraltro, l’aspettativa di vita è nettamente inferiore. Anche altri indicatori della qualità della vita vedono il continente europeo primeggiare: dall’istruzione alla formazione, dagli standard di sostenibilità ambientale alle politiche di welfare. In sintesi, il modello politico e socioeconomico europeo, seppure nelle diversità dei Paesi membri, è complessivamente riuscito a coniugare alta crescita e prosperità diffusa come non è avvenuto in nessuna altra parte del globo.
Non mancano alcune severe criticità. Nell’ultimo ventennio la crescita economica europea è stata più lenta di quella delle altre due aree commerciali (e non solo di quelle). Il declino relativo dell’economia della UE trova spiegazione, secondo Draghi e tanti osservatori qualificati, nel rallentamento della produttività che ha comportato, tra il 2002 e il 2023, un ampliamento del divario nel PIL reale tra l’UE e gli USA dal 17% al 30%.
In anni recenti, inoltre, si sono affievolite tre favorevoli circostanze “esterne” che avevano trainato a lungo la crescita dal dopoguerra:
Lo scenario geopolitico attuale è decisamente meno favorevole che in passato. Inoltre, la dinamica della popolazione nel continente è riassunta dall’espressione inverno demografico. Non si può trascurare che la crescita del PIL dipende dalle variazioni del numero di occupati e dalla produttività per occupato. In assenza di un significativo incremento nel saldo migratorio, l’UE si troverà a fronteggiare un calo nella popolazione attiva. Ecco perché la ricetta generale di Draghi, viste le difficoltà di agire rapidamente sui saldi demografici, è imperniata sul rilancio della produttività per promuovere la crescita.
Non mancano alcune severe criticità. Nell’ultimo ventennio la crescita economica europea è stata più lenta di quella delle altre due aree commerciali (e non solo di quelle). Il declino relativo dell’economia della UE trova spiegazione, secondo Draghi e tanti osservatori qualificati, nel rallentamento della produttività che ha comportato, tra il 2002 e il 2023, un ampliamento del divario nel PIL reale tra l’UE e gli USA dal 17% al 30%.
In anni recenti, inoltre, si sono affievolite tre favorevoli circostanze “esterne” che avevano trainato a lungo la crescita dal dopoguerra:
- la crescita del commercio mondiale, che si prevede in aumento attorno al 3% annuo, contro il 5% dei primi due decenni di questo secolo;
- l’approvvigionamento energetico dalla Russia, oggi impraticabile ai vecchi prezzi, soprattutto del gas naturale;
- la bassa spesa militare.
Lo scenario geopolitico attuale è decisamente meno favorevole che in passato. Inoltre, la dinamica della popolazione nel continente è riassunta dall’espressione inverno demografico. Non si può trascurare che la crescita del PIL dipende dalle variazioni del numero di occupati e dalla produttività per occupato. In assenza di un significativo incremento nel saldo migratorio, l’UE si troverà a fronteggiare un calo nella popolazione attiva. Ecco perché la ricetta generale di Draghi, viste le difficoltà di agire rapidamente sui saldi demografici, è imperniata sul rilancio della produttività per promuovere la crescita.
Le ricette
Le ricette proposte nel rapporto sono principalmente tre:
Senza entrare nei dettagli con cui il Rapporto (nelle sue 400 pagine) articola 170 proposte concrete, conviene sottolineare che tutte richiedono un efficace coordinamento tra le politiche nazionali e quelle comunitarie. Un coordinamento sicuramento ostacolato dalle attuali procedure decisionali in vigore, che risultano obsolete in vista delle urgenze e sono spesso applicate in modo disgiunto da un quadro complessivo, peraltro ostacolato dai frequenti veti, variamente giustificati da parte di uno o più dei 27 Paesi membri.
Il mancato coordinamento delle politiche industriali e militari comporta ovviamente una frammentazione degli interventi su obiettivi nazionali e uno spreco di risorse, come avviene nella duplicazione delle industrie (e delle spese) della difesa.
Per perseguire credibilmente le suddette priorità, il Rapporto sottolinea che il settore privato non sarà in grado di sostenere gli sforzi finanziari richiesti senza un massiccio intervento pubblico, con lo stesso approccio adottato sia negli USA sia in Cina. Un intervento che risulterà in Europa tanto più agevole se gli auspicati incrementi di produttività potranno ampliare lo spazio fiscale necessario all’ingente spesa pubblica aggiuntiva. Un intervento pubblico straordinario quantificato, nelle stime, in un aumento di circa il 5% annuo nel rapporto tra investimenti e PIL. Per valutare la dimensione dello sforzo suggerito, consideriamo il piano Marshall come termine di paragone che, nel primo dopoguerra, consentì investimenti aggiuntivi per circa l’1,5% del PIL dei Paesi beneficiari. Si prefigura dunque un impegno enorme, tenuto anche conto della situazione di finanza pubblica dei principali Paesi europei e dei vincoli imposti dal rinnovato Patto di stabilità, entrato in vigore nel 2024 dopo la sospensione pandemica della vecchia versione.
Non si può che auspicare che la consapevolezza di essere in presenza di una sfida esistenziale possa agire come propellente per gli sforzi richiesti, in una prospettiva temporale assai più estesa di quella endemicamente breve delle scadenze elettorali nazionali.
- accelerazione dei processi (e prodotti) innovativi, dove il ritardo cumulato dal nostro continente è vistoso e solo 4 delle 50 imprese più tecnologiche sono europee;
- decarbonizzazione e competitività, visto che i prezzi dell’elettricità e del gas naturale sono in Europa, rispettivamente, 2-3 volte e 4-5 volte superiori a quelli fronteggiati dalle imprese americane;
- aumento della sicurezza attraverso minore dipendenza dall’ombrello militare e industriale degli USA.
Senza entrare nei dettagli con cui il Rapporto (nelle sue 400 pagine) articola 170 proposte concrete, conviene sottolineare che tutte richiedono un efficace coordinamento tra le politiche nazionali e quelle comunitarie. Un coordinamento sicuramento ostacolato dalle attuali procedure decisionali in vigore, che risultano obsolete in vista delle urgenze e sono spesso applicate in modo disgiunto da un quadro complessivo, peraltro ostacolato dai frequenti veti, variamente giustificati da parte di uno o più dei 27 Paesi membri.
Il mancato coordinamento delle politiche industriali e militari comporta ovviamente una frammentazione degli interventi su obiettivi nazionali e uno spreco di risorse, come avviene nella duplicazione delle industrie (e delle spese) della difesa.
Per perseguire credibilmente le suddette priorità, il Rapporto sottolinea che il settore privato non sarà in grado di sostenere gli sforzi finanziari richiesti senza un massiccio intervento pubblico, con lo stesso approccio adottato sia negli USA sia in Cina. Un intervento che risulterà in Europa tanto più agevole se gli auspicati incrementi di produttività potranno ampliare lo spazio fiscale necessario all’ingente spesa pubblica aggiuntiva. Un intervento pubblico straordinario quantificato, nelle stime, in un aumento di circa il 5% annuo nel rapporto tra investimenti e PIL. Per valutare la dimensione dello sforzo suggerito, consideriamo il piano Marshall come termine di paragone che, nel primo dopoguerra, consentì investimenti aggiuntivi per circa l’1,5% del PIL dei Paesi beneficiari. Si prefigura dunque un impegno enorme, tenuto anche conto della situazione di finanza pubblica dei principali Paesi europei e dei vincoli imposti dal rinnovato Patto di stabilità, entrato in vigore nel 2024 dopo la sospensione pandemica della vecchia versione.
Non si può che auspicare che la consapevolezza di essere in presenza di una sfida esistenziale possa agire come propellente per gli sforzi richiesti, in una prospettiva temporale assai più estesa di quella endemicamente breve delle scadenze elettorali nazionali.