
Dalla storia delle donne alla storia dei generi
di Tommaso Scaramella
Un lungo percorso
La visibilità assunta oggi dalla storia delle donne e di genere all’interno della storiografia italiana e internazionale è il risultato di un percorso che affonda le sue radici negli anni Sessanta e Settanta del Novecento. Fu allora che questo ambito di ricerca ebbe origine, grazie soprattutto all’iniziativa di alcune storiche, attive tra il Nord America e l’Europa. A contatto con le riflessioni elaborate in seno ai movimenti femministi, queste prime storiche si occuparono di denunciare il silenzio nel quale la storiografia dominante aveva relegato la soggettività e l’agire femminili. Vennero così promosse ricerche nuove sulle figure di donne del passato, che misero in discussione la pretesa universalità del protagonismo maschile nella storia. A essere studiate furono inizialmente le figure di donne “illustri” (principesse, regine, esponenti dell’aristocrazia, letterate), con l’obiettivo di aggiungere e integrare una narrazione storica sino ad allora dominata dai soli soggetti maschili, quasi esclusivamente scritta, peraltro, da storici uomini. A cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta, una successiva svolta portò a un rinnovamento degli approcci paradigmatici e metodologici, ampliando la storia delle donne a quella del genere. Un cambiamento del quale è rimasta traccia nella duplice denominazione che da allora accompagna questo campo di studi. Non più solo storia delle donne, ma anche del genere. Vale a dire una storia che non ambisce a diventare a sua volta settoriale, animata da storiche che si occupano di donne, bensì che punta a sensibilizzare e stimolare l’intera comunità scientifica circa l’utilità del genere come strumento di indagine in qualsiasi ambito della ricerca storica.
Lo studio storico delle dinamiche sociali
Oltre che con le teorie femministe, la prima stagione di studi di storia delle donne ha potuto confrontarsi con un panorama storiografico segnato da profonde trasformazioni nella seconda metà del Novecento. Alle strutture socioeconomiche e di classe, che allora dominavano la tradizione marxista, si affiancò un rinnovato interesse per lo studio delle dinamiche sociali nel passato. Promotori di tali novità furono in particolare la rivista britannica «Past and Present» e la scuola francese delle Annales. In tale contesto di storia sociale, sensibile alle condizioni della marginalità, le storiche femministe poterono così evidenziare la subalternità storicamente patita dalle donne, denunciando anche la loro esclusione dalla narrazione storiografica dominante.
La seconda stagione
A questa prima stagione seguì una seconda, caratterizzata dalla presa di coscienza della necessità di andare oltre l’intenzione di integrare ciò che sino allora era stato dimenticato. Il rinnovamento non poteva esaurirsi con la sola aggiunta delle donne alla narrazione dominante. A venire ripensate dovevano essere le basi di quella stessa narrazione. Fu così che in un intervento del 1976, ripubblicato l’anno successivo in traduzione italiana con il titolo La storia delle donne in transizione: il caso europeo, la storica statunitense Natalie Zemon Davis, specialista di storia moderna europea, spostava l’attenzione sul concetto sociologico di genere, importandolo in campo storico. In un intervento considerato fondativo di questa svolta, Zemon Davis osservava che era necessario studiare non solo le donne in quanto tali, proseguendo a ricostruire le biografie delle donne “comuni” oltre a quelle celebri, ma che si dovesse al contempo trarre un rinnovamento più profondo, nei metodi come nel paradigma generale. La storica invitava insomma a considerare il «peso dei ruoli sessuali nella storia», includendoli tra le categorie da usare per studiare e interpretare il passato.
Rimettere in discussione i paradigmi sociali
La novità promossa da questa seconda stagione di studi non poteva più limitarsi a sostituire lo studio degli uomini del passato con quello delle donne. L’indagine sulle donne divenne piuttosto l’occasione per mettere in discussione il rapporto che storicamente legava i sessi. Tale relazione di potere era il prodotto di un preciso sistema sociale, che perpetrava la discriminazione delle donne. Le donne non erano più allora un soggetto da studiare isolatamente, da contrapporre agli uomini. Esse andavano studiate in relazione con gli uomini e dunque con il sistema sociale del loro tempo.
Mascolinità e femminilità come categorie sociali
Sarebbe stata poi Leonore Davidoff, futura direttrice della rivista «Gender & history» fondata nel 1989, a impiegare nel 1979 il termine «genere» nell’accezione che avrebbe avuto la maggiore accoglienza e diffusione nella storiografia. Analizzando alcuni diari dell’Inghilterra vittoriana, Davidoff sperimentò all’interno dell’ambito storico l’idea che la mascolinità e la femminilità – intese come l’insieme degli attributi, dei ruoli e dei comportamenti propri di ciascun genere – fossero delle categorie socialmente costruite, variabili nel tempo, portatrici dunque di una storia. Accanto alle distinzioni biologiche, di per sé immutabili e astoriche, la differenza di genere iniziò a essere considerata come il vero elemento di distinzione – e di discriminazione – delle donne rispetto agli uomini. Sin dall’Antichità, del resto, tale differenza aveva alimentato spazi e codici distinti, con aspettative sociali e regole di comportamento e di abbigliamento diverse per genere. Nel nome della differenza corporea, precisi ruoli sociali sono attribuiti in ciascuna epoca ai generi, perpetrando supposte disparità tra donne e uomini, diverse capacità fisiche e intellettive, inclinazioni morali e tratti caratteriali. Sino al Settecento, la scienza medica considerò un unico modello normativo di corpo, corrispondente con quello maschile. Il corpo femminile, viceversa, era fatto derivare da quest’ultimo per opposizione, perciò giudicato inferiore, in quanto si trattava di una copia imperfetta. La natura è stata spesso invocata a giustificazione della disparità tra i corpi, tuttavia, questa gerarchia rifletteva i giudizi culturali di un sistema sociale nel quale il potere era detenuto in via esclusiva dagli uomini, nella sfera pubblica come in quella domestica. Gli stessi trattati scientifici e morali erano scritti, da secoli, esclusivamente da uomini. E anche i codici penali proponevano una visione incentrata sulla gerarchia di genere: nella valutazione dei reati, per esempio, si tendevano a favorire gli uomini adulti, identificati come tutori dell’ordine familiare e sociale. E ancora, nel giudicare lo stupro commesso su una donna, contavano di più l’offesa al suo stato verginale, e quindi la macchia al suo onore personale e familiare, piuttosto che l’atto violento in sé. Ancora nel Settecento, inoltre, l’adulterio era generalmente punito solo quando era commesso dalla moglie (una disparità che sarebbe rimasta tale sino al XX secolo, come nel caso italiano, dove solo nel 1969 si procedette alla sua depenalizzazione).
Sesso biologico vs. genere
Più in generale, la visibilità assunta delle questioni di genere nel discorso storico deve la sua fortuna a un cambiamento di approccio che venne sviluppato in maniera interdisciplinare dalle scienze sociali e dagli studi culturali a partire dalla fine degli anni Settanta. Sotto l’influenza del pensiero femminista e di quello di alcuni filosofi attivi all’interno delle correnti francesi del post-strutturalismo e del decostruzionismo, come Michel Foucault e Jacques Derrida, ma anche della psicoanalisi, come Jacques Lacan, al centro dell’attenzione cominciò a essere posto il rapporto tra l’individuo, il piano identitario e la società. Entro tali riflessioni, il genere emerse come l’elemento che permetteva di indagare sul piano culturale le differenze – e la ragione sociale di tali differenze – tra i sessi biologici. Si cominciò così a ragionare in termini di “natura” e di “cultura”. Da un lato, il sesso biologico, inteso come il complesso dei caratteri anatomici, morfologici e fisiologici che in un dato sistema culturale distinguono gli organismi di una specie secondo una contrapposizione generalmente binaria tra maschile e femminile (anche se l’esistenza di soggetti intersessuali che presentano caratteri dell’uno e dell’altro genere smentirebbe tale regola binaria). Dall’altro, il genere, inteso come l’insieme dei fenomeni psicologici e comportamentali che, a livello individuale e collettivo, permettono ai soggetti di identificarsi ed essere identificati come maschi, femmine o, in taluni casi, al di fuori del binarismo di genere (identità di genere), di esprimere nella relazione la propria appartenenza al genere (ruolo di genere), manifestando o meno un’attrazione emotiva, affettiva ed erotica verso soggetti del proprio o dell’altro sesso (orientamento sessuale). Se il sesso indica il dato biologico, allora, il genere racchiude l’insieme delle caratteristiche percepite e assegnate dalla cultura alla differenza di genere. La divisione dei ruoli sociali, dei diritti e dei doveri, appare quindi come l’esito dei significati culturali via via attribuiti al dato biologico, a quell’insieme di valori, giudizi e aspettative sociali che in una data società riguardano l’essere “uomo” e “donna”. Ciò spiegherebbe perché anche le qualità che vengono attribuite alla mascolinità e alla femminilità variano nel tempo e nello spazio, al di là della pretesa fissità dei corpi.
Il genere come categoria di analisi storica
Si arriva così a un altro saggio fondativo della storia delle donne e di genere, quello della storica statunitense Joan Scott, pubblicato nel 1986 sulla rivista «American Historical Review» e tradotto in italiano l’anno successivo con il titolo Il Genere: un’utile categoria di analisi storica. Con questo testo diventato un classico, Scott sanciva ufficialmente il passaggio dalla storia delle donne a quella di genere. Si stabilì allora che studiare la storia delle donne implicava studiare necessariamente quella degli uomini, e viceversa: un’indagine non poteva escludere l’altra. Se il genere trova espressione nella relazione tra il maschile e il femminile, tale relazione è imprescindibile per studiare i rapporti sociali e di potere che davano origine alla secolare subordinazione delle donne rispetto agli uomini. Il genere ha permesso così di leggere con lenti nuove i tradizionali meccanismi di funzionamento esistenti all’interno dei diversi sistemi politici, religiosi, giuridici e medico-scientifici del passato. Accanto alla classe, alle strutture e alle stratificazioni sociali, il genere è diventato un imprescindibile aspetto da studiare in quanto fondativo dell’ordine sociale nelle sue diverse accezioni – lo stato, le famiglie – e funzioni – la parentela, l’istruzione, il mercato del lavoro.
Criticità e polemiche
La nuova storia culturale ha certamente avuto un ruolo fondamentale nel favorire il successo della categoria di genere. L’approccio interdisciplinare, perseguito dall’antropologia, dalla sociologia, dagli studi linguistici e dalle letterature comparate, ha permesso di moltiplicare le indagini e gli stessi oggetti da indagare. Il genere è apparso così tra quelle caratteristiche dell’esperienza umana e dell’organizzazione sociale – come l’etnia, l’orientamento sessuale, l’abilità – sulle quali si sono concentrate in misura crescente le indagini storiche, studiate oggi anche nelle loro interazioni reciproche («intersezionalità»). Per certo, come è tornata a notare la stessa Joan Scott nel 2013 in occasione della sua lecture inaugurale al VI Congresso della Società italiana delle Storiche, nemmeno il genere come strumento interpretativo può ritenersi libero da criticità. Alcune storiche femministe della prima ora, per esempio, si sono mostrate contrarie al passaggio alla seconda stagione, invitando a non confondere la storia delle donne con quella del genere. Studiare la differenza di genere per come è stata “costruita” dai discorsi di un’epoca, a loro dire, comporterebbe il rischio di mettere nuovamente in secondo piano la soggettività e l’agire delle donne. Da ragioni di tipo politico e religioso, inoltre, sono state mosse polemiche spesso pretestuose contro il genere, inteso come il frutto di un’ideologia che minaccerebbe l’ordine costituito («teoria del gender»). Coloro che contestano l’idea che il genere sia “costruito” culturalmente contrappongono una visione statica e immutabile dell’ordine naturale, dal quale deriverebbe l’impossibilità di separare i soggetti dal loro destino anatomico, gerarchie discriminatorie comprese. Si evince, dunque, la dimensione essenzialmente politica di questi aspetti, che si riflette del resto anche sulla pratica storica. È in fondo proprio a questo scopo che la storia delle donne e di genere mira sin dall’inizio: a prendere cioè consapevolezza dei meccanismi di potere che nella relazione sottostanno all’esperienza di donne e uomini, nel passato come nel presente, nella storia come nella storiografia.
Bibliografia essenziale di riferimento
I testi di Natalie Zemon Davis e Leonore Davidoff, insieme a una ricca antologia commentata di altri saggi considerati fondativi della storia delle donne, sono disponibili in traduzione italiana in Altre storie. La critica femminista alla storia, a cura di Paola Di Cori, Clueb, Bologna, 1996.
I testi di Joan Scott, con altri suoi successivi interventi sul tema, sono riuniti in traduzione italiana in Joan W. Scott, Genere, politica, storia, a cura di Ida Fazio, postfazione di Paola Di Cori, Viella, Roma, 2013. Si tratta peraltro del volume inaugurale della collana della Società italiana delle Storiche dedicata alla Storia delle donne e di genere.
Un aggiornato stato della questione si ricava complessivamente da Antoinette Burton, Gender History. A Very Short Introduction, Oxford University Press, Oxford, 2024 e da Merry E. Wiesner-Hanks, Gender in History. Global Perspectives, Third ed., Wiley Blackwell, Hoboken, 2022.
Un sintetico inquadramento in lingua italiana è disponibile anche in Elisabetta Bini, Genere, in Lessico della storia culturale, a cura di Alberto M. Banti, Vinzia Fiorino e Carlotta Sorba, Laterza, Roma-Bari, 2023, pp. 127-146.
Discute le più recenti tendenze della storia delle donne e di genere l’ultimo numero della rivista «Genesis», XXIII/1, 2024, dal titolo Sguardi femministi sulla storiografia.
Opere di sintesi di storia delle donne, disponibili anche in traduzione italiana, sono quella di Merry E. Wiesner-Hanks, Le donne nell’Europa moderna. 1500-1750, introduzione di Angela Groppi, Einaudi, Torino, 2003 e di Gisela Bock, Le donne nella storia europea, Laterza, Roma-Bari, 2001.
Si veda inoltre la pioneristica impresa in cinque volumi, diretta negli anni Novanta da Georges Duby e Michelle Perrot, Storia delle donne, Laterza, Roma-Bari, vol. I, L’Antichità, a cura di Pauline Schmitt Pantel; vol. II, Il Medioevo, a cura di Christiane Klapisch-Zuber; vol. III, Dal Rinascimento all’Età moderna, a cura di Natalie Zemon Davis e Arlette Farge; vol. IV, L’Ottocento, a cura di Geneviève Fraisse e Michelle Perrot; vol. V, Il Novecento, a cura di Françoise Thebaud.
Sulla dimensione politico-religiosa delle opposizioni al genere, si veda il recente libro di Laura Schettini, L’ideologia gender è pericolosa, Laterza, Roma-Bari, 2023.
I testi di Joan Scott, con altri suoi successivi interventi sul tema, sono riuniti in traduzione italiana in Joan W. Scott, Genere, politica, storia, a cura di Ida Fazio, postfazione di Paola Di Cori, Viella, Roma, 2013. Si tratta peraltro del volume inaugurale della collana della Società italiana delle Storiche dedicata alla Storia delle donne e di genere.
Un aggiornato stato della questione si ricava complessivamente da Antoinette Burton, Gender History. A Very Short Introduction, Oxford University Press, Oxford, 2024 e da Merry E. Wiesner-Hanks, Gender in History. Global Perspectives, Third ed., Wiley Blackwell, Hoboken, 2022.
Un sintetico inquadramento in lingua italiana è disponibile anche in Elisabetta Bini, Genere, in Lessico della storia culturale, a cura di Alberto M. Banti, Vinzia Fiorino e Carlotta Sorba, Laterza, Roma-Bari, 2023, pp. 127-146.
Discute le più recenti tendenze della storia delle donne e di genere l’ultimo numero della rivista «Genesis», XXIII/1, 2024, dal titolo Sguardi femministi sulla storiografia.
Opere di sintesi di storia delle donne, disponibili anche in traduzione italiana, sono quella di Merry E. Wiesner-Hanks, Le donne nell’Europa moderna. 1500-1750, introduzione di Angela Groppi, Einaudi, Torino, 2003 e di Gisela Bock, Le donne nella storia europea, Laterza, Roma-Bari, 2001.
Si veda inoltre la pioneristica impresa in cinque volumi, diretta negli anni Novanta da Georges Duby e Michelle Perrot, Storia delle donne, Laterza, Roma-Bari, vol. I, L’Antichità, a cura di Pauline Schmitt Pantel; vol. II, Il Medioevo, a cura di Christiane Klapisch-Zuber; vol. III, Dal Rinascimento all’Età moderna, a cura di Natalie Zemon Davis e Arlette Farge; vol. IV, L’Ottocento, a cura di Geneviève Fraisse e Michelle Perrot; vol. V, Il Novecento, a cura di Françoise Thebaud.
Sulla dimensione politico-religiosa delle opposizioni al genere, si veda il recente libro di Laura Schettini, L’ideologia gender è pericolosa, Laterza, Roma-Bari, 2023.
L’autore
Tommaso Scaramella è assegnista di ricerca in Storia moderna presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia. Tra le sue pubblicazioni si segnala la monografia Un doge infame. Sodomia e nonconformismo sessuale a Venezia nel Settecento (Marsilio, 2021).