Perché crediamo nei complotti?
di Stefania Franco
Perché, nonostante gli sforzi dei debunkers, alcune persone si ostinano a credere in teorie assurde? La risposta potrebbe dipendere dal modo in cui funziona il nostro cervello.
Pandemia e infodemia
SARS-CoV-2 è stato creato in laboratorio.
Il virus si trasmette con le frequenze del 5G.
La pandemia è un complotto dei poteri forti per instaurare una dittatura sanitaria.
I vaccini contengono dei microchip che servono per controllarci.
In tempi di pandemia, la disinformazione è diventata un problema di salute pubblica perché spinge le persone a credere a teorie pseudoscientifiche e cospirazioniste. Come afferma l’Organizzazione Mondiale della Sanità, “la pandemia di COVID-19 è stata accompagnata da una massiccia infodemia”, ovvero una sovrabbondanza di informazioni che rende più difficile riconoscere le fonti affidabili.
L’infodemia è stata certamente favorita dalla rapidità con cui le informazioni si diffondono su Internet e sui social, tuttavia le bufale e le teorie del complotto non sono una novità del nostro tempo.
Oggi il mostro della vaccinazione ha assunto le fattezze di Big Pharma, nutrita da governi e scienziati complici in un oscuro progetto di assoggettamento delle masse. Gli anti vaccinisti del XIX secolo sostenevano che i vaccini contenessero sostanze veleno di vipera, sangue di pipistrelli e interiora di rospo; la versione attuale parla di “tossine” e pericolose “sostanze chimiche”.
Quando i complotti sono reali
Un altro è la Nigeria, dove l’opposizione alla medicina occidentale del gruppo religioso fondamentalista Boko Haram si innesta sulla sfiducia generata da quanto accaduto nel 1996 a Kano. Durante un’epidemia di meningite il colosso farmaceutico Pfizer ha somministrato a un centinaio di bambini un nuovo antibiotico, il Trovan, che negli Stati Uniti non era ancora stato approvato, nonostante esistesse già in commercio un altro farmaco indicato per la cura della meningite, il Ceftriaxone. Nonostante undici bambini fossero deceduti durante il trattamento e altri avessero riportato gravi disabilità, il farmaco è stato messo in commercio negli Stati Uniti nel 1998 per poi essere ritirato l’anno successivo a causa della sua tossicità a livello epatico. La casa farmaceutica è stata poi denunciata per non aver informato le famiglie che il farmaco somministrato ai loro bambini era sperimentale, dando vita a un lungo contenzioso giudiziario che si è concluso con un risarcimento di 35 milioni di dollari.
Come sono fatte le teorie del complotto
L’importanza della fiducia nella società della conoscenza
Come ha messo in luce Antonio Sgobba nel saggio La società della fiducia, la nostra conoscenza si basa molto più sull’accettazione dell’autorità degli esperti che sull’esperienza diretta. Che cosa possiamo dire di conoscere veramente? Persino gli scienziati possono dirsi esperti soltanto in uno specifico settore. In quella che è stata definita come società della conoscenza, il sapere non è un attributo individuale, ma un patrimonio collettivo i cui elementi sono strettamente interconnessi come in un grande puzzle.
Inoltre, anche gli esperti possono essere in fallo: il virologo Luc Montagnier ha vinto il premio Nobel per la scoperta del virus dell’HIV, ma questo non gli ha impedito di perorare teorie pseudoscientifiche e complottiste. Montagnier sostiene, tra le altre cose, che il virus SARS-CoV-2 sia stato creato in un laboratorio di Wuhan e che i vaccini non siano sicuri.
Chi sono i complottisti?
Negli anni Noventa il sociologo Ted Goertzel ha condotto un sondaggio su un campione di cittadini americani che ha rivelato che quanto più le persone erano insoddisfatte delle loro vite e sfiduciate dalle istituzioni, tanto più erano disposte a credere nelle teorie del complotto.
Secondo gli psicologi, le teorie del complotto attecchiscono sulle persone che sentono di avere uno scarso controllo sulla propria vita offrendo loro una sorta di controllo compensativo che consente di individuare dei responsabili per fatti o eventi particolarmente destabilizzanti. Le teorie del complotto avrebbero inoltre la capacità di ricondurre la complessità a spiegazioni semplici, accessibili anche a chi non ha gli strumenti cognitivi per comprendere la realtà.
Un sondaggio condotto dall’EngageMinds Hub, il centro di ricerca in psicologia dei consumi e della salute dell’Università cattolica di Cremona, su un campione di cinquemila adulti rappresentativo della popolazione italiana (che rispecchia, cioè, la composizione della popolazione per età, sesso, provenienza, titolo di studi, fascia di reddito), ha confermato che le persone più propense a credere nelle teorie del complotto sono mediamente meno istruite e hanno un reddito più basso. In media… ma questo non spiega come mai tra i complottisti troviamo anche persone istruite e benestanti.
Sfatare gli stereotipi sui complottisti
Non è vero che i complottisti manchino di spirito critico, al contrario, fanno proprio il motto kantiano “Sapere aude” (“abbi il coraggio di servirti del tuo intelletto”) e decidono di non accontentarsi delle spiegazioni ufficiali. Nemmeno si può dire che i complottisti siano alla ricerca di spiegazioni semplici, perché spesso le teorie del complotto sono molto più complicate della realtà, anche perché devono inquadrare al loro interno molteplici elementi contraddittori. Per fare ciò i complottisti hanno spesso una conoscenza superiore alla media dell’argomento in oggetto, dunque non si può nemmeno dire che siano più “ignoranti”. I complottisti non rifiutano la scienza, al contrario, ne cercano la legittimazione, solo che lo fanno andando a pescare teorie pseudoscientifiche e minoritarie.
La tesi di Brotherson è che il complottismo non sia uno specifico tratto della personalità, ma che affondi le sue radici nel modo in cui funziona il nostro cervello.
Una spiegazione psicologica
Il nostro cervello tende automaticamente a individuare schemi, pattern, figure anche laddove non ce ne sono. Questo fenomeno prende il nome di apofenia e tutti quanti ne siamo più o meno soggetti, per esempio quando giochiamo a trovare forme nelle nuvole.
Un’analoga tendenza ci porta a ipotizzare una relazione di causalità tra due eventi che si manifestano in successione, anche se non sempre la correlazione implica causazione. Questo accade perché al nostro cervello non piacciono le coincidenze e la mancanza di una spiegazione ci fa sentire frustrati, in balia di una realtà caotica. Questi meccanismi psicologici sono profondamente connaturati al modo in cui il nostro cervello si è evoluto per fare ipotesi sul mondo e il salto dalla conoscenza alla paranoia è più corto di quanto possiamo immaginare.
Roberthson elenca inoltre tre tipi di pregiudizi che più o meno consapevolmente fanno parte del nostro comune modo di pensare. Il pregiudizio di intenzionalità, ossia l’idea che dietro a ogni fatto ci sia la volontà di qualcuno, quello di proporzionalità, che vuole che dietro a eventi di grande importanza ci siano cause commisurate, e infine ma non ultimo, il pregiudizio di conferma. Studi psicologici hanno dimostrato che per comprendere la realtà prima formuliamo delle ipotesi e poi andiamo alla ricerca di prove che le corroborino. Questo spiega perché chi è convinto che i vaccini causano l’autismo va alla ricerca di fonti che confermano la sua idea e rifiuta le ipotesi alternative.
Non bisogna, inoltre, sottovalutare il fascino che le storie esercitano su di noi: le spiegazioni “ufficiali” sono di solito meno interessanti delle storie che hanno per protagonista un eroe solitario e incompreso che combatte contro il male.
Come evitare la trappola del complottismo
È vero che la conoscenza scientifica non è alla portata di tutti, ma in linea di principio lo è: a differenza delle teorie del complotto, le teorie scientifiche non sono rinchiuse dentro una cassaforte di cui qualcun altro ha la chiave. Chiunque può studiarle, comprenderle e riprodurne i risultati.
Di fatto, però, se dovessimo diventare esperti di ogni questione che ci si presenta non vivremmo più: la vita, inoltre, spesso ci impone di prendere decisioni in tempi rapidi, che non consentono di dedicarsi a studi approfonditi. Per fortuna abbiamo a nostra disposizione uno strumento antichissimo e di semplice applicazione: si tratta del rasoio di Ockam ed è un principio di economia che suggerisce di scegliere tra due spiegazioni quella che implica il minor numero di cause. In altre parole, la spiegazione più plausibile è di solito quella più semplice. La comparsa di SARS-CoV-2, ad esempio, si spiega benissimo con la teoria dell’evoluzione, senza dover tirare in ballo macchinose cospirazioni che dovrebbero coinvolgere un gran numero di persone.
Bibliografia
Antonio Sgobba, La società della fiducia. Da Platone a Whatsapp, Il Saggiatore, 2021