La Francia e la guerra d’Algeria: tortura e censura

Il contesto

Nelle prime ore del 1 novembre 1954 l’Algeria, «dipartimento oltremare» della Francia, fu scossa da una serie di esplosioni: Parigi scoprì in questo modo l’esistenza di un movimento algerino determinato a conquistare l’indipendenza nazionale dopo oltre un secolo di colonizzazione. Nei mesi seguenti cominciò una guerra lunga, sanguinosa (secondo le stime più attendibili ci furono quasi 500mila morti, tra militari e civili di entrambe le parti, la maggior parte dei quali algerini) e soprattutto «sporca», costellata di episodi terribili, capace di scuotere in profondità la politica e la società francese.

La Francia rifiutò di definirla guerra, parlando invece di «operazioni di mantenimento dell’ordine». Nel frattempo però i governi (che in questo periodo si succedettero in modo vorticoso) varavano: incremento di spese militari; allungamento della ferma (due milioni di soldati attraversarono il Mediterraneo tra il 1955 e il 1962: la maggioranza dei giovani francesi nati tra il 1932 e il 1943 che prestarono servizio militare); leggi speciali che, tra le altre cose sospendevano diritti fondamentali. La guerra d’Algeria portò con sé restrizioni alla libertà personale, diminuzione delle garanzie giudiziarie, estensione delle competenze dei tribunali militari, significative limitazioni alla libertà di stampa e alla pubblicazione di immagini. La censura intervenne in modo massiccio, con sequestri di giornali, riviste, libri.

 

Il documento e il suo autore

Tra gli argomenti sottoposti a stretta censura c’era il ricorso alla tortura. La questione cominciò a essere sollevata sin dal 1955: il governo sapeva, attraverso i rapporti dei suoi funzionari (soprattutto di quelli contrari a questa pratica), che le forze sul campo ricorrevano alla tortura. Il termine era sostituito da eufemismi: si parlava allusivamente di question (letteralmente «domanda», in questo caso evocando il processo inquisitorio di antico regime, che prevedeva la tortura), di interrogatori «approfonditi» o «rinforzati».

Il ricorso alla tortura diventò massiccio con lo scoppio della battaglia di Algeri, all’inizio del 1957 (immortalata anche dal famoso film di Gillo Pontecorvo, uscito nel 1966). Qui si colloca la vicenda di Henri Alleg (1921-2013), arrestato ad Algeri dai paracadutisti del generale Jacques Massu (1908-2002), che da gennaio avevano ricevuto pieni poteri di polizia per stroncare la resistenza organizzata dal Fronte di Liberazione Nazionale (FLN) algerino. Militante del Partito comunista algerino, Alleg era stato direttore del quotidiano «Alger républicain» dal 1950 finché il giornale venne proibito nel 1955. Alla fine del 1956, dopo l’arresto subito da alcuni colleghi, Alleg entrò in clandestinità, ma non riuscì a sfuggire ai paracadutisti francesi. Il 12 giugno 1957 fu arrestato; subì un mese di torture; poi fu trasferito in un campo di concentramento dove scrisse il resoconto di quanto gli era accaduto. Riuscì a far arrivare la sua denuncia all’esterno del carcere: la Francia cominciò a conoscerla nel settembre 1957, dalle colonne del quotidiano del Partito comunista «L’Humanité». Nel febbraio 1958 uscì il memoriale completo, sotto il titolo La question. Il libro vendette più di 60mila copie nel giro di un mese prima di essere sequestrato (su istanza di un tribunale militare). La testimonianza di Alleg, tuttavia, continuò a circolare clandestinamente e uscì poco dopo in traduzione inglese e in traduzione italiana (in entrambi i casi fu usato il testo di Sartre come prefazione).

Un piccolo libro che metteva l’esercito sotto accusa, la società francese che cominciava a polarizzarsi: più di una circostanza ricordava il caso Dreyfus scoppiato alla fine dell’Ottocento. Ma come allora, ci sarebbero voluti anni prima che la «questione» trovasse una soluzione.

 

La guerra è disumana

Fu confiscata anche la tiratura del numero del settimanale «L’Express» in cui il celebre intellettuale Jean-Paul Sartre (1905-1980) aveva pubblicato un lungo commento sul libro che metteva la politica e la società francese di fronte alle sue responsabilità; ogni cittadino francese era chiamato in correo: “se bastano quindici anni per cambiare le vittime in carnefici [Sartre pensava ai resistenti francesi torturati dalla Gestapo durante la seconda guerra mondiale], allora chi decide è l’occasione; basta l’occasione a trasformare la vittima in carnefice: qualsiasi uomo, in qualsiasi momento”. E invocando la pace, Sartre illuminava anche il contenuto razzista della guerra, e prima ancora della colonizzazione: “La guerra d’Algeria non può essere umanizzata. La tortura si è imposta da sé: è stata suggerita dalle circostanze, chiamata dall’odio razzista. In certa misura, come abbiamo visto, essa si trova al centro stesso del conflitto e forse ne esprime la verità più profonda. Se vogliamo mettere fine a queste immonde e lugubri crudeltà, salvare la Francia dalla vergogna e gli algerini dall’inferno, abbiamo un sol mezzo, sempre lo stesso, il solo che abbiamo mai avuto, il solo che avremo mai: aprire i negoziati, fare la pace”.

È una riflessione, e una proposta, che parla anche a noi, nei tempi di guerra che viviamo oggi.

 

Il brano

Bruscamente, Ir… mi rimise in piedi. Era fuori di sé. La faccenda durava già troppo. – Ascolta, porco! Sei fottuto! Devi parlare! Capisci? Parlerai! – Teneva la faccia vicinissima alla mia, mi toccava quasi, e intanto urlava: – Parlerai! Tutti debbono parlare, qui! Abbiamo fatto la guerra in Indocina, noi, ci è servita per conoscervi bene1. Qui c’è la Gestapo! La conosci, la Gestapo? – Poi con un tono ironico: – Hai scritto degli articoli sulle torture, eh, porco. Ebbene, ora siamo noi che le facciamo su di te –. Sentii dietro di me le risate della squadra dei torturatori. Ir… mi martellava il viso di schiaffi e il ventre di ginocchiate. – Ciò che si fa qui, – continuava a dire, – lo ripeteremo in Francia. Il tuo Duclos2 e il tuo Mitterrand3, li conceremo come conciamo te, e la tua puttana di Repubblica, la butteremo all’aria! Parlerai, te l’assicuro –. Sul tavolo c’era un pezzo di legno. Lo prese e se ne servì per colpirmi. Ogni botta mi intontiva di più, ma al tempo stesso mi rafforzava nella mia decisione: non cedere a questi bruti che si vantavano di emulare la Gestapo.

– Va bene, – disse Cha…, – lo avrai voluto tu! Ti consegneremo alle belve –. Le belve erano i tipi che io già conoscevo, ma che stavano per illustrarmi ancora più ampiamente il loro talento.

(Henri Alleg, La tortura, trad. di Paolo Spriano, prefazione di Jean-Paul Sartre, Einaudi, Torino 1958, p. 36.)

 

Note


  1. Riferimento alla guerra d’Indocina, la prima guerra che la Francia si era trovata a combattere nel contesto della decolonizzazione, nel Sud-Est asiatico. I francesi si dovettero ritirare da quella regione proprio nel 1954; la guerra sarebbe peraltro continuata, con altri attori e una nuova denominazione: cominciava infatti la guerra del Vietnam.

  2. Jacques Duclos (1896-1975) era un membro del Partito comunista francese

  3. François Mitterrand (1916-96), allora membro di un partito socialdemocratico, era ministro dell’Interno al momento dello scoppio della guerra d’Algeria; poco dopo aveva avuto l’incarico di ministro della Giustizia. In seguito sarebbe diventato presidente della Repubblica (1981-1995).

Bibliografia

Caterina Roggero, La guerra d’Algeria e la «questione» di Alleg, postfazione alla nuova edizione di Henri Alleg, La tortura, Einaudi, Torino 2022.

Benjamin Stora, La guerra d’Algeria, il Mulino, Bologna 2009.

Andrea Brazzoduro, Soldati senza causa. Memorie della guerra d’Algeria, Laterza, Roma-Bari 2012.