
«Siria liberata»: storia e prospettive
di Lorenzo Trombetta
Dopo l’8 dicembre 2024
La dissoluzione inaspettata, l’8 dicembre 2024, del sistema di potere in Siria, incarnato da più di mezzo secolo nella famiglia Asad, ha riportato al centro del discorso politico l’attenzione su un territorio e una popolazione martoriati da più di quattordici anni di guerra intestina e regionale e afflitti da una prolungata crisi economica e finanziaria, la peggiore della storia del Paese mediterraneo.
A innescare questa svolta è stata una serie di fatti militari su scala locale e regionale svoltisi in un lasso di tempo relativamente breve, tra la fine di novembre e i primi di dicembre scorsi. L’offensiva della coalizione jihadista siriana contro le forze governative siriane, russe e iraniane è scattata, infatti, in concomitanza con il cessate il fuoco tra Israele e gli Hezbollah in Libano ed è parsa rimettere improvvisamente in moto la storia sociale, politica e culturale della Siria, Paese distante solo tre ore di volo dall’Italia.
Uno sviluppo che apre prospettive inattese e orizzonti tutti ancora da decifrare, e che riporta in attualità temi da tempo al centro del dibattito euromediterraneo: la gestione dei flussi migratori e la comprensione del terrorismo, inteso come tattica di violenza politica adottata da attori statuali e non statuali in contesti di crisi e conflitti armati.
A innescare questa svolta è stata una serie di fatti militari su scala locale e regionale svoltisi in un lasso di tempo relativamente breve, tra la fine di novembre e i primi di dicembre scorsi. L’offensiva della coalizione jihadista siriana contro le forze governative siriane, russe e iraniane è scattata, infatti, in concomitanza con il cessate il fuoco tra Israele e gli Hezbollah in Libano ed è parsa rimettere improvvisamente in moto la storia sociale, politica e culturale della Siria, Paese distante solo tre ore di volo dall’Italia.
Uno sviluppo che apre prospettive inattese e orizzonti tutti ancora da decifrare, e che riporta in attualità temi da tempo al centro del dibattito euromediterraneo: la gestione dei flussi migratori e la comprensione del terrorismo, inteso come tattica di violenza politica adottata da attori statuali e non statuali in contesti di crisi e conflitti armati.
Nella transizione
Alla «Siria degli Asad» si contrappone ora una «Siria liberata» e dominata da Ahmad Sharaa, per anni noto col suo nome di battaglia Abu Muhammad Jolani, ex esponente di spicco dell’organizzazione siriana di Al Qaida, ora leader politico-militare che rivendica, senza alcuna forma di legittimità formale, il ruolo di «Comandante generale» (al-Qa’id al-‘Amm) nel mezzo di una transizione giuridico-legale, socio-culturale, economica e politica di epocale importanza. Gran parte degli osservatori concordano nel dare un giudizio sostanzialmente positivo delle prime settimane di transizione da Asad a Sharaa. Quest’ultimo ha guidato un’offensiva militare scattata il 27 novembre 2024, che in pochi giorni ha raggiunto la città di Aleppo, prima di attraversare senza quasi colpo ferire tutta la pianura dell’Oronte nella Siria centrale, giungendo a Damasco all’alba dell’8 dicembre. Nelle convulse settimane che sono seguite si sono registrati una serie di fatti di violenza – vendette incrociate, rese dei conti, rappresaglie contro esponenti veri o presunti del disciolto regime –, ma nel complesso non si è avuto quel tanto temuto «bagno di sangue» da più parti evocato da chi sosteneva che il potere degli Asad fosse la garanzia per «la stabilità e la sicurezza» della Siria e dell’intero Mediterraneo orientale. Soprattutto, nelle zone storicamente segnate dalla contrapposizione tra comunità sunnite e alawite (l’alawismo è una branca dello sciismo, per decenni identificata col potere degli Asad), attorno e dentro alla città di Homs, le violenze – certamente da condannare – sono state contenute e mirate. Questo perché il discorso e la pratica politica di Sharaa e dei suoi colonnelli provenienti dalla remota regione nord-occidentale di Idlib si sono concentrati tra dicembre 2024 e gennaio 2025 nel rassicurare gli interlocutori locali e stranieri circa la volontà delle nuove autorità di voler rappresentare «tutti i siriani» e di voler costruire «un futuro per tutti i figli della patria», indipendentemente dalle diverse appartenenze comunitarie.
Il peso della storia
Il tema dell’inclusione di «tutti i siriani» nel progetto nazionale è una questione che si è riproposta ciclicamente nel corso della storia della Siria moderna, diventata indipendente nel 1946 dopo più di vent’anni di «mandato» francese (1920-46), istituito in seguito alla sconfitta dell’Impero ottomano nella Prima guerra mondiale e alla sua successiva dissoluzione. Durante il periodo della dominazione coloniale, la Francia tentò di frammentare su base comunitaria i territori che per quattro secoli (dal 1514 al 1918) erano stati sotto amministrazione ottomana: la società locale doveva essere divisa in maniera verticale, secondo appartenenze confessionali ed etniche, così come era già stato fatto dagli ottomani – ma su forti pressioni delle potenze europee – nel vicino Monte Libano a partire dal 1840 e in tutto il Levante arabo-ottomano con la riforma delle Tanzimat (1869). Questa eredità è stata trasmessa alle fasi successive della storia siriana, emergendo con violenza in alcune di esse e tornando apparentemente dormiente in altre. In questo senso, ogni avvicendamento ai vertici del potere a Damasco è segnato dalla rivendicazione di quella o quell’altra nuova autorità di voler essere rappresentativa di «tutti i siriani». Dietro la retorica di una presunta orizzontalità tra i siriani – come se fossero realmente tutti cittadini, con pari diritti e doveri – nel corso dei decenni si è approfondita una divisione comunitaria che è servita – e serve ancora – alle élite dominanti per gestire in maniera esclusiva il sistema di estrazione delle risorse e di distribuzione dei servizi.
Dopo i tumultuosi anni seguiti al raggiungimento dell’indipendenza (1946-49), la prima fase repubblicana siriana (1949-58) fu segnata da spinte locali e regionali per la definizione della nuova identità nazionale. Fu l’annessione di fatto all’Egitto di Nasser (Repubblica Araba Unita, 1958-61) a rappresentare un primo tentativo di sintesi esclusiva, a danno delle comunità curdo-siriane della regione della Jazira, nella parte nord-orientale del Paese. Questa tendenza a esaltare la componente araba a scapito delle comunità non arabe si enfatizzò con l’ascesa del partito Ba‘th (1963) e nei suoi successivi sviluppi in senso militare (1966, 1968), fino al golpe incruento operato da Hafez al-Asad, appartenente a un clan alawita delle montagne di Latakia, nel novembre del 1970.
Dopo i tumultuosi anni seguiti al raggiungimento dell’indipendenza (1946-49), la prima fase repubblicana siriana (1949-58) fu segnata da spinte locali e regionali per la definizione della nuova identità nazionale. Fu l’annessione di fatto all’Egitto di Nasser (Repubblica Araba Unita, 1958-61) a rappresentare un primo tentativo di sintesi esclusiva, a danno delle comunità curdo-siriane della regione della Jazira, nella parte nord-orientale del Paese. Questa tendenza a esaltare la componente araba a scapito delle comunità non arabe si enfatizzò con l’ascesa del partito Ba‘th (1963) e nei suoi successivi sviluppi in senso militare (1966, 1968), fino al golpe incruento operato da Hafez al-Asad, appartenente a un clan alawita delle montagne di Latakia, nel novembre del 1970.
Il regime degli Asad: un nuovo centro politico per la Siria
Proprio a metà degli anni Sessanta si assisté al fenomeno dell’alawizzazione del potere militare e istituzionale siriano, ovvero la crescente presenza nelle accademie militari, nelle forze di sicurezza e negli uffici civili dello Stato di membri di comunità alawite originari della regione costiere di Tartus e Latakia. Quella che a lungo era stata una regione periferica rispetto ai due poli urbani della Siria storica – Damasco e Aleppo – divenne gradualmente il nuovo centro socio-politico della Siria degli Asad.
L’élite alawita, inoltre, cooptò al potere anche altre comunità delle zone rurali, secondo una strategia trasversale alle confessioni, che coinvolse sunniti, drusi e ismailiti (che fanno parte del mondo musulmano sciita).
Dietro a una retorica di inclusione panarabista, la gestione del sistema estrattivo e distributivo si fece via via sempre più verticale e clientelare su base familiare, clanica e comunitaria. Questa dinamica portò sul finire degli anni Settanta a una serie di tumulti e atti di contestazione violenta da parte di una serie di comunità, per lo più urbano-sunnite, che si sentivano escluse dalla lucrosa gestione del potere, culminata con la rivolta di Hama, repressa nel sangue nel febbraio del 1982. Il potere di Asad padre sopravvisse comunque, prima a una serie di tentativi di golpe interni negli anni Ottanta, e poi al cambio epocale di equilibri globali e regionali innescati dalla fine dell’Unione Sovietica, a lungo alleata strategica di Damasco.
Alla morte di Hafez al Asad (giugno 2000), con l’avvento al potere del figlio Bashar si assisté al rinnovo della retorica pseudo-inclusivista di una «Siria per tutti i siriani». In realtà Asad figlio prese una serie di decisioni politiche e finanziarie che accentuarono la familiarizzazione del potere: non più costituito da una larga base di consenso clientelare fondato sulla cooptazione di élite locali appartenenti a diverse comunità, bensì concentrato nelle mani di una oligarchia composta ai suoi vertici da una decina di figure appartenenti alla famiglia Asad e al clan alleato dei Makhluf (2000-2010).
L’élite alawita, inoltre, cooptò al potere anche altre comunità delle zone rurali, secondo una strategia trasversale alle confessioni, che coinvolse sunniti, drusi e ismailiti (che fanno parte del mondo musulmano sciita).
Dietro a una retorica di inclusione panarabista, la gestione del sistema estrattivo e distributivo si fece via via sempre più verticale e clientelare su base familiare, clanica e comunitaria. Questa dinamica portò sul finire degli anni Settanta a una serie di tumulti e atti di contestazione violenta da parte di una serie di comunità, per lo più urbano-sunnite, che si sentivano escluse dalla lucrosa gestione del potere, culminata con la rivolta di Hama, repressa nel sangue nel febbraio del 1982. Il potere di Asad padre sopravvisse comunque, prima a una serie di tentativi di golpe interni negli anni Ottanta, e poi al cambio epocale di equilibri globali e regionali innescati dalla fine dell’Unione Sovietica, a lungo alleata strategica di Damasco.
Alla morte di Hafez al Asad (giugno 2000), con l’avvento al potere del figlio Bashar si assisté al rinnovo della retorica pseudo-inclusivista di una «Siria per tutti i siriani». In realtà Asad figlio prese una serie di decisioni politiche e finanziarie che accentuarono la familiarizzazione del potere: non più costituito da una larga base di consenso clientelare fondato sulla cooptazione di élite locali appartenenti a diverse comunità, bensì concentrato nelle mani di una oligarchia composta ai suoi vertici da una decina di figure appartenenti alla famiglia Asad e al clan alleato dei Makhluf (2000-2010).
Dalla «primavera araba» al crollo del regime
Nel contesto regionale delle proteste popolari in vari Paesi arabi, dall’Atlantico al Golfo, note come Primavere arabe, il crescente e diffuso malcontento socio-politico in Siria esplose nelle massicce manifestazioni del marzo 2011, rivelando l’incapacità del potere di Damasco di contenere la contestazione ed evitare l’allargamento del fronte anti-governativo, come invece Asad padre aveva fatto per anni negoziando con le varie élite locali cooptate nel sistema estrattivo e distributivo. Dopo una prima ondata di proteste pacifiche represse nel sangue (2011), dal 2012 la rivolta si militarizzò facendo diventare i territori siriani un’unica grande arena di un conflitto armato su scala regionale, con ramificazioni internazionali e nel quale sono coinvolti attori locali e stranieri sempre più radicalizzati (vedi la cronologia in appendice).
L’intervento militare statunitense e russo, assieme all’emergere dell’Organizzazione dello Stato islamico (IS), sono soltanto alcuni dei fatti che caratterizzano un decennio di violenze, mentre la Siria sprofonda nella peggiore crisi finanziaria della sua storia (2020), acuita dall’imposizione delle sanzioni statunitensi ed europee.
Lo scoppio della guerra in Europa orientale (2022) e la recrudescenza del conflitto israelo-palestinese (2023) contribuiscono nel 2024 a determinare un netto mutamento negli equilibri in tutto il Medio Oriente: lo smantellamento graduale della presenza militare russa in Siria e l’indebolimento significativo dell’asse iraniano a favore dell’alleanza statunitense-israeliana, offre alla Turchia, dal 2018 sempre più presente con le sue forze nel nord della Siria, l’opportunità di spingere i suoi alleati locali, tra cui la coalizione Hay’at Tahrir ash-Sham (HTS) di Ahmad Sharaa, verso un’offensiva militare su Aleppo.
La metropoli siriana cade quasi senza colpo ferire, soprattutto a causa della dissoluzione delle difese russe e filo-iraniane. Le forze governative, allo sbando, si arrendono prima di combattere. All’alba dell’8 dicembre 2024 Asad lascia Damasco e fugge a Mosca. Il suo potere sembra dissolto. Dopo poche ore, sul suo stesso trono, in cima al monte Qasyiun che sovrasta la capitale, siede ora Ahmad Sharaa.
L’intervento militare statunitense e russo, assieme all’emergere dell’Organizzazione dello Stato islamico (IS), sono soltanto alcuni dei fatti che caratterizzano un decennio di violenze, mentre la Siria sprofonda nella peggiore crisi finanziaria della sua storia (2020), acuita dall’imposizione delle sanzioni statunitensi ed europee.
Lo scoppio della guerra in Europa orientale (2022) e la recrudescenza del conflitto israelo-palestinese (2023) contribuiscono nel 2024 a determinare un netto mutamento negli equilibri in tutto il Medio Oriente: lo smantellamento graduale della presenza militare russa in Siria e l’indebolimento significativo dell’asse iraniano a favore dell’alleanza statunitense-israeliana, offre alla Turchia, dal 2018 sempre più presente con le sue forze nel nord della Siria, l’opportunità di spingere i suoi alleati locali, tra cui la coalizione Hay’at Tahrir ash-Sham (HTS) di Ahmad Sharaa, verso un’offensiva militare su Aleppo.
La metropoli siriana cade quasi senza colpo ferire, soprattutto a causa della dissoluzione delle difese russe e filo-iraniane. Le forze governative, allo sbando, si arrendono prima di combattere. All’alba dell’8 dicembre 2024 Asad lascia Damasco e fugge a Mosca. Il suo potere sembra dissolto. Dopo poche ore, sul suo stesso trono, in cima al monte Qasyiun che sovrasta la capitale, siede ora Ahmad Sharaa.
Le sfide del presente e dell’immediato futuro
Numerosi osservatori siriani, dentro e fuori il Paese, sono molto critici nei confronti del potere ora rappresentato da Sharaa rispetto a quelle che vengono indicate come le quattro sfide urgenti da affrontare:
Sullo sfondo di uno Stato da ricostruire e una società da ricomporre, finora le autorità di fatto della «Siria liberata» hanno cercato di creare un consenso interno con annunci in pieno stile populistico e promesse che, al momento, non hanno avuto seguito.
- la questione giuridico-legale riguardante il futuro costituzionale della Siria;
- la ristrutturazione dello Stato siriano e delle sue istituzioni, da decenni afflitte da pratiche corruttive e di malgoverno, diventate nel tempo sistemiche e parte integrante di un complesso di potere clientelare ed esclusivo;
- il risanamento dell’economia di un Paese in ginocchio e la cui popolazione è quasi totalmente dipendente dagli aiuti umanitari internazionali e dai finanziatori stranieri;
- la ricomposizione delle lacerazioni a sfondo comunitario, in particolare tra sunniti e alawiti e tra arabi e curdi.
Sullo sfondo di uno Stato da ricostruire e una società da ricomporre, finora le autorità di fatto della «Siria liberata» hanno cercato di creare un consenso interno con annunci in pieno stile populistico e promesse che, al momento, non hanno avuto seguito.
Un nuovo indirizzo di politica estera
La linea del «Comandante generale» Ahmad Sharaa sembra più chiara in ambito internazionale. Finora, la politica estera di Damasco si è mossa su due binari:
Nella ricerca da parte di Ahmad Sharaa e dei suoi rappresentanti di una legittimazione politica da parte di Paesi occidentali e di quelli arabi del Golfo emerge la volontà di accreditarsi come autorità affidabili per il presente e il futuro del Paese, collocandosi però di fatto in una posizione di chiara subalternità rispetto agli attori regionali e internazionali. Una posizione di debolezza evidenziata, prima di tutto, dal fatto che il territorio siriano rimane occupato da almeno tre eserciti di Paesi stranieri: gli Stati Uniti, Israele e la Turchia. La Russia, in ritirata in diverse regioni, per ora mantiene una presenza lungo la zona costiera mediterranea, mentre l’Iran ha smantellato la sua rete paramilitare, abbandonando al loro destino miliziani e faccendieri locali.
A questo si aggiunge il fatto che la nuova leadership siriana si è affrettata sia a riconoscere la sudditanza nei confronti della vicina Turchia, sia a chiedere aiuti finanziari ai Paesi arabi del Golfo – Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Qatar in primis.
- mostrare la rottura netta col passato, aprendo agli Stati Uniti e, in generale, ai Paesi occidentali e ai loro alleati regionali, Paesi arabi del Golfo su tutti, voltando pagina dopo decenni di relazioni privilegiate con Mosca e con Teheran e chiedendo in maniera insistente la fine del regime sanzionatorio imposto da Washington e dall’Unione Europea a partire dallo scoppio delle violenze nel 2011;
- rassicurare i nuovi partner stranieri sulla volontà del nuovo governo di voler includere nella «nuova Siria» tutte le componenti della società, con un’enfasi – particolarmente indotta dalle richieste delle cancellerie europee – sul «ruolo attivo» dei siriani cristiani.
Nella ricerca da parte di Ahmad Sharaa e dei suoi rappresentanti di una legittimazione politica da parte di Paesi occidentali e di quelli arabi del Golfo emerge la volontà di accreditarsi come autorità affidabili per il presente e il futuro del Paese, collocandosi però di fatto in una posizione di chiara subalternità rispetto agli attori regionali e internazionali. Una posizione di debolezza evidenziata, prima di tutto, dal fatto che il territorio siriano rimane occupato da almeno tre eserciti di Paesi stranieri: gli Stati Uniti, Israele e la Turchia. La Russia, in ritirata in diverse regioni, per ora mantiene una presenza lungo la zona costiera mediterranea, mentre l’Iran ha smantellato la sua rete paramilitare, abbandonando al loro destino miliziani e faccendieri locali.
A questo si aggiunge il fatto che la nuova leadership siriana si è affrettata sia a riconoscere la sudditanza nei confronti della vicina Turchia, sia a chiedere aiuti finanziari ai Paesi arabi del Golfo – Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Qatar in primis.
Due questioni cruciali
In questo contesto, i temi della migrazione clandestina e del terrorismo rimangono centrali e legati alla questione siriana. Dopo aver per anni «esportato» migranti verso l’Unione Europea, sia tramite il cosiddetto corridoio balcanico sia attraverso le rotte marittime provenienti dal vicino Libano o dalla più remota Libia, alla Siria di Ahmad Sharaa si chiede ora di tornare ad accogliere i circa sei milioni di siriani fuggiti nel corso degli anni. Allo stesso tempo, i governi europei e, più in generale, quelli occidentali sperano di stabilire con le nuove autorità siriane dei rapporti di collaborazione per proseguire «la lotta al terrorismo». Una strategia viziata da una visione di corto termine del fenomeno terroristico, concepito come la causa e non come la conseguenza di un malessere sociale e politico radicato nel tempo e nello spazio mediterranei.
Soltanto aiutando le autorità siriane nell’affrontare con urgenza le complesse e interconnesse sfide legate alla transizione costituzionale, economica, istituzionale e comunitaria, e ripristinando quanto prima la piena sovranità territoriale della Siria post-Asad, gli attori esterni potranno sostenere genuinamente le varie componenti della popolazione siriana nell'affrontare questa nuova fase della storia del Paese in maniera inclusiva e sostenibile. Queste sono le condizioni perché i rifugiati e gli sfollati possano far ritorno alle loro regioni di origine, con prospettive concrete di inserimento sociale e politico e senza dover scegliere tra uno stipendio da miliziani o il rischio di morire annegati nel Mediterraneo.
Soltanto aiutando le autorità siriane nell’affrontare con urgenza le complesse e interconnesse sfide legate alla transizione costituzionale, economica, istituzionale e comunitaria, e ripristinando quanto prima la piena sovranità territoriale della Siria post-Asad, gli attori esterni potranno sostenere genuinamente le varie componenti della popolazione siriana nell'affrontare questa nuova fase della storia del Paese in maniera inclusiva e sostenibile. Queste sono le condizioni perché i rifugiati e gli sfollati possano far ritorno alle loro regioni di origine, con prospettive concrete di inserimento sociale e politico e senza dover scegliere tra uno stipendio da miliziani o il rischio di morire annegati nel Mediterraneo.
Appendice. Cronologia essenziale dalle «primavere arabe» ai giorni nostri
La guerra in Siria prosegue da quasi di 14 anni. Ha causato centinaia di migliaia di morti e più di 10 milioni tra profughi e sfollati. Di seguito una cronologia anno per anno delle fasi chiave del conflitto.
2011 A febbraio scoppiano le proteste popolari nell’ambito delle cosiddette primavere arabe. La repressione governativa è dura e su ampia scala.
2012 Le comunità anti-governative si armano e gradualmente trovano il sostegno di una serie di forze regionali e internazionali. Il Partito dei lavoratori curdi (Pkk) stabilisce una sua presenza nel nord-est. Il conflitto attrae una serie di attori statuali e non statuali, tra cui gli Hezbollah libanesi e numerose milizie straniere nei vari schieramenti. Si assiste alla radicalizzazione in chiave religiosa di tutte le componenti sociali.
2013 Dopo gli attacchi chimici compiuti dal governo contro comunità di aree ribelli, gli Usa decidono di lasciare a Mosca l’iniziativa nel Paese. Gruppi ribelli e qaidisti locali aderiscono all’Organizzazione dello Stato islamico (IS) che dall’Iraq risale l’Eufrate siriano trovando ampi vuoti di potere.
2014 L’IS si afferma in ampie zone dell’Iraq e della Siria. Gli Usa intervengono militarmente in Siria e in Iraq a capo di una coalizione globale contro gli uomini guidati dal «califfo» Abu Bakr al-Baghdadi. Comincia la graduale «reconquista» delle forze governative nella Siria centrale, a partire dall’assedio di Homs.
2015 A ottobre la Russia interviene direttamente nel conflitto. Scoppia la crisi dei migranti siriani verso l’Europa via il corridoio turco-balcanico. Comincia l’assedio russo-iraniano di Aleppo est. Sanguinosa battaglia di Kobane tra l’IS e il Pkk siriano.
2016 Gli Usa sostengono il Pkk siriano. Prosegue la lotta internazionale all’IS lungo la valle dell’Eufrate. Russi e governativi riprendono Aleppo est.
2017 Dopo la caduta di Aleppo est, Mosca avvia il processo di Astana, in Kazakhstan, per la spartizione, di fatto, della Siria occidentale tra Russia, Iran e Turchia.
2018 La «reconquista» governativa e russa si espande alle regioni meridionali della Siria al confine con il Golan occupato da Israele e con la Giordania. Si intensifica la campagna anti-IS da parte delle forze curde e statunitensi. Invasione turca dell’enclave curda di Afrin. Primi accordi turco-russi per il nord-ovest.
2019 Con la battaglia di Baghuz gli Usa decretano la fine dello «Stato islamico» in Siria. Scatta l’offensiva militare turca contro il Pkk siriano a est dell’Eufrate.
2020 Nuovo accordo russo-turco per la spartizione del nord-ovest tra Idlib e Aleppo. Il default economico libanese, la pandemia e le sanzioni occidentali contribuiscono al rapido collasso dell’economia siriana.
2023 A febbraio si registra un devastante terremoto nel sud-ovest della Turchia e nel nord-ovest della Siria. Dall’autunno, gli eventi post-7 ottobre 2023 inaspriscono la guerra tra Iran e Israele sul territorio siriano.
2024 L’Italia è il primo Paese del G7 a riportare a Damasco un ambasciatore residente nel Paese dal 2011. Il 27 novembre scatta l’offensiva filo-turca su Aleppo e le forze curde del nord-ovest. Si indebolisce l’Iran sullo sfondo della guerra con Israele. Incertezze sul futuro di Asad. L’8 dicembre Bashar al-Asad fugge a Mosca sancendo di fatto la dissoluzione del potere incarnato da lui e dal padre Hafez per più di mezzo secolo. Il potere passa di fatto nelle mani di Ahmad Sharaa, leader dell’offensiva di fine novembre, ex qaidista di spicco e noto come Abu Muhammad Jolani.
2025 Ahmad Sharaa tenta di accreditarsi con i Paesi occidentali e quelli arabi del Golfo come un partner legittimo. Di fronte alle promesse di inclusività e pacificazione interna, le nuove autorità non offrono risposte chiare su quale sarà il percorso di transizione politica che attende la Siria post-Asad.
2011 A febbraio scoppiano le proteste popolari nell’ambito delle cosiddette primavere arabe. La repressione governativa è dura e su ampia scala.
2012 Le comunità anti-governative si armano e gradualmente trovano il sostegno di una serie di forze regionali e internazionali. Il Partito dei lavoratori curdi (Pkk) stabilisce una sua presenza nel nord-est. Il conflitto attrae una serie di attori statuali e non statuali, tra cui gli Hezbollah libanesi e numerose milizie straniere nei vari schieramenti. Si assiste alla radicalizzazione in chiave religiosa di tutte le componenti sociali.
2013 Dopo gli attacchi chimici compiuti dal governo contro comunità di aree ribelli, gli Usa decidono di lasciare a Mosca l’iniziativa nel Paese. Gruppi ribelli e qaidisti locali aderiscono all’Organizzazione dello Stato islamico (IS) che dall’Iraq risale l’Eufrate siriano trovando ampi vuoti di potere.
2014 L’IS si afferma in ampie zone dell’Iraq e della Siria. Gli Usa intervengono militarmente in Siria e in Iraq a capo di una coalizione globale contro gli uomini guidati dal «califfo» Abu Bakr al-Baghdadi. Comincia la graduale «reconquista» delle forze governative nella Siria centrale, a partire dall’assedio di Homs.
2015 A ottobre la Russia interviene direttamente nel conflitto. Scoppia la crisi dei migranti siriani verso l’Europa via il corridoio turco-balcanico. Comincia l’assedio russo-iraniano di Aleppo est. Sanguinosa battaglia di Kobane tra l’IS e il Pkk siriano.
2016 Gli Usa sostengono il Pkk siriano. Prosegue la lotta internazionale all’IS lungo la valle dell’Eufrate. Russi e governativi riprendono Aleppo est.
2017 Dopo la caduta di Aleppo est, Mosca avvia il processo di Astana, in Kazakhstan, per la spartizione, di fatto, della Siria occidentale tra Russia, Iran e Turchia.
2018 La «reconquista» governativa e russa si espande alle regioni meridionali della Siria al confine con il Golan occupato da Israele e con la Giordania. Si intensifica la campagna anti-IS da parte delle forze curde e statunitensi. Invasione turca dell’enclave curda di Afrin. Primi accordi turco-russi per il nord-ovest.
2019 Con la battaglia di Baghuz gli Usa decretano la fine dello «Stato islamico» in Siria. Scatta l’offensiva militare turca contro il Pkk siriano a est dell’Eufrate.
2020 Nuovo accordo russo-turco per la spartizione del nord-ovest tra Idlib e Aleppo. Il default economico libanese, la pandemia e le sanzioni occidentali contribuiscono al rapido collasso dell’economia siriana.
2023 A febbraio si registra un devastante terremoto nel sud-ovest della Turchia e nel nord-ovest della Siria. Dall’autunno, gli eventi post-7 ottobre 2023 inaspriscono la guerra tra Iran e Israele sul territorio siriano.
2024 L’Italia è il primo Paese del G7 a riportare a Damasco un ambasciatore residente nel Paese dal 2011. Il 27 novembre scatta l’offensiva filo-turca su Aleppo e le forze curde del nord-ovest. Si indebolisce l’Iran sullo sfondo della guerra con Israele. Incertezze sul futuro di Asad. L’8 dicembre Bashar al-Asad fugge a Mosca sancendo di fatto la dissoluzione del potere incarnato da lui e dal padre Hafez per più di mezzo secolo. Il potere passa di fatto nelle mani di Ahmad Sharaa, leader dell’offensiva di fine novembre, ex qaidista di spicco e noto come Abu Muhammad Jolani.
2025 Ahmad Sharaa tenta di accreditarsi con i Paesi occidentali e quelli arabi del Golfo come un partner legittimo. Di fronte alle promesse di inclusività e pacificazione interna, le nuove autorità non offrono risposte chiare su quale sarà il percorso di transizione politica che attende la Siria post-Asad.
Per approfondire
Fabrice Balanche, La région alaouite et le pouvoir syrien, Karthala, Paris 2006
Hanna Batatu, Syria’s Peasantry, the Descendants of Its Lesser Ruml Noables and their Politics, Princeton University Press, Princeton 1999
Dawn Chatty, Syria. The Making and Unmaking of a Refuge State, Oxford University Press, New York 2018
Joseph Daher, Syria After the Uprisings. The Political Economy of State Resilience, Pluto Press, London 2019
Haian Dukhan, State and Tribes in Syria. Informal Alliances and Conflict Patterns, Routledge, London-New York 2019
Bassam Haddad, Business Networks in Syria: The Political Economy of Authoritarian Resilience, Stanford University Press, Palo Alto, California, 2011
Omar Abdulaziz Hallaj, Formality, Informality, and the Resilience of the Syrian Political Economy, in «Syrian Transition Challenges Project» (online), European University Institute – Middle East Directions Programme and Geneva Centre for Security Policy, giugno 2021 (https://dam.gcsp.ch/files/doc/syrian-political-economy), consultato il 16 luglio 2021
Local Intermediaries in post-2011 Syria. Transformation and Continuity, a cura di Kheder Khaddour e Kevin Mazur, Friedrich-Ebert-Stiftung, Beirut 2019
Daniel Nepp, Occupying Syria under the French Mandate. Insurgency, Space and State Formation, Cambridge University Press, Cambridge 2012
Matthieu Rey, Histoire de la Syrie XIXe XXIe siècle, Fayard, Paris 2018
The Syrian Uprising. Domestic Origins and Early Trajectories, a cura di Raymond A. Hinnebusch e Omar Imady, Routledge, Abingdon, Oxon 2018
Lorenzo Trombetta, Beyond the Party. The Shifting Structure of Syria’s Power, in Informal Power in the Greater Middle East: Hidden Geographies, a cura di Luca Anceschi, Gennaro Gervasio e Andrea Teti, Routledge, London-New York 2014, pp. 24-40
Lorenzo Trombetta, Siria. Dagli Ottomani agli Asad, e oltre, Mondadori Università, Milano 2013
Lorenzo Trombetta, Negoziazione e potere in Medio Oriente. Alle radici dei conflitti in Siria e dintorni, Mondadori Università, Milano 2022
Hanna Batatu, Syria’s Peasantry, the Descendants of Its Lesser Ruml Noables and their Politics, Princeton University Press, Princeton 1999
Dawn Chatty, Syria. The Making and Unmaking of a Refuge State, Oxford University Press, New York 2018
Joseph Daher, Syria After the Uprisings. The Political Economy of State Resilience, Pluto Press, London 2019
Haian Dukhan, State and Tribes in Syria. Informal Alliances and Conflict Patterns, Routledge, London-New York 2019
Bassam Haddad, Business Networks in Syria: The Political Economy of Authoritarian Resilience, Stanford University Press, Palo Alto, California, 2011
Omar Abdulaziz Hallaj, Formality, Informality, and the Resilience of the Syrian Political Economy, in «Syrian Transition Challenges Project» (online), European University Institute – Middle East Directions Programme and Geneva Centre for Security Policy, giugno 2021 (https://dam.gcsp.ch/files/doc/syrian-political-economy), consultato il 16 luglio 2021
Local Intermediaries in post-2011 Syria. Transformation and Continuity, a cura di Kheder Khaddour e Kevin Mazur, Friedrich-Ebert-Stiftung, Beirut 2019
Daniel Nepp, Occupying Syria under the French Mandate. Insurgency, Space and State Formation, Cambridge University Press, Cambridge 2012
Matthieu Rey, Histoire de la Syrie XIXe XXIe siècle, Fayard, Paris 2018
The Syrian Uprising. Domestic Origins and Early Trajectories, a cura di Raymond A. Hinnebusch e Omar Imady, Routledge, Abingdon, Oxon 2018
Lorenzo Trombetta, Beyond the Party. The Shifting Structure of Syria’s Power, in Informal Power in the Greater Middle East: Hidden Geographies, a cura di Luca Anceschi, Gennaro Gervasio e Andrea Teti, Routledge, London-New York 2014, pp. 24-40
Lorenzo Trombetta, Siria. Dagli Ottomani agli Asad, e oltre, Mondadori Università, Milano 2013
Lorenzo Trombetta, Negoziazione e potere in Medio Oriente. Alle radici dei conflitti in Siria e dintorni, Mondadori Università, Milano 2022
L’autore
Lorenzo Trombetta è un arabista e specialista di storia contemporanea del Medio Oriente, in particolare delle vicende di Siria e Libano, dove ha vissuto a lungo. Ha dedicato alla Siria contemporanea la sua tesi di laurea e quella di dottorato, discussa alla Sorbona di Parigi (2008). Per vent’anni corrispondente da Beirut per l’ANSA, tra le sue collaborazioni ci sono anche quelle con la rivista “Limes” e con l’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI). È stato curatore dell’edizione italiana del libro di Robert Fisk, Il martirio di una nazione. Il Libano in guerra (Il Saggiatore, Milano 2010). Con Mondadori Education ha pubblicato due monografie: Siria. Dagli Ottomani agli Asad, e oltre (2013) e Negoziazione e potere in Medio Oriente. Alle radici dei conflitti in Siria e dintorni (2022).