Intersex - Quando la classificazione scientifica diventa cancellazione
di Edwige Pezzulli
- Obiettivo: 5 - Parità di genere, 10 - Ridurre le diseguaglianze
“Definitions belong to the definers not the defined”
Toni Morrison
La biomedicina definisce l'intersessualità come quella condizione presente fin dalla nascita in cui le caratteristiche sessuali di un undividuo non rientrano nelle categorie tipiche di corpo femminile o maschile. Si parla di caratteristiche sessuali, al plurale, poiché a contribuire al sesso biologico non interviene un singolo fattore bensì uno spettro ampio di combinazioni, che vanno per esempio dallo sviluppo del sesso gonadico a quello cromosomico o a quello anatomico. Definire il sesso di un individuo infatti è un’operazione più complessa di come la immaginiamo, che trova dei profondi limiti nello schema binario maschio-femmina, ovvero due categorie nettamente separate e non sovrapponibili.
Attenzione al linguaggio
Il linguaggio usato per descrivere le persone intersex ha subito molti cambiamenti nel corso della storia ed è ancora oggi oggetto di un acceso dibattito. Il termine “intersessualità” è stato introdotto per la prima volta nel 1917 dal genetista tedesco Richard Goldschmidt nel suo articolo Intersexuality and the Endocrine Aspect of Sex. Questa parola ha progressivamente sostituito “ermafroditismo”, espressione ampiamente utilizzata fino all’inizio del secolo scorso ma ad oggi considerata inappropriata poiché fuorviante, stigmatizzante e scientificamente errata.
Nel 2005 nella Consensus Conference di Chicago, primo incontro internazionale tra medici e pazienti sulla gestione delle condizioni intersex, é stato proposto il termine “disordini dello sviluppo del sesso” (Disorders of Sex Development, DSD), una definizione criticata da alcuni attivisti e parte del movimento intersex poiché il termine “disordini” trasmette l'idea di una condizione patologica o anormale che richiederebbe un intervento medico per essere corretta.
In risposta a DSD si sono diffusi termini meno discriminatori, come “differenze dello sviluppo del sesso” e, più recentemente, “variazioni delle caratteristiche del sesso” (Variations of Sex Characteristics, VSC). Nonostante quest'ultima espressione sia particolarmente apprezzata da diverse istituzioni internazionali (come il Consiglio d'Europa), dai movimenti intersex e dalle scienze sociali, nella letteratura scientifica biomedica prevalgono ancora i termini basati su “disordini” o “differenze”.
Il sesso biologico
All'inizio della gravidanza, durante le prime fasi dello sviluppo del feto, le gonadi (che diventeranno testicoli o ovaie) sono indifferenziate, cioè possono svilupparsi sia in senso maschile che femminile. Se è presente il gene SRY, che si trova sul cromosoma Y, queste si trasformano in testicoli, che iniziano poi a produrre testosterone, favorendo lo sviluppo di genitali maschili interni ed esterni, e tra il settimo e l'ottavo mese i testicoli si spostano nello scroto. Se il gene SRY non è presente, le gonadi si sviluppano in ovaie, formando gli organi tipicamente femminili. Questo sviluppo può essere però influenzato da fattori genetici, ormonali e ambientali causando alcune variazioni, per esempio la sindrome di Klinefelter, nella quale gli individui hanno due cromosomi X e un cromosoma Y (XXY), che porta a caratteristiche maschili con alcune atipicità come pene e testicoli poco sviluppati oppure ginecomastia, uno sviluppo accentuato delle mammelle.
Per definire chi è maschio e chi è femmina però i medici non effettuano analisi genetiche bensì osservano i genitali esterni al momento della nascita dell’individuo. Anche questa operazione si rivela a volte meno semplice del previsto: ad oggi infatti sappiamo che tutti gli organi sessuali provengono dalla stessa cresta genitale, lo scroto e i testicoli negli uomini sono equivalenti alle labbra e alle ovaie nelle donne, mentre il pene è equivalente al clitoride, e che lo spettro di dimensioni di pene e clitoride possono essere molto variabili, dal micropene all’ipertrofia clitoridea. Se il neonato presenta organi sessuali o caratteristiche ambigue o indefinite, in che categoria verrà inserito?
Non solo numeri
La letteratura scientifica internazionale indica le percentuali di persone intersex generalmente comprese tra lo 0,018% e l’1,7%, con alcune variazioni più rare e altre più frequenti. Secondo le stime della biologa e storica della scienza Anne Fausto-Sterling, una delle pioniere nello studio dell’intersessualità, i nuovi nati che presentano una qualche forma di intersessualità sono in realtà prossimi al valore più alto della stima appena citata, circa l’1,7%.
Categorizzo dunque sono
A partire dall'antichità occidentale e fino alla Modernità, si è creduto che maschi e femmine fossero variazioni di un unico sesso, quello maschile. In questa visione, il corpo femminile fu a lungo concettualizzato come una versione meno sviluppata, incompleta o imperfetta del corpo maschile, concezione che si costruiva su un'idea di continuità, in cui i due sessi non erano realmente distinti ma parte di un'unica scala di perfezione. Nel Settecento, però, questa visione cambiò radicalmente: le differenze tra maschi e femmine si iniziarono a considerare come qualitative e gli apparati riproduttivi maschili e femminili, prima visti come strutture simili sviluppati in modi diversi, iniziarono a essere studiati come sistemi distinti, con funzioni e caratteristiche proprie. Questa nuova prospettiva portò a un ripensamento delle conoscenze scientifiche ritenute valide fino a quel momento, e naturalisti e medici del tempo riorganizzano le informazioni disponibili ampliandole con nuove scoperte sul funzionamento degli organi riproduttivi. Il corpo femminile smise così di essere considerato un “derivato" del maschile e venne riconosciuto come appartenente a un genere differente, con una propria identità biologica e scientifica.
È in questo quadro teorico che la scienza si approccò alla questione dell’intersessualità: con l'Illuminismo e la Modernità, medici e scienziati si iniziarono a concentrare sui soggetti chiamati dal sesso dubbio, convinti che la scienza potesse risolvere la questione e determinare il vero sesso di quelli che allora erano definiti ermafroditi. In questa fase, l'interesse scientifico per l'intersessualità si iniziò a tradurre in un tentativo di correggere, ridurre la diversità e di adattare tutti i corpi all’assunto binario dell’esistenza in natura di due soli sessi.
Con il progresso delle scienze mediche nell’Ottocento, il tema del sesso biologico e delle sue varianti diventò sempre più rilevante. In particolare prese sempre più piede l’idea di determinare il sesso di un individuo attraverso interventi chirurgici e trattamenti volti ad assegnare un vero sesso a chi non rientrava nelle categorie tradizionali. È così che nel Novecento la medicina cominciò a intervenire in modo attivo sui corpi intersex, cercando di normalizzarli chirurgicamente. Uno dei riferimenti di questa nuova epoca è William Blair-Bell, ginecologo e accademico inglese, che sostenne la necessità di ricorrere alla chirurgia per rimuovere le parti anatomiche anomale. Blair-Bell fu però anche tra i primi a denunciare l’inaccuratezza delle attribuzioni di genere in caso di intersessualità: “Né le gonadi né gli apparati genitali influenzano necessariamente o ci danno alcuna indicazione sul vero sesso dell’individuo”, disse nel 1915. Nonostante le inaccuratezze, Bell continuò a raccomandare che i medici scegliessero un sesso biologico e modellassero e mutilassero il corpo intersessuale di conseguenza.
Negli anni '40, il modello basato sulle gonadi perse via via importanza nella scienza, quando si intuì che non rappresentava una descrizione in grado di spiegare completamente i meccanismi di determinazione del sesso di un individuo. Al suo posto subentrò una visione più complessa, che considerava insieme la biologia e la psicologia, l’educazione e anche i tratti sessuali secondari. Questo nuovo paradigma, chiamato modello Optimal Gender of Rearing (OGR), si fondava comunque sulla chirurgia, assumendo come necessaria l’assegnazione di un sesso ai bambini intersex attraverso interventi chirurgici e trattamenti ormonali per correggere il corpo (sano) e adeguare il comportamento dell’individuo secondo il sesso scelto. Questi interventi venivano fatti prima dei 18 mesi, per evitare che la persona appena nata ricordasse i trattamenti medici e chirurgici a cui era stata sottoposta.
Per via dei limiti delle tecniche chirurgiche di ricostruzione, alla maggior parte degli individui trattati iniziarono a essere assegnati genitali femminili, e all’intervento medico si affiancò una rigida educazione al ruolo sociale di genere. Il protocollo si stabilizzò attorno a questa pratica di costruzione chirurgica di un sesso biologico, scelto anche sulla base di misure standard: clitoride, se di massimo 1 cm, o pene, se di minimo 2,5 cm. Una volta deciso il vero sesso, questo veniva, e viene ancora, fissato mediante trattamenti chirurgici e ormonali irreversibili.
Tante critiche a un modello
In generale, la scelta di concettualizzare le variazioni intersex come patologia da correggere è l’assunto su cui ancora si fonda buona parte delle pratiche mediche moderne, ma non ha alcun fondamento scientifico: l’intersessualità non compromettee la salute o l’aspettativa di vita della persona (anche se alcune variazioni possono essere più complesse da gestire e richiedono trattamenti specifici per prevenire rischi per la salute) e non rappresenta un problema per la loro sopravvivenza. Nonostante ciò, molte persone intersessuali devono affrontare un lungo percorso di medicalizzazione nell’arco della loro vita, venendo sottoposti a interventi chirurgici considerati normalizzanti, nel concreto irreversibili, rischiosi ma soprattutto non necessari dal punto di vista medico e spesso meramente estetici. In un rapporto del 2013, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha perciò condannato ufficialmente gli interventi chirurgici sui bambini intersessuali e nel 2024 le procedure mediche forzate sulle persone intersessuali sono state dichiarate lesive dei diritti umani dalla risuluzione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, che ha invitato tutti gli Stati ONU a “combattere la discriminazione, la violenza e le pratiche dannose contro le persone con variazioni innate nelle caratteristiche sessuali e ad affrontarne le cause profonde”.
Proposta di attività per la classe
È possibile per esempio utilizzare il documentario Intersexion, fruibile gratuitamente su piattaforme come Youtube o Vimeo (https://youtu.be/czbQRjdGvYQ). L’attività ha lo scopo di stimolare le e gli studenti al confronto e ad argomentare un punto di vista, individuandone anche le possibili controargomentazioni.
Fasi e tempi di realizzazione
Fase 1 (10 minuti) - La consegna può essere introdotta dall’insegnante che facilita la formazione dei gruppi e sceglie una persona portavoce per ciascun gruppo.
Fase 2 (20 minuti) - All’interno di ciascun gruppo, le e gli studenti discutono tra loro e argomentano il punto di vista assegnato.
Fase 3 (15 minuti) - Le persone portavoce espongono i risultati della discussione.
Fase 4 (10 minuti) - L’insegnante discute i risultati ottenuti.
Al termine del dibattito le e gli studenti possono esprimere individualmente la propria opinione rispetto alle seguenti domande.
- Concordi con l’opinione espressa dal tuo gruppo?
- L’attività ha in qualche modo contribuito a modificare le tue precedenti opinioni sull’argomento?
- A quale conclusione sei giunta/o?
Bibliografia
Human Rights Watch
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Intersex. Antologia multidisciplinare
a cura di Michela Balocchi
Edizioni ETS
ISBN-13: 9788846752560
InfoIntersex – Chi sono le persone intersex?
Istituto Superiore di Sanità (ISS)
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Cos’è l’intersex?
Intersex Esiste
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