La tolleranza: lo spessore storico di una questione del presente
Lucia Felici, Girolamo Imbruglia, La tolleranza in età moderna. Idee, conflitti, protagonisti (secoli XVI-XVIII), Roma, Carocci 2024, 336 p. Scheda a cura di Eleonora Faricelli.
Tollerare: dalla sfera religiosa a quella politica
Nella sua accezione etimologica, il vocabolo tollerare sta a indicare la capacità degli individui di sopportare qualcosa. Questo termine affonda le sue radici storiche nelle lotte religiose provocate dalla Riforma protestante, ma subì una progressiva trasformazione fino ad assumere una connotazione marcatamente politica nel XVIII secolo.
Per rendere la complessità di un fenomeno tanto articolato, Lucia Felici e Girolamo Imbruglia hanno deciso di evitare una narrazione cronologica, per porre al centro del loro libro le idee, i conflitti e i protagonisti – come indicato nel sottotitolo.
Per rendere la complessità di un fenomeno tanto articolato, Lucia Felici e Girolamo Imbruglia hanno deciso di evitare una narrazione cronologica, per porre al centro del loro libro le idee, i conflitti e i protagonisti – come indicato nel sottotitolo.
Il problema della convivenza e la tolleranza
Dopo un breve Antefatto sul concetto di tolleranza in età medievale, si apre la Parte prima scritta da Lucia Felici, incentrata sui secoli XVI e XVII e articolata in quattro capitoli. Felici pone al centro il problema dell’incontro con l’Altro: un «nuovo mondo» andava infatti profilandosi tra Quattro e Cinquecento in seguito alle «scoperte» geografiche, che misero in contatto gli europei con culture diverse, mentre l’unità del corpo cristiano veniva infranta in nome di una molteplicità composita, fatta di nuove Chiese istituzionalizzate, ma anche di una miriade di sette e movimenti, di gruppi e individui spesso radicali nelle loro scelte. In gran parte d’Europa – dall’Impero germanico alla Polonia, dai Paesi Bassi alla Francia, dall’Europa orientale alla Confederazione elvetica – si resero necessarie strategie utili alla convivenza, talvolta al di là della stessa legge.
Teatro di violente guerre di religione dal 1562, la Francia rappresentò un importante laboratorio per praticare la tolleranza. Gli scontri per il riconoscimento della minoranza calvinista nel Paese furono sanguinosissimi, mentre i tentativi di dialogo, coabitazione e persino riconciliazione con la controparte cattolica furono numerosi e spesso infruttuosi: vi si adoperarono, tra gli altri, anche la regina reggente, Caterina de’ Medici, e diverse nobildonne, grazie all’ampia rete di relazioni tessuta in tutta Europa. Parallelamente, si sviluppò un intenso dibattito intellettuale che incise profondamente sullo sviluppo degli eventi. Vi parteciparono pensatori di alto profilo, tra cui Jean Bodin, che sostenne l’idea della tolleranza civile quale garanzia per la stabilità del regno. L’emanazione dell’Editto di Nantes da parte del re Enrico IV nel 1598 ebbe un duplice e decisivo risultato: da un lato mise la parola fine alle guerre di religione in Francia, dall’altro ufficializzò la coesistenza pacifica di due confessioni religiose in uno Stato cattolico. La sua efficacia però non fu duratura: svuotato di significato dai successori di Enrico IV, esso fu revocato da Luigi XIV nel 1685 con l’Editto di Fontainebleau.
Il Seicento segnò invece una decisiva e diffusa svolta, e l’Inghilterra ne fu la pioniera. La Rivoluzione inglese comportò una revisione dell’assetto politico vigente grazie alla creazione di una monarchia parlamentare, la prima in Europa. Allo stesso tempo venne risolta l’altra questione che aveva lacerato la società delle isole britanniche ai tempi della duplice Rivoluzione (la prima fu quella del 1642-49): quella religiosa. L’emanazione del Toleration Act del 1689 separava per la prima volta la fedeltà allo Stato dalla professione di fede anglicana. Benché non si possa ancora parlare di tolleranza in senso moderno, esso sancì di fatto la convivenza religiosa in Inghilterra.
Teatro di violente guerre di religione dal 1562, la Francia rappresentò un importante laboratorio per praticare la tolleranza. Gli scontri per il riconoscimento della minoranza calvinista nel Paese furono sanguinosissimi, mentre i tentativi di dialogo, coabitazione e persino riconciliazione con la controparte cattolica furono numerosi e spesso infruttuosi: vi si adoperarono, tra gli altri, anche la regina reggente, Caterina de’ Medici, e diverse nobildonne, grazie all’ampia rete di relazioni tessuta in tutta Europa. Parallelamente, si sviluppò un intenso dibattito intellettuale che incise profondamente sullo sviluppo degli eventi. Vi parteciparono pensatori di alto profilo, tra cui Jean Bodin, che sostenne l’idea della tolleranza civile quale garanzia per la stabilità del regno. L’emanazione dell’Editto di Nantes da parte del re Enrico IV nel 1598 ebbe un duplice e decisivo risultato: da un lato mise la parola fine alle guerre di religione in Francia, dall’altro ufficializzò la coesistenza pacifica di due confessioni religiose in uno Stato cattolico. La sua efficacia però non fu duratura: svuotato di significato dai successori di Enrico IV, esso fu revocato da Luigi XIV nel 1685 con l’Editto di Fontainebleau.
Il Seicento segnò invece una decisiva e diffusa svolta, e l’Inghilterra ne fu la pioniera. La Rivoluzione inglese comportò una revisione dell’assetto politico vigente grazie alla creazione di una monarchia parlamentare, la prima in Europa. Allo stesso tempo venne risolta l’altra questione che aveva lacerato la società delle isole britanniche ai tempi della duplice Rivoluzione (la prima fu quella del 1642-49): quella religiosa. L’emanazione del Toleration Act del 1689 separava per la prima volta la fedeltà allo Stato dalla professione di fede anglicana. Benché non si possa ancora parlare di tolleranza in senso moderno, esso sancì di fatto la convivenza religiosa in Inghilterra.
Toleration, tolleranza e libertà individuale
Nella Seconda parte, curata da Girolamo Imbruglia, l’autore introduce e spiega il significato di toleration, un termine coniato di recente dalla storiografia anglofona e privo di un’esatta traduzione in italiano. Toleration indica in sostanza non una politica attiva di tolleranza, ma la scelta delle autorità politiche di non esercitare il proprio diritto a reprimere le minoranze religiose e perseguire così la coabitazione pacifica con la maggioranza della popolazione, pur di fede diversa. Un esempio è rappresentato dalle «Livornine», i bandi emanati nel 1591 e nel 1593 dal granduca Ferdinando I de’ Medici per promuovere il popolamento di Livorno e lo sviluppo del suo porto mercantile. La città toscana, porzione ristretta dei domini dei granduchi, dove essi praticarono la toleration, accolse numerose comunità – ebrea, tedesca (protestante), greca, armena, per citarne solo alcune – cui fu concesso di costruire edifici di culto e di coltivare la propria fede. Tuttavia, i casi di pratica della toleration rimasero ancora isolati, schiacciati dai mondi confessionali – tanto cattolico quanto riformato – accomunati dalla medesima strategia di intolleranza, cioè di negazione della toleration religiosa.
Il Seicento fu secolo dell’«ateismo, ma anche della fede viva», come scrive Imbruglia, e segnò una nuova e diversa fase. La guerra dei Trent’anni (1618-1648), l’ultimo scontro confessionale in Europa, sancì un cambio di rotta. Se la religione era stata sino a quel momento centrale nelle lotte drammatiche che avevano lacerato il Vecchio Continente, con la pace di Westfalia nel 1648 i motivi religiosi vennero depotenziati e la politica iniziò ad assumere una rilevanza sempre maggiore. Il processo di secolarizzazione iniziò così il suo lento ma graduale corso. Si verificò allora anche uno slittamento di significato e di terreno di applicazione della tolleranza, che iniziò a divenire una questione legata alla sfera della politica e alle libertà (che via via divennero diritti) degli individui. Tra Seicento e Settecento si sviluppò infine il moderno concetto di tolleranza, in un dibattito che ebbe tra le sue voci quelle di Thomas Hobbes, Baruch Spinoza, John Locke, per giungere infine ai pensatori dell’Illuminismo, come Montesquieu e Jean-Jacques Rousseau, che arrivarono a postulare la libertà democratica: era quest’ultima a garantire la tolleranza.
Il Seicento fu secolo dell’«ateismo, ma anche della fede viva», come scrive Imbruglia, e segnò una nuova e diversa fase. La guerra dei Trent’anni (1618-1648), l’ultimo scontro confessionale in Europa, sancì un cambio di rotta. Se la religione era stata sino a quel momento centrale nelle lotte drammatiche che avevano lacerato il Vecchio Continente, con la pace di Westfalia nel 1648 i motivi religiosi vennero depotenziati e la politica iniziò ad assumere una rilevanza sempre maggiore. Il processo di secolarizzazione iniziò così il suo lento ma graduale corso. Si verificò allora anche uno slittamento di significato e di terreno di applicazione della tolleranza, che iniziò a divenire una questione legata alla sfera della politica e alle libertà (che via via divennero diritti) degli individui. Tra Seicento e Settecento si sviluppò infine il moderno concetto di tolleranza, in un dibattito che ebbe tra le sue voci quelle di Thomas Hobbes, Baruch Spinoza, John Locke, per giungere infine ai pensatori dell’Illuminismo, come Montesquieu e Jean-Jacques Rousseau, che arrivarono a postulare la libertà democratica: era quest’ultima a garantire la tolleranza.
Un libro di storia moderna per pensare le sfide di oggi
Le due parti del libro si integrano in modo efficace: il lettore si imbatte tanto nei concetti che ispirarono gli intellettuali nella ricerca di nuove e diverse forme di tolleranza quanto nelle pratiche trovate per far fronte a esigenze quotidiane. Al termine della lettura si ha la consapevolezza della profonda metamorfosi compiuta tra XVI e XVIII secolo dall’idea di tolleranza: nata per rispondere alle inquietudini religiose del Cinquecento, essa divenne, nel corso dei secoli, un problema che riguardò la libertà politica e civile degli individui.
Il libro di Felici e Imbruglia maneggia temi complessi, su cui la storiografia sta riflettendo in modo nuovo rispetto al passato. È un testo difficile, ma indispensabile, perché affronta con coraggio la storia della tolleranza senza che questa venga assunta come ideologia. Stiamo assistendo negli ultimi anni a rapide trasformazioni nella società, al sorgere di nuovi conflitti che scuotono le nostre coscienze, mettono in dubbio il nostro concetto di libertà e ci pongono dinnanzi a un continuo confronto con l’«altro». Di fronte alle nuove sfide che il tempo presente e il tempo futuro ci richiedono, questo testo rappresenta un autorevole contributo da parte degli storici.
Il libro di Felici e Imbruglia maneggia temi complessi, su cui la storiografia sta riflettendo in modo nuovo rispetto al passato. È un testo difficile, ma indispensabile, perché affronta con coraggio la storia della tolleranza senza che questa venga assunta come ideologia. Stiamo assistendo negli ultimi anni a rapide trasformazioni nella società, al sorgere di nuovi conflitti che scuotono le nostre coscienze, mettono in dubbio il nostro concetto di libertà e ci pongono dinnanzi a un continuo confronto con l’«altro». Di fronte alle nuove sfide che il tempo presente e il tempo futuro ci richiedono, questo testo rappresenta un autorevole contributo da parte degli storici.