30 novembre. Abolire la pena di morte
Perché collegare il 30 novembre all’abolizione della pena di morte? Un calendario civile tra storia locale, diritti universali e date alternative. Perché la pena capitale è una questione sempre aperta, tanto più in tempi di guerra.
La data, l’evento
Il 30 novembre 1786 vide la luce una delle più celebri riforme dell’Illuminismo italiano: il granduca di Toscana Pietro Leopoldo d’Asburgo Lorena promulgò un nuovo codice penale che, per la prima volta in Europa, aboliva «per sempre la pena di morte contro qualunque reo […] di qualsivoglia delitto dichiarato capitale dalle leggi fin qui promulgate, le quali tutte vogliamo in questa parte cessate ed abolite» (documento 1).
Come precisava nel preambolo del codice, il sovrano, sin dal suo avvento al trono nel 1765, aveva emanato «istruzioni ed ordini ai nostri tribunali, e con particolari editti con i quali vennero abolite le pene di morte, la tortura e le pene immoderate e non proporzionate alle trasgressioni ed alle contravvenzioni alle leggi fiscali» (documento 2 e documento 3). Vent’anni dopo era giunto il momento di sistemare in modo organico tutta questa materia, con la Riforma della legislazione criminale toscana – questo il nome ufficiale del nuovo codice, chiamato più informalmente «Codice leopoldino» o «Leopoldina».
Dal 2001, la Regione Toscana celebra ufficialmente il 30 novembre per «affermare l’impegno per la promozione dei diritti umani, della pace e della giustizia»: un calendario civile locale che però si proietta verso valori universali.
Come precisava nel preambolo del codice, il sovrano, sin dal suo avvento al trono nel 1765, aveva emanato «istruzioni ed ordini ai nostri tribunali, e con particolari editti con i quali vennero abolite le pene di morte, la tortura e le pene immoderate e non proporzionate alle trasgressioni ed alle contravvenzioni alle leggi fiscali» (documento 2 e documento 3). Vent’anni dopo era giunto il momento di sistemare in modo organico tutta questa materia, con la Riforma della legislazione criminale toscana – questo il nome ufficiale del nuovo codice, chiamato più informalmente «Codice leopoldino» o «Leopoldina».
Dal 2001, la Regione Toscana celebra ufficialmente il 30 novembre per «affermare l’impegno per la promozione dei diritti umani, della pace e della giustizia»: un calendario civile locale che però si proietta verso valori universali.
Il contesto: la riflessione di Beccaria e le riforme settecentesche
Il grande storico italiano dell’Illuminismo Franco Venturi (1914-1994) ha giudicato il Codice leopoldino il «più importante documento dell’influenza di Beccaria e delle idee illuministe sulla legislazione italiana del Settecento».
Il venticinquenne milanese Cesare Beccaria pubblicò Dei delitti e delle pene nell’estate del 1764, senza firmarlo e con luogo di stampa Livorno, per evitare guai con la censura. Formulando una proposta di riforma della giustizia, Beccaria voleva dimostrare quanto fosse iniquo il ricorso alla tortura e quanto fosse inutile la pena di morte. All’epoca alcuni Stati, per esempio la Prussia, avevano già abolito la tortura; molto più radicale, e perciò delicata, era la questione della pena di morte. Beccaria ne negava la legittimità sulla base di tre argomenti soprattutto: la teoria del contratto sociale, per cui non è concepibile che un cittadino conferisca anche diritto di vita e di morte allo Stato, che deve invece garantire la sicurezza e i diritti fondamentali dell’individuo; il principio per cui se lo Stato proibisce l’assassinio, non può a sua volta commetterne; infine l’esperienza che ci dice che, malgrado l’efferatezza della pena, i crimini continuavano a essere commessi (documento 2). A tal proposito, Beccaria proponeva lunghe pene carcerarie accompagnate da lavori forzati, che oltretutto ripagano la società del danno che ha subito a causa del reato.
Lo stesso Beccaria ammetteva alcune eccezioni alla sua posizione abolizionista. Ma questo non toglie nulla alla radicalità della sua proposta, e anzi conferma proprio la forte scelta etica cui si è obbligati quando si parla di pena di morte. Infatti, nel momento in cui si apre una discussione si potranno sempre trovare argomenti a favore e contro la pena di morte, a meno che non si parta da una precisa scelta etica, e quindi da un principio fondativo, ovvero costituente, che tuteli il diritto alla vita al di sopra di ogni altra considerazione.
Con Beccaria, secondo Venturi, si aprì un «nuovo modo di sentire e di pensare»; le pratiche seguirono con tempi diversi.
Il venticinquenne milanese Cesare Beccaria pubblicò Dei delitti e delle pene nell’estate del 1764, senza firmarlo e con luogo di stampa Livorno, per evitare guai con la censura. Formulando una proposta di riforma della giustizia, Beccaria voleva dimostrare quanto fosse iniquo il ricorso alla tortura e quanto fosse inutile la pena di morte. All’epoca alcuni Stati, per esempio la Prussia, avevano già abolito la tortura; molto più radicale, e perciò delicata, era la questione della pena di morte. Beccaria ne negava la legittimità sulla base di tre argomenti soprattutto: la teoria del contratto sociale, per cui non è concepibile che un cittadino conferisca anche diritto di vita e di morte allo Stato, che deve invece garantire la sicurezza e i diritti fondamentali dell’individuo; il principio per cui se lo Stato proibisce l’assassinio, non può a sua volta commetterne; infine l’esperienza che ci dice che, malgrado l’efferatezza della pena, i crimini continuavano a essere commessi (documento 2). A tal proposito, Beccaria proponeva lunghe pene carcerarie accompagnate da lavori forzati, che oltretutto ripagano la società del danno che ha subito a causa del reato.
Lo stesso Beccaria ammetteva alcune eccezioni alla sua posizione abolizionista. Ma questo non toglie nulla alla radicalità della sua proposta, e anzi conferma proprio la forte scelta etica cui si è obbligati quando si parla di pena di morte. Infatti, nel momento in cui si apre una discussione si potranno sempre trovare argomenti a favore e contro la pena di morte, a meno che non si parta da una precisa scelta etica, e quindi da un principio fondativo, ovvero costituente, che tuteli il diritto alla vita al di sopra di ogni altra considerazione.
Con Beccaria, secondo Venturi, si aprì un «nuovo modo di sentire e di pensare»; le pratiche seguirono con tempi diversi.
Quanto è transitorio, quanto è duraturo
A dispetto delle intenzioni del granduca, l’abolizione della pena di morte nel Granducato non durò «per sempre» né, tanto meno, per «qualsivoglia» delitto: per alcuni reati, specie quelli di natura politica, la pena di morte fu reintrodotta sin dal 1790, all’indomani della partenza di Pietro Leopoldo per l’Austria (il sovrano cessava di essere granduca per diventare imperatore). La Toscana era in subbuglio per ragioni interne, e a questa agitazione si univano le notizie che arrivavano dalla Francia, dove era in corso la Rivoluzione.
Questa circostanza deve metterci in guardia in merito a due questioni: i diritti e i principi, anche quelli che oggi diamo per scontati, non sono mai acquisiti per sempre, le conquiste devono essere difese e ribadite di continuo; il calendario civile, oggi, è uno degli strumenti possibili in questa lotta, ma si deve tenere presente che è a sua volta un oggetto di contesa, il risultato di conflitti sull’interpretazione del passato e quindi anche sul presente e sul futuro; bisogna essere consapevoli di questi aspetti e vagliare criticamente le scelte che vi sottostanno (nel caso specifico, la benemerita scelta della Regione Toscana di celebrare l’abolizione della pena di morte non deve farci dimenticare appunto il contesto storico e che essa non fu abolita «per sempre»).
La pena di morte fu reintrodotta stabilmente in Toscana dal nuovo codice penale del 1853, ma di nuovo abolita nel 1859 dal governo provvisorio che resse il granducato per il tempo necessario a varare l’annessione al Regno d’Italia. Proprio l’assenza della pena di morte fu uno dei motivi per cui alla Toscana non si applicò il codice penale sabaudo (che invece la prevedeva). Questa porzione del Regno d’Italia mantenne una codificazione autonoma fino alla promulgazione del nuovo codice penale italiano del 1889. Il cosiddetto codice Zanardelli (dal nome del ministro che lo varò) recepì l’abolizione della pena di morte, cosicché a fine Ottocento l’Italia era uno dei pochi Paesi al mondo che non contemplava la pena capitale.
Le cose cambiarono di nuovo con il regime fascista che la reintrodusse a partire dal 1926, dapprima tra le sentenze che poteva erogare il Tribunale speciale per la difesa dello Stato (Tsds) e poi dal 1931, con l’entrata in vigore del nuovo codice penale (il cosiddetto codice Rocco, dal nome del guardasigilli Alfredo Rocco), anche nelle ordinarie Corti d’assise. Tra il 1931 e il 1943 Tsds e tribunali ordinari pronunciarono un totale di 183 condanne a morte, di cui 118 eseguite. Lasciando tra parentesi il periodo della guerra e della guerra civile in Italia (1943-45), condanne a morte ed esecuzioni ebbero luogo anche nella fase di transizione dalla guerra alla Repubblica, sia per reati politici (259 condanne a morte contro individui colpevoli di crimini di guerra e di collaborazione con i nazifascisti, di cui 91 eseguite), sia per reati comuni. Le ultime esecuzioni in Italia ebbero luogo nel 1947.
Dal 1948 il divieto di pena di morte è inscritto nella Costituzione italiana. Nella stesura originaria, la pena capitale era ancora contemplata «nei casi previsti delle leggi militari di guerra» (circostanze che non si sono mai verificate). Una legge del 1994 tuttavia ha modificato il codice penale militare, abolendo la pena di morte anche in quell’ambito e quindi definitivamente, in tutti i casi. Nel 2007 una legge costituzionale ha registrato questo cambiamento modificando l’ultimo comma dell’articolo 27 che ora recita semplicemente: «Non è ammessa la pena di morte».
Nel frattempo, la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, varata nel 2000, ha stabilito che nessun individuo «può essere condannato alla pena di morte, né giustiziato» (comma 2 dell’art. 2, «Diritto alla vita»). In questo modo, il rigetto della pena di morte è diventato clausola necessaria per poter far parte dell’Unione europea.
Questa circostanza deve metterci in guardia in merito a due questioni: i diritti e i principi, anche quelli che oggi diamo per scontati, non sono mai acquisiti per sempre, le conquiste devono essere difese e ribadite di continuo; il calendario civile, oggi, è uno degli strumenti possibili in questa lotta, ma si deve tenere presente che è a sua volta un oggetto di contesa, il risultato di conflitti sull’interpretazione del passato e quindi anche sul presente e sul futuro; bisogna essere consapevoli di questi aspetti e vagliare criticamente le scelte che vi sottostanno (nel caso specifico, la benemerita scelta della Regione Toscana di celebrare l’abolizione della pena di morte non deve farci dimenticare appunto il contesto storico e che essa non fu abolita «per sempre»).
La pena di morte fu reintrodotta stabilmente in Toscana dal nuovo codice penale del 1853, ma di nuovo abolita nel 1859 dal governo provvisorio che resse il granducato per il tempo necessario a varare l’annessione al Regno d’Italia. Proprio l’assenza della pena di morte fu uno dei motivi per cui alla Toscana non si applicò il codice penale sabaudo (che invece la prevedeva). Questa porzione del Regno d’Italia mantenne una codificazione autonoma fino alla promulgazione del nuovo codice penale italiano del 1889. Il cosiddetto codice Zanardelli (dal nome del ministro che lo varò) recepì l’abolizione della pena di morte, cosicché a fine Ottocento l’Italia era uno dei pochi Paesi al mondo che non contemplava la pena capitale.
Le cose cambiarono di nuovo con il regime fascista che la reintrodusse a partire dal 1926, dapprima tra le sentenze che poteva erogare il Tribunale speciale per la difesa dello Stato (Tsds) e poi dal 1931, con l’entrata in vigore del nuovo codice penale (il cosiddetto codice Rocco, dal nome del guardasigilli Alfredo Rocco), anche nelle ordinarie Corti d’assise. Tra il 1931 e il 1943 Tsds e tribunali ordinari pronunciarono un totale di 183 condanne a morte, di cui 118 eseguite. Lasciando tra parentesi il periodo della guerra e della guerra civile in Italia (1943-45), condanne a morte ed esecuzioni ebbero luogo anche nella fase di transizione dalla guerra alla Repubblica, sia per reati politici (259 condanne a morte contro individui colpevoli di crimini di guerra e di collaborazione con i nazifascisti, di cui 91 eseguite), sia per reati comuni. Le ultime esecuzioni in Italia ebbero luogo nel 1947.
Dal 1948 il divieto di pena di morte è inscritto nella Costituzione italiana. Nella stesura originaria, la pena capitale era ancora contemplata «nei casi previsti delle leggi militari di guerra» (circostanze che non si sono mai verificate). Una legge del 1994 tuttavia ha modificato il codice penale militare, abolendo la pena di morte anche in quell’ambito e quindi definitivamente, in tutti i casi. Nel 2007 una legge costituzionale ha registrato questo cambiamento modificando l’ultimo comma dell’articolo 27 che ora recita semplicemente: «Non è ammessa la pena di morte».
Nel frattempo, la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, varata nel 2000, ha stabilito che nessun individuo «può essere condannato alla pena di morte, né giustiziato» (comma 2 dell’art. 2, «Diritto alla vita»). In questo modo, il rigetto della pena di morte è diventato clausola necessaria per poter far parte dell’Unione europea.
Una battaglia ancora in corso, ovunque
Come è noto, le condanne a morte continuano a essere eseguite in molte parti del mondo. Secondo il rapporto di Amnesty International del 2023, le esecuzioni sono state 1153 (ma si stimano a migliaia quelle che sfuggono al rapporto). Gli Stati del mondo che prevedono la pena di morte sono un numero molto piccolo, appena 16, ma tra di loro ci sono Cina, Iran, Arabia Saudita e Stati Uniti d’America.
La World Coalition Against Death Penalty, una «coalizione» che riunisce decine di organizzazioni impegnate nel campo dei diritti umani, fondata nel 2002, dal 2003 promuove una giornata internazionale per l’eliminazione della pena di morte in tutto il mondo. È una delle tante giornate che oggi scandiscono un calendario civile internazionale fitto di momenti di sensibilizzazione e di iniziative di mobilitazione. E proprio in questo affollamento si scorge un’altra tensione del calendario civile che va tenuta presente: date e ricorrenze possono essere sospensioni rituali di un tempo che prosegue in modo ordinario, ovvero senza che si produca alcun cambiamento; oppure momenti in cui si difendono conquiste o si rivendicano diritti, regole di convivenza e di umanità da applicare ogni giorno, come ricorda per esempio lo slogan femminista «lotto marzo tutto l’anno».
La World Coalition Against Death Penalty, una «coalizione» che riunisce decine di organizzazioni impegnate nel campo dei diritti umani, fondata nel 2002, dal 2003 promuove una giornata internazionale per l’eliminazione della pena di morte in tutto il mondo. È una delle tante giornate che oggi scandiscono un calendario civile internazionale fitto di momenti di sensibilizzazione e di iniziative di mobilitazione. E proprio in questo affollamento si scorge un’altra tensione del calendario civile che va tenuta presente: date e ricorrenze possono essere sospensioni rituali di un tempo che prosegue in modo ordinario, ovvero senza che si produca alcun cambiamento; oppure momenti in cui si difendono conquiste o si rivendicano diritti, regole di convivenza e di umanità da applicare ogni giorno, come ricorda per esempio lo slogan femminista «lotto marzo tutto l’anno».
Pena di morte e pace
La questione della pena di morte oggi ci interroga con urgenza particolare, perché viviamo in tempi di guerra. È molto forte e complesso il nesso storico tra la guerra, combattuta contro un nemico esterno, e la giustizia, tipicamente rappresentata come una guerra contro chi infrange la legge (come dice lo stesso Beccaria, documento 4). Una sempre maggiore disponibilità a uccidere il nemico esterno ha per corollario un aumento della disponibilità a uccidere il nemico interno. Ma limitiamoci a un’ultima considerazione: mentre si moltiplicano i conflitti basati (e che pretendono di legittimarsi) su una cultura della giustizia che afferma il diritto incondizionato dell’offeso di vendicarsi nei confronti dell’offensore, sostenere l’abolizione della pena di morte significa affermare la necessità di mutare insieme i rapporti interni e quelli internazionali. Un’idea di giustizia che ricomponga invece di eliminare fisicamente sollecita anche il diritto internazionale ed è il fondamento di una politica di pace.
Bibliografia essenziale
- Cesare Beccaria, Dei delitti e delle pene, a cura di Franco Venturi, Einaudi, Torino 1994 (contiene anche la legge toscana del 1786).
- Il contributo italiano alla storia del pensiero. Diritto, (VIII Appendice de l’Enciclopedia italiana), Istituto dell’Enciclopedia italiana, Roma 2012 (in particolare i saggi di: Ettore Dezza, Il problema della pena di morte, pp. 223-231; Renato Pasta, Cesare Beccaria, pp. 249-252; Guido Neppi Modona, La pena nel ventennio fascista, pp. 537-541; tutti consultabili online a partire dal questo link: https://www.treccani.it/enciclopedia/elenco-opere/Il_Contributo_italiano_alla_storia_del_Pensiero:_Diritto/).
- Giustizia straordinaria tra fascismo e democrazia. I processi presso le Corti d’assise e nei tribunali militari, a cura di Cecilia Nubola, Paolo Pezzino, Toni Rovatti, Il Mulino, Bologna 2019.
- Adriano Prosperi, Delitto e perdono. La pena di morte nell’orizzonte mentale dell’Europa cristiana. XIV-XVIII secolo, nuova ed. riveduta, Einaudi, Torino 2016 (in particolare pp. 19-26 per i precursori dell’abolizione della pena di morte in età moderna).
- Rapporto di Amnesty International sull’uso della pena di morte nel mondo. Condanne a morte ed esecuzioni. 2023 (disponibile online da questo link: https://www.amnesty.it/il-rapporto-sulla-pena-di-morte-nel-mondo-mai-cosi-tante-esecuzioni-da-quasi-un-decennio/).
Si vedano poi i testi della Costituzione italiana e della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.
In rete
- Comunicato del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale in occasione della giornata mondiale ed europea contro la pena di morte (10 ottobre 2024): https://www.esteri.it/it/sala_stampa/archivionotizie/comunicati/2024/10/giornata-mondiale-ed-europea-contro-la-pena-di-morte-10-ottobre-2024/
- Sito della World Coalition Against the Death Penalty: https://worldcoalition.org/