«Le donne hanno sempre lavorato». Una ricerca sui secoli dell’Età moderna
Anna Bellavitis, Il lavoro femminile nelle città dell’Europa moderna, Roma, Viella, 2016, 248 p., scheda a cura di Eleonora Faricelli
La questione
Quando si pensa al lavoro femminile si crede, erroneamente, di discutere più di «oggi» che di «ieri», come se le donne prima dell’epoca contemporanea non avessero svolto alcun mestiere e fossero state escluse dal mondo del lavoro, soprattutto in ambito urbano. A partire da questo falso mito, Anna Bellavitis propone una vivace sintesi di numerosi casi documentati per le città dell’Europa moderna dimostrando, al contrario, che «le donne hanno sempre lavorato». In un territorio eterogeneo e frammentato per usi, costumi e confessioni religiose quale fu l’Europa d’età moderna, l’autrice ricostruisce una storia sorprendente in cui le donne, con le loro competenze e saperi, riuscirono (quasi) sempre ad accedere al mercato del lavoro. Tuttavia, nella società di antico regime il lavoro femminile non equivaleva all’emancipazione, economica e giuridica, dal marito o dal capo famiglia e assai di rado corrispondeva a una scelta personale e volontaria della donna. Anzi, il lavoro femminile era ben lontano dall’essere equiparato a quello maschile e, di fatto, i salari delle donne erano di gran lunga più bassi di quelli dei loro colleghi uomini, anche quando si trattava dell’unica fonte di sostentamento della famiglia.
Un fenomeno «sommerso»
Il libro si articola in quattro capitoli. Nel primo l’autrice mette sul tavolo alcune questioni storiche al centro degli studi recenti. In primo luogo, le fonti: il lavoro delle donne resta storicamente «sommerso» perché è poco documentato, per molte ragioni. Tra le altre cose, le donne non hanno goduto della medesima «fama» dei propri colleghi: erano considerate meno capaci degli uomini. In un interessante confronto tra passato e presente, Bellavitis offre una panoramica di lunghissimo periodo sul riconoscimento che, allora come oggi, viene conferito alle attività lavorative di solito associabili alle donne. Da qui la domanda: il lavoro ha un genere? L’autrice ci ricorda che, sebbene alcuni mestieri fossero più facilmente individuati come di competenza delle donne, i confini tra lavori femminili e maschili erano molto più sfumati di oggi. Si prenda il caso delle balie, attività che, per forza, doveva essere svolta da una donna. Eppure, era il «balio», vale a dire il marito della balia, a prendere accordi con il padre del bambino che avrebbero tenuto e a pattuire il compenso per la moglie e per sé.
Tenendo insieme realtà storiche e geografiche distanti, Bellavitis riflette sul supposto declino del ruolo economico femminile in età moderna, legato soprattutto all’assenza delle donne nelle corporazioni. L’autrice sottolinea come, in linea con alcune interpretazioni storiografiche, più che parlare di una netta cesura tra età medievale e moderna sia utile rilevare un «movimento a fisarmonica», in cui, a fasi alterne e per motivi di natura economica, si sono verificati momenti di inclusione o di esclusione delle donne all’interno delle corporazioni.
Una condizione di «minorità» in tutti gli ambiti
Riflettere sulla storia del lavoro significa anche interrogarsi sulla formazione, tema del secondo capitolo. Se in età moderna anche i maschi avevano un accesso piuttosto limitato ai sistemi educativi e professionali, la percentuale diminuiva ancora quando si trattava delle donne. Con alcune significative eccezioni, in generale esse rimasero sempre in uno stato di «minorità giuridica». Vale a dire che in molte città italiane d’età moderna le donne non avevano alcun diritto di gestire i frutti del proprio lavoro ed erano necessariamente costrette a ricorrere alla tutela del marito o del padre e, più in generale, del capo famiglia. Sempre a quest’ultimo spettava il compito di garantire la dote per la figlia ma non erano pochi i casi in cui le giovani non ricevevano alcuna eredità. In quel caso erano loro stesse a dover mettere insieme la somma necessaria per arrivare al matrimonio, attraverso il lavoro domestico o il lavoro artigianale.
Un’ampia gamma di mestieri
Il terzo e il quarto capitolo esaminano più da vicino le professioni nelle quali l’occupazione femminile era predominante. Si prenda per esempio il settore della seta, di cui le donne avevano il monopolio in quasi tutta Europa. In una città come Venezia le tessitrici crebbero esponenzialmente di numero e furono impiegate per una produzione di alto livello, benché sottopagate, costrette a lavorare in una condizione che oggi definiremmo «in nero» e in condizioni più svantaggiose rispetto agli uomini. Quando nel 1754 alle donne fu riconosciuta la possibilità di diventare maestre nell’arte dei tessitori di seta, la norma andò a regolamentare una situazione di fatto, in cui su circa mille telai attivi in città 655 erano azionati da donne. Tra queste, molte erano vedove. In ogni società e in diversi momenti alle vedove erano spesso garantiti diritti sconosciuti alle nubili, come quello di continuare il mestiere del marito defunto. Tra le varie attività, quella editoriale ricopriva un posto di rilievo poiché richiedeva un certo grado di alfabetizzazione che consentiva alla donna di migliorare notevolmente il proprio bagaglio culturale. Benché le vedove riuscissero generalmente a subentrare ai mariti nell’attività libraria e tipografica, esse rimanevano malviste dalle corporazioni di mestiere che precludevano loro l’accesso. Vi erano però delle significative eccezioni, come la corporazione dei librai di Barcellona che consentì a vedove e figlie non sposate di ereditare la bottega del marito/padre e continuarne la gestione.
Infine, un ultimo sguardo è dato ai mestieri quasi esclusivamente riservati alle donne, come il servizio domestico, il baliatico, l’assistenza a poveri e malati – senza tuttavia la possibilità di insegnare medicina –, il ruolo di levatrice e infine la prostituzione. Queste attività hanno in comune il corpo femminile quale mezzo di lavoro più o meno esclusivo e declinato secondo fini diversi.
Dimostrazione riuscita
In conclusione, il libro di Anna Bellavitis fornisce un’analisi significativa dei lavori delle donne supportata da una grande quantità di casi specifici di cui qui non è possibile dar conto, ma che rendono appassionante la lettura. Fu un lavoro solo talvolta normato, e nella maggior parte dei casi sommerso e taciuto dalle fonti. Tuttavia, è innegabile, come il volume dimostra sapientemente, che in ambiti e ruoli diversi le donne si cimentarono, al pari degli uomini, nei più disparati mestieri diffusi nell’Europa d’età moderna.