Ma non li dimostra: gli ottantacinque anni de La società feudale di Marc Bloch

A ottant’anni dalla morte di Bloch

Il 16 giugno del 1944 moriva lo storico francese Marc Bloch, fucilato dai nazisti nei pressi di Lione. Nato da una famiglia di origine ebraica, Bloch era stato colpito dalle leggi razziali emanate dal governo collaborazionista di Vichy nel 1940 e nel 1941, leggi che lo costrinsero a pubblicare i suoi scritti sotto pseudonimo da quel momento in avanti. Aderì alla Resistenza francese tra il 1942 e il 1943 e, da allora, visse in clandestinità fino alla cattura a opera della Gestapo.


Bloch può essere annoverato, senza alcun dubbio, tra i più importanti e influenti autori nella storia della storiografia. Il suo interesse per il Medioevo era parte di una cultura, di un’erudizione e di una curiosità intellettuale straordinarie, che gli permisero di diventare un radicale innovatore – e, si può ben dire, un autentico rivoluzionario – in vari campi di studio, dalla storia della mentalità a quella della società, delle istituzioni e dell’economia. La sua Apologia della storia, una riflessione sul «mestiere di storico» e sul senso di studiare e insegnare storia, cominciata in clandestinità, rimasta incompleta e pubblicata postuma (1949), è divenuto quasi un manifesto per le successive generazioni di studiose e studiosi che hanno intrapreso il cammino della ricerca. 


A ottant’anni esatti dalla sua morte vale la pena di tornare a riflettere su uno dei suoi libri più significativi, La società feudale (1939-1940), che ancora oggi si trova sul tavolo da lavoro di chi si occupa della storia politica del Medioevo. Se fosse un dipinto, sarebbe un grande affresco: Bloch, infatti, delinea in modo chiaro e appassionato la storia di tutta l’Europa di lingua latina dall’ultimo quarto del secolo IX fino al 1200. Ma perché la società di quei secoli può definirsi «feudale», e qual è il significato di questo aggettivo?


 

L’Europa «feudale»

Il feudum (o beneficium, termine più diffuso di feudum nelle fonti altomedievali) è un dispositivo giuridico tramite il quale i sovrani attribuivano ampie porzioni del patrimonio fondiario e dei diritti regi (come la facoltà di esercitare la giustizia e di prelevare le tasse) ad aristocratici laici ed ecclesiastici in cambio dell’assistenza in giudizio e in guerra e, talvolta, della consegna di rendite provenienti dalle terre concesse. Quelle stesse aristocrazie potevano, a loro volta, trasferire in feudo beni e diritti alle loro clientele locali – perché avevano ricevuto il permesso direttamente dal re, oppure perché cercavano di imitarne i poteri, o ancora perché erano riuscite a usurparli – diventando così piccoli sovrani di piccoli territori. Una simile, estrema frammentazione del regno e delle prerogative regie fu, secondo Bloch, il tratto caratterizzante del periodo e della società da lui esaminati. Il feudum dava forma alle reti di alleanza politico-militare su cui gli Stati (in assenza di un sistema di tassazione regolare e di un apparato amministrativo-burocratico) si reggevano, assurgendo dunque a simbolo di una lunga fase della civiltà europea occidentale. Non per caso la coniazione del termine «feudalesimo» è avvenuta tra Sei e Settecento, epoca dell’assolutismo monarchico prima e dell’Illuminismo poi, quando l’intricato garbuglio di diritti e giurisdizioni tipico del Medioevo era ormai percepito come l’esatto contrario dell’autorità illimitata del re, oppure come espressione di quell’Ancien régime che i rivoluzionari del 1789 rivendicavano fieramente di aver abbattuto.


Bloch individuava l’inizio dell’«età feudale» nei decenni a cavallo tra i secoli IX e X, quando le invasioni delle popolazioni arabo-musulmane, ungare e normanne, unitamente a una profonda crisi della monarchia carolingia, generarono un diffuso clima di violenza e disordine, provocarono l’irreversibile smembramento dell’organismo politico creato da Carlo Magno e portarono così alla scomparsa di un potere regio relativamente solido e riconosciuto. L’«età feudale» sarebbe terminata, secondo Bloch, verso l’inizio del XIII secolo: solo allora il lento consolidamento di autorità statali nuovamente forti (come quelle dei regni di Francia e Inghilterra, ma anche dei governi cittadini nell’Italia settentrionale e centrale) diede inizio a una nuova fase nella storia del Medioevo europeo.


 

«Società» o «rivoluzione» feudale?

Dalla pubblicazione de La società feudale le ricerche sul tema e sul periodo indagati da Bloch si sono moltiplicate. Georges Duby (1919-1996), che contende a Jacques Le Goff (1924-2014) la palma di più grande medievista del secondo dopoguerra, diede alle stampe nel 1953 una fondamentale monografia sulla regione di Mâcon, in Borgogna, nell’XI e XII secolo. Così, dall’ampia panoramica offerta da Bloch si passava a uno studio il cui ambito geografico d’interesse era ben più circoscritto, ma che, per la chiarezza della scrittura e la forza delle interpretazioni proposte, sarebbe diventato una pietra miliare della medievistica e un modello per le successive ricerche di taglio regionale. A differenza di Bloch, Duby individuava nell’ultimo quarto del X secolo il momento di rottura dell’ordine politico di stampo carolingio: solo allora un’aristocrazia di alti funzionari al servizio del re avrebbe ceduto il passo a piccole signorie di castello, in perenne guerra l’una contro l’altra, che con la loro violenza e il loro potere arbitrario opprimevano una popolazione contadina inerme. Non più «età feudale» dal IX al XIII secolo, dunque, ma «rivoluzione feudale» a ridosso dell’anno Mille: quel Mille tenebroso e carico di aspettative escatologiche che nella ricostruzione di Bloch aveva relativamente poca importanza e che invece, nell’opera di Duby e della sua scuola, diventava momento di svolta politica.


 

Perché leggere La società feudale, oggi

Bloch o Duby? Ovvero Duby or not Duby?, per usare la scherzosa allusione amletica dello storico britannico Chris Wickham (nato nel 1950)? La medievistica è ancora divisa. Abbandonare la strada della monografia regionale è impossibile: non ci sono altri modi per produrre ricerche approfondite e dettagliate, che possano essere utilmente impiegate per proporre confronti con altre aree geografiche e – solo alla fine – quadri di sintesi. Ma l’idea della «svolta del Mille» non è più accettata proprio perché gli studi su singole regioni hanno messo in luce la grande diversità delle caratteristiche e dei ritmi dei cambiamenti politici, come il libro di Bloch suggeriva più o meno esplicitamente. Inoltre, le differenze tra «ordine pubblico» e «violenza privata» sono forse più chiare a noi di quanto non lo fossero a donne e uomini del Medioevo: insistervi troppo, come fanno a volte i sostenitori della «rivoluzione feudale», significa gravare di potenziali risvolti moralistici la lettura del passato, presentata come un passaggio dal «bene» al «male». Bloch ci invitava a guardare alla terra, e alle reti di alleanze che si articolavano attorno a essa tramite lo strumento del feudum, come basi della società e della politica medievali; e forse avrebbe criticato, con una punta dell’elegante ironia che lo caratterizzava, la iper-specializzazione di tanta parte della storiografia di oggi. La società feudale è, in questo senso, un capolavoro ancora attuale.


 

Bibliografia minima

Nella scheda si fa riferimento a Marc Bloch, Apologia della storia o mestiere di storico, trad. di Carlo Pischedda, a cura di Girolamo Arnaldi, Einaudi, Torino 1969 (prima ed. italiana 1950); a partire dagli anni Novanta nuovi studi condotti sul manoscritto originale hanno prodotto nuove edizioni, filologicamente più corrette, prima in Francia e poi in Italia; si segnalano quella Einaudi, Torino 1998 (trad. di Giuseppe Gouthier, prefazione di Jacques Le Goff, premessa di Étienne Bloch, uno dei figli di Marc), e la recentissima Feltrinelli, Milano 2024 (trad. di Lorenzo Alunni, a cura di Massimo Mastrogregori).


In italiano è disponibile una biografia di Marc Bloch, la cui genesi risale agli anni Ottanta: Carole Fink, Marc Bloch. Biografia di un intellettuale, trad. dall’inglese di Piero Bairati, La Nuova Italia, Milano 1999 (ed. or. 1989).


All’interno della vasta opera di Georges Duby, si ricorda qui Una società francese nel Medioevo. La regione di Mâcon nei secoli XI e XII, trad. di Manrico Dolcibelli, Il Mulino, Bologna 1985 (ed. or. 1971).


La citazione shakesperiana di Chris Wickham viene dal suo saggio Defining the «Seigneurie» since the War, nel volume Pour une anthropologie du prélèvement seigneurial dans les campagnes médiévales (XIe-XIVe siècles). Réalités et représentations paysannes, atti del colloquio (Medina del Campo, 31 maggio-3 giugno 2000), a cura di Monique Bourin e Pascual Martínez Sopena, Publications de la Sorbonne, Parigi 2004, pp. 43-50 (la cit. a p. 48). 


Chi volesse approfondire i temi oggetto di questa scheda, può fare riferimento all’articolo di Sandro Carocci, Signoria rurale e mutazione feudale. Una discussione, «Storica», 8 (1997), pp. 49-91 (che ormai ha qualche anno ed era pensato per un pubblico di specialisti, e tuttavia rimane la migliore messa a punto sulla questione scritta in italiano); e al libro di Giuseppe Albertoni, Vassalli, feudi, feudalesimo, Carocci, Roma 2015.