Segni di uomini e di donne che hanno vissuto nel passato
Tecnica e sostanza
Il saggio di Arnaldo Momigliano Le regole del giuoco nello studio della storia antica (prima edizione 1974) è una breve guida pratica al lavoro sulle fonti, ovvero la materia prima della conoscenza e quindi dell’interpretazione del passato: ciò su cui si “mette in moto la mente” di chi si confronta seriamente con la storia. Il metodo non è solo tecnica, è anche sostanza: in poche pagine Momigliano riesce a delineare il significato di “storiografia”, i suoi scopi scientifici e civili, e perciò la sua tensione etica.
Come indica il titolo, l’autore si rivolge in primo luogo agli studiosi di storia antica, ma i suoi suggerimenti sono validi per qualsiasi tipo di documento. Per esempio, dopo aver discusso la questione del vaglio delle fonti a disposizione (a cominciare dalla loro provenienza), Momigliano scrive: “Va per altro subito aggiunto che l’esame di un testimonio contemporaneo (a noi) non è radicalmente diverso dall’esame di una tradizione scritta o di un complesso archeologico. In ciascun caso vogliamo sapere: 1) che cosa la testimonianza ci dice al livello di immediata comunicazione; 2) con quali mezzi si può garantire la sua autenticità e veridicità; 3) in quale contesto storico va inserita, cioè che cosa significa se combinata con altra informazione in modo corretto” (p. 17).
La storiografia non può inventare
Al centro della questione c’è l’autenticità: la storiografia non può inventare. “La differenza tra un romanziere e uno storico è che il romanziere è libero di inventare i fatti (anche se può mescolarli con fatti reali in un romanzo storico), mentre lo storico non inventa fatti”. Il mestiere – prosegue Momigliano – “consiste nel raccogliere e interpretare documenti per ricostruire e comprendere gli avvenimenti del passato, se non ci sono documenti, non c’è storia”. I documenti possono essere tanti – e allora la storia potrà essere “migliore” – oppure scarsi – il che significa una “peggiore storia”. Ma in tutti i casi, da questa base si procede per “tentativi di spiegazioni”, “ipotesi, finché una di queste ipotesi gli appare così convincente da poter essere presentata come la migliore interpretazione del documento in questione” (p. 17). “In tali casi lo storico deve dire: non capisco. In altri azzarderà con esitazione una ipotesi. Ma non basta che una ipotesi sia plausibile. L’ipotesi avanzata deve essere più plausibile di ogni altra ipotesi. Prima di proporre una ipotesi lo storico deve fare lo sforzo di cercare e valutare alternative ipotesi. Ogni storico serio nel dubbio consulta i colleghi, soprattutto quei colleghi che hanno fama di essere scettici e inesorabili. Dimmi che amici hai, e ti dirò che storico sei” (p. 18).
La questione fondamentale del vaglio e della verificabilità dell’ipotesi è dunque inscritta prima di tutto nel segno dell’amicizia, sintonie che si creano a partire da tensioni intellettuali e civili comuni, segnate da franchezza e capacità di scambio, reciproco riconoscimento e affabilità nei rapporti umani.
Recuperare la vita
Momigliano condensa in poco spazio una grande quantità di considerazioni: sul rapporto tra documento e contesto; sulla necessità di valutare anche i silenzi o le lacune; sull’uso di fonti secondarie (cioè altri storici); sulla possibilità di “far parlare” anche i falsi, una volta scovati (la sua sensibilità per il tema della falsificazione è fortissima, e avvisa: “La storia antica è favorevole campo per i ciarlatani”, p. 18); sui convincimenti e le esperienze che lo storico porta nella sua ricerca, in modo legittimo fino a quando non deforma arbitrariamente le fonti; sul valore della comparazione.
“Tutto il lavoro dello storico è su fonti”, comincia Momigliano nell’ultimo dei dieci punti in cui è diviso l’articolo. “E tuttavia lo storico non è un interprete di fonti, pur interpretandole. È un interprete di quella realtà di cui le fonti sono i segni indicativi o frammenti. Lo storico trova nella lettera l’uomo che l’ha scritta […] trova nella casa chi l’ha abitata […]. Lo storico interpreta documenti come segni degli uomini che sono spariti” (p. 22).
Da chi si impara
E prosegue: “Lo storico trasferisce ciò che sopravvive nel mondo che non sopravvive. È questa capacità di interpretare il documento come se non fosse documento, ma episodio reale di vita passata, che da ultimo fa lo storico. […] Lo storico capisce uomini e istituzioni, idee, fedi, emozioni, bisogni di individui che non esistono più. Capisce tutto ciò perché i documenti che ha davanti a sé, debitamente interpretati, si presentano come situazioni reali. Lo storico capisce i morti come capisce i vivi. In qual modo lo storico trasformi le fonti in vita del passato è più facile imparare da Erodoto, Guicciardini, Buckhardt e Marc Bloch che dai manuali di metodo storico” (p. 23).
Nota. L’autore e il saggio
Arnaldo Momigliano (1908-1987) è uno dei grandi storici italiani del XX secolo. Nato in una famiglia di ebrei osservanti (a Caraglio, in provincia di Cuneo), la sua biografia è segnata dai tragici eventi della prima metà del Novecento. Dopo essersi laureato a Torino, comincia la sua carriera nel 1933, incaricato della cattedra di Storia greca lasciata vacante dal suo maestro Gaetano De Sanctis, che aveva rifiutato di prestare giuramento al regime fascista. Alla fine del 1938, le leggi razziali fasciste gli fanno perdere il posto: sceglie l’esilio in Inghilterra, dove insegnerà per oltre vent’anni a Oxford, Cambridge e a Londra. I suoi genitori, rimasti in Italia, sono deportati e uccisi ad Auschwitz.
Solo nel 1964 tornò a insegnare in Italia, alla Scuola Normale di Pisa, mantenendo però sempre casa a Londra, dove morì nel 1987.
Le regolo del giuco… uscì per la prima volta in “Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa”, s. III, vol. IV, n. 4 (1974), pp. 1183-1192. Qui si riprende da Arnaldo Momigliano, Storia e storiografia antica, il Mulino, Bologna 1987, pp. 15-24. Si trova anche in un’altra raccolta di scritti: Id., Sui fondamenti della storia antica, Einaudi, Torino 1984, pp. 477-486.
I “contributi” di Momigliano “alla storia degli studi classici e del mondo antico” sono raccolti in dieci volumi (per complessivi quattordici tomi) pubblicati dalle Edizioni di Storia e Letteratura di Roma (1955-2012, gli ultimi due postumi).
Per un suo profilo biografico, si può cominciare dalla voce del Dizionario Biografico degli Italiani firmata da Riccardo Di Donato nel 2011 (uscita nel volume 75, è disponibile anche online: https://www.treccani.it/enciclopedia/arnaldo-dante-momigliano_(Dizionario-Biografico)/).
Si vedano anche i ricordi e le riflessioni sul lascito culturale di Momigliano di due studiosi che lo conobbero da studenti a Pisa:
Carlo Ginzburg, Che cosa ho imparato da Arnaldo Momigliano, “doppiozero”, 27 Gennaio 2023, disponibile online: https://www.doppiozero.com/che-cosa-ho-imparato-da-arnaldo-momigliano
Salvatore Settis, Registro delle assenze. Profili e paesaggi, Salani, Milano 2024, pp. 60-68.
(Scheda a cura di Filippo Benfante)