Carlo Rubbia - 90 anni a caccia di particelle
di Pierdomenico Memeo
- Materie coinvolte: Fisica
Ad oggi, i premi Nobel per la fisica ricevuti da scienziati di nazionalità italiana sono sei. Il primo lo conosciamo tutti per averlo studiato ai tempi della scuola: Guglielmo Marconi, nel 1909 per l’invenzione del telegrafo senza fili. Il secondo fu nel 1938 a Enrico Fermi, uno dei “ragazzi di Via Panisperna” il cui lavoro costituisce uno dei miti fondativi della fisica italiana della prima metà del Novecento, e la cui partecipazione al progetto Manhattan ha garantito una eterna, ma tormentata, fama in tutto il mondo. Il terzo fu Emilio Segrè nel 1959, anche lui uno dei ragazzi di Via Panisperna e parte del progetto Manhattan, che lo ottenne invece per la scoperta dell’antiprotone. Ma per la fisica contemporanea, si trattava di figure quasi mitologiche, il cui nome era inciso nel marmo della storia.
Fu necessario attendere 25 anni perché un altro italiano venisse insignito dello stesso premio: Carlo Rubbia fu quindi per moltissimi italiani il primo premio Nobel “a colori”, che hanno potuto vedere con i propri occhi e sentire con le proprie orecchie nelle interviste in televisione. Questo contribuì moltissimo alla sua fama e al suo riconoscimento, insieme al successivo incarico come senatore a vita per nomina presidenziale. Questa sua immagine di scienziato eccezionale, vicina ma allo stesso tempo imponente, lo ha reso ancora oggi una delle figure più celebri (e invocate, spesso a sproposito) nel discorso scientifico in Italia.
Figura 1. Carlo Rubbia nel 2012
La vita, il lavoro
Per comprendere la ricerca che gli ha permesso di vincere il premio Nobel, è necessario ricordare che nel Modello Standard della fisica si considerano quattro forze fondamentali: l’interazione gravitazionale, quella elettromagnetica, l’interazione forte e l’interazione debole.
La gravità fa un po’ caso a sé, in quanto non possediamo ancora una trattazione completa dell’interazione gravitazionale all’interno della fisica quantistica, mentre viene descritta molto bene all’interno della relatività generale come l’effetto della presenza della massa sulla forma dello spaziotempo. Mettere insieme queste due rappresentazioni, al momento inconciliabili, rappresenta ancora oggi la più grande sfida della fisica.
L’interazione elettromagnetica è quella che conosciamo meglio e da più tempo, in quanto si basa sugli studi dell’elettromagnetismo di fine ottocento ed è descritta in maniera completa dall'elettrodinamica quantistica, che include all’interno la relatività ristretta. Può essere rappresentata come un’interazione tra particelle dotate di carica elettrica attraverso lo scambio di particelle mediatrici, i fotoni, identificate come tali a inizio ‘900.
L’interazione forte ha la sua applicazione più conosciuta nella formazione dei nuclei atomici, e in generale nell’interazione tra protoni e neutroni. All’interno del modello Standard viene descritta dalla cromodinamica quantistica, e come l’interazione elettromagnetica può essere rappresentata come un’interazione tra particelle dotate di carica di colore attraverso lo scambio di particelle mediatrici, in questo caso gluoni e pioni, individuati nel 1979.
L’interazione debole è più complessa da spiegare perché agisce tra particelle di tipo diverso, ma soprattutto è l’unica interazione che permette la violazione di un certo numero di “leggi di conservazione”: simmetria spaziale (parità), simmetria temporale (tempo), simmetria materia/antimateria (carica), e altre. È coinvolta nei fenomeni di decadimento radioattivo, e il suo comportamento viene descritto all’interno della teoria elettrodebole, che la riunisce con l’interazione elettromagnetica.
Il lavoro che valse a Carlo Rubbia e Simon van der Meer il premio Nobel per la fisica riguarda proprio la scoperta delle particelle mediatrici dell’interazione debole, i bosoni vettori W+, W– (caratterizzati da una carica elettrica opposta) e il bosone vettore Z0 (elettricamente neutro). La difficoltà della loro scoperta consiste nel fatto che si tratta di particelle con una massa elevata: i bosoni W hanno una massa pari a circa 85 volte la massa del protone, mentre il bosone z ha una massa di 97 volte la massa del protone.
Utilizzando un’intuizione di Rubbia di impiegare la collisioni tra fasci di protoni e antiprotoni, e sfruttando la tecnologia di confinamento e immagazzinamento di queste particelle messa a punto da van der Meer, riuscirono a modificare a tempo di record l’acceleratore SPS (Super Proton Synchrotron) del CERN per creare le condizioni necessarie per rilevazione di queste particelle massicce, il progetto guidato dai due scienziati europei riuscì finalmente a individuare i bosoni vettori W+, W– e Z0 nel 1983. La scoperta li catapultò immediatamente alla ribalta per quanto riguardava la ricerca in fisica fondamentale, e la vittoria l’anno successivo del premio Nobel consacrò la loro scoperta come una delle più importanti per la comprensione dell’Universo.
Figura 2. Modello Standard - Fermi Lab
Dopo il Nobel
In particolare, come spesso avviene con scienziati di chiara fama quando vengono interpellati su ambiti che non sono strettamente correlati alle loro ricerche, è capitato che alcune sue affermazioni venissero decontestualizzate dal suo discorso e capitalizzate a supporto di ipotesi non condivise dal consenso della comunità scientifica, allo scopo di raccogliere maggiore credibilità facendo leva sulla fama di questi scienziati. Ciò avviene specialmente quando si tratta di figure come i premi Nobel, che spesso sono circondati da un’aura quasi reverenziale, e le cui opinioni vengono in qualche modo considerate indiscutibili e intrinsecamente superiori alle altre. Questa forma di appello all’autorità è una fallacia argomentativa ma è comunque una tattica molto efficace, e lo stesso Carlo Rubbia ha subito lo stesso trattamento riguardo le questioni del cambiamento climatico, nonostante abbia più volte confermato di condividere l’opinione della comunità scientifica sul fatto che “le emissioni di CO2 stanno aumentando in maniera esponenziale” e che “è stato dimostrato in maniera indubbia che gli effetti antropogenici sono la causa più probabile del cambiamento climatico”.
Dobbiamo quindi ricordare di valutare con spirito critico tutte le affermazioni scientifiche, indipendentemente da chi le sostiene: è questo il miglior modo di celebrare la vita e il lavoro di uno degli scienziati italiani più attenti e rivoluzionari degli ultimi decessi, che ha dedicato la vita alla scoperta dei segreti delle fisica contemporanea.
Proposta di attività per la classe:
Il giardino delle particelle
Il prodotto finale può essere uno schema digitale (utilizzando ad esempio Canva o un’altra piattaforma), oppure un cartellone fisico, da realizzare in gruppo in classe, eventualmente dividendo il lavoro in piccole squadre ognuna impegnata a raccogliere informazioni su una specifica particella e trovare il modo per raccontarle in una maniera semplice e comprensibile.
Sitografia
Carlo Rubbia: Biographical [The Nobel Prize Foundation]
The Nobel Prize in Physics 1984 [Press Release]
Scheda senatori: Carlo Rubbia [Senato della Repubblica]
No, il premio Nobel Rubbia non ha mai negato i cambiamenti climatici [Pagella politica
La bufala del premio Nobel Carlo Rubbia che nega il cambiamento climatico [Valigia Blu]