Ciao, alieno

di Edwige Pezzulli

  • Materie coinvolte: Fisica

Alle domande che ci accompagnano da sempre guardando il cielo, si sono aggiunte più recentemente riflessioni scientifiche su possibili interazioni con forme di vita aliena. Se dovessimo intercettare una civiltà extraterrestre, in che modo potremmo parlarci?
Che si tratti di immaginare esseri mai visti prima o di capire come entrare in contatto con loro, il primo passo da fare è ripulire il nostro sguardo dall’antropocentrismo.

 

Ciao, alieno

Il team di ricerca Whale-SETI (Whale Search for Extraterrestrial Intelligence), che lavora allo sviluppo di sistemi di comunicazione con possibili forme di vita aliene, ha annunciato alla fine del 2023 di aver intrattenuto una conversazione di 20 minuti con Twain, una balena megattera di 38 anni.
Attraverso la riproduzione di suoni specifici e l’utilizzo di una tecnologia acustica interattiva e adattiva (in grado cioè di adattare i segnali inviati in funzione del comportamento effettivo della megattera) è stato possibile “dialogare” con l’animale attraverso un altoparlante subacqueo, e registrare poi le sue risposte.
Dopo aver riprodotto il segnale di saluto della megattera, conosciuto come "whup", Twain si è avvicinata alla barca, le ha girato intorno e ha reagito a sua volta con un suono di saluto.
Nel corso dello scambio la megattera ha risposto a tutti i richiami e l’interazione ha rappresentato, per quanto ne sappiamo, il primo scambio comunicativo tra esseri umani e megattere nel linguaggio proprio di queste imponenti creature marine.
Comprendere i segnali comunicativi animali è una sfida antica è di per sé un'operazione affascinante. Oggi però può essere anche di grande aiuto nella ricerca di forme di intelligenza non umane e nella ridefinizione stessa di cosa sia l’intelligenza, tanto terrestre quanto extraterrestre.

 

Infiniti mondi

Il 6 ottobre 1995 sulla prestigiosa rivista Nature Michel Mayor e Didier Queloz annunciarono la scoperta del primo pianeta in orbita attorno a una stella simile al nostro Sole. La rivelazione fu straordinaria, al punto che furono in poche le persone convinte che i due avessero davvero trovato un pianeta e non un abbaglio. L’oggetto, chiamato 51 Pegasi b e soprannominato Bellerofonte, in effetti era proprio lì, e per questa osservazione Mayor e Queloz ricevettero il Premio Nobel per la fisica nel 2019.
Dopo quella prima osservazione, la comunità astronomica cominciò una ricerca sistematica di esopianeti, lavorando alla costruzione di una lista che oggi conta più di 5000 righe. Alcuni di questi potrebbero essere strutture rocciose simili alla Terra: avere un diametro come il nostro, essere in orbita attorno a una stella tipo il Sole e trovarsi alla giusta distanza da essa, non troppo vicini né troppo lontani per garantire all’eventuale acqua in superficie di resistere allo stato liquido.
Secondo una delle ultime stime realizzate utilizzando i dati della missione Kepler della NASA, nella Via Lattea potrebbe esistere un pianeta simile alla Terra ogni cinque stelle simili al Sole. Là fuori, intorno a noi, ci sarebbero quindi 6 miliardi di ambienti potenzialmente adatti ad ospitare vita.

 

Terrestri elementari

Quando pensiamo alla vita extraterrestre immaginiamo spesso degli umanoidi, alieni deambulanti, dotati di una simmetria bilaterale (con un lato destro e sinistro), di testa e di arti. Eppure la vita sulla Terra, che ha avuto origine circa 4 miliardi di anni fa, è stata a lungo priva degli ominidi: solo mezzo miliardo di anni fa comparvero sul nostro pianeta gli artropodi (come i ragni, gli insetti o i granchi), 200 milioni di anni fa i mammiferi e meno di 12 milioni di anni fa gli ominidi.
L’astrofisico Carl Sagan cercò di rendere più comprensibili queste scale temporali costruendo il cosiddetto calendario cosmico, riadattando cioè l’intera età dell’universo a un unico anno solare. Il primo gennaio corrisponde al Big Bang, mentre la mezzanotte del 31 dicembre è il nostro presente.
Nel calendario cosmico la Terra compare il 14 settembre e la vita su di essa solo il 2 ottobre. Dal 2 ottobre al 26 dicembre non c’è traccia di mammiferi, e i primi umani arrivano dopo il cenone di capodanno, alle 22.30 del 31 dicembre. La preistoria termina alle 23.59 e 50 secondi, e Cristoforo Colombo inizia il processo di colonizzazione delle Americhe a un secondo dalla mezzanotte. Tutto quello che viene dopo, dalla Rivoluzione Francese all’invenzione della radio, passando per il primo essere umano sulla Luna e la nascita dei computer, è compresso nell’ultimo secondo del calendario. È facile immaginare, quindi, che se un’ipotetica civiltà aliena eterna avesse mai cercato esseri viventi sulla Terra, avrebbe a lungo trovato forme di vita più semplici, e solo per un brevissimo istante una civiltà in grado di sviluppare la tecnologia necessaria a comunicare con loro.

 

Sì, ma quanti siete?

Negli anni Sessanta l’astronomo Frank Drake venne invitato a partecipare a una conferenza organizzata dall’Accademia Nazionale delle Scienze dedicata alla ricerca di forme di vita intelligenti extraterrestri. Per capire quanto fosse difficile entrare in contatto con gli alieni, Drake formulò un’equazione nella quale comparivano tutti i parametri fondamentali da conoscere: il tasso medio annuo con cui si formano nuove stelle nella via lattea R*, la frazione di stelle che possiedono pianeti p, il numero medio di pianeti in condizione di ospitare la vita e, la frazione di questi su cui si è effettivamente sviluppata la vita v, la frazione di v su cui si sono evoluti esseri intelligenti (in riferimento all’essere civilizzati e tecnologicamente sviluppati), definita i, la frazione di civiltà extraterrestri in grado di comunicare c ed L, la durata di queste civiltà evolute. Moltiplicando tutti i valori tra di loro, è possibile stimare il numero di civiltà extraterrestri presenti oggi nella Galassia, con le quali potremmo stabilire potenzialmente una comunicazione:

N = R* ∙ p ∙ e ∙ v ∙ i ∙ c ∙ L

Sui fattori R, p, e (e in parte anche v) è possibile ottenere delle stime ragionevoli. Le stelle simili al Sole si originano in dense nubi di gas e polveri, nelle quali da 1 a 5 masse solari di gas vengono trasformate in stelle. Circa il 50% delle stelle ha poi intorno a sé almeno un pianeta, mentre per ogni sistema planetario potrebbero esistere da 0,1 a 5 pianeti che presentano condizioni potenzialmente compatibili con la vita.
Determinare quanto sia probabile che la vita appaia su quei pianeti con le giuste condizioni fisico-chimiche è assai più complesso, perché conosciamo un solo sistema dove la vita si è formata, il nostro, e fare calcoli a partire da questa informazione sarebbe come cercare di capire la probabilità di vincere alla lotteria basandoci sul fatto che il biglietto acquistato da noi sia proprio quello estratto.
Quanto è probabile che sui pianeti con vita compaiano civiltà tecnologicamente avanzate, è un’altra grande incognita: basandoci sempre sull’evoluzione della vita terrestre, l’unica cosa che siamo in grado di affermare è che lo sviluppo verso esseri con queste caratteristiche ha richiesto la maggior parte della storia del nostro pianeta, suggerendo che forse questo tipo di evoluzione potrebbe essere poco comune. Infine, quanto potrebbe durare in media un civiltà extraterrestre potenzialmente in grado di comunicare con altre civiltà? Qualsiasi supposizione, in questo caso, rappresenterebbe un puro azzardo.
Nonostante sia ragionevole immaginare che la vita possa essersi evoluta anche su altri sistemi oltre al nostro, dando quindi origine ad altre civiltà aliene, la probabilità della sua esistenza oscilla, per ciò che ne sappiamo oggi, tra lo 0 e il 100%.

 

Zoologia aliena

Come dovremmo immaginare delle forme di vita nate ed evolute su pianeti con condizioni chimiche diverse dalla terra? Se al posto di abbondanti risorse d’acqua ci fossero riserve di metano o l’atmosfera fosse ricca di zolfo, esisterebbero comunque alieni con testa, braccia e gambe?
Al pari di quelle chimiche, anche le condizioni fisiche giocano un ruolo fondamentale nell’architettura naturale. Che forma avrebbero gli esseri viventi su di un pianeta, per esempio, molto più grande della Terra? La gravità di un pianeta condiziona l’altezza dei monti, lo sviluppo delle piante, la crescita degli animali. Una struttura molto più massiccia della terra eserciterebbe una gravità maggiore sulla sua superficie: camminare, quindi, richiederebbe uno sforzo più grande: la muscolatura di eventuali esseri con gambe sarebbe allora maggiormente robusta?
Nello studio dell’Universo viene poi adottata un’assunzione di base, e cioè che le leggi della fisica, scoperte sulla Terra, si applichino ovunque nello spazio. Oltre che nel campo della fisica, potrebbero esistere delle leggi universali della biologia? Così come la gravità agisce ovunque nell'Universo, esiste un principio biologico universale, indipendente dal pianeta e dal tipo di vita?
Nel libro Guida galattica per naturalisti, il biologo Arik Kershenbaum identifica nell’evoluzione darwiniana, che rappresenta sulla Terra la teoria più importante per l’evoluzione dei sistemi biologici, la legge valida in tutto l’Universo.
Se così fosse, alcune convergenze evolutive potrebbero indicarci quali caratteristiche sarebbe ragionevole aspettarsi anche su altri pianeti: occhi come i nostri, per esempio, si sono evoluti in maniera indipendente almeno sei volte, la fotosintesi circa trenta. Comprendendo i vincoli posti alla vita dalla teoria dell’evoluzione e applicandoli alle condizioni fisico-chimiche di altri pianeti, potremmo quindi unire i puntini per tentare di costruire dei veri e propri immaginari di zoologia aliena. E poiché le leggi della fisica circoscrivono un insieme limitato di possibilità, alcune caratteristiche più generali potrebbero rappresentare dei risultati evolutivi universali.

 

Gemelli indipendenti

"Movimento, comunicazione, cooperazione: questi sono risultati evolutivi che sono soluzioni a problemi universali", scrive Kershenbaum.
Per quanto la maggior parte della biomassa sulla Terra sia costituita da piante, una delle caratteristiche principali del mondo animale è il movimento: la vita ha bisogno di energia e poiché l’energia non è distribuita in modo uniforme nello spazio, alcuni esseri viventi si sono adattati in modo da poter andare alla sua ricerca, muovendosi. Sulla Terra sono state esplorate molte forme di movimento in un fluido, che sia aria o acqua, o sull’interfaccia tra un fluido e un solido, ossia sulla crosta terrestre, con il risultato di riottenere spesso le stesse strutture: così come le le gambe sono incredibilmente utili, anche il volo muscolare sembra essere efficace. Le ali, ad esempio, si sono evolute indipendentemente in molte specie, rappresentando evidentemente delle strutture molto valide per spostarsi.
Con le dovute eccezioni, poi, quasi tutti gli animali tendono ad avere una simmetria bilaterale, come risultato della pressione evolutiva per strisciare lungo il fondo del mare (condizione nella quale questa simmetria è vantaggiosa). Se su altri pianeti si fossero evolute forme di vita in una melma densa, però, questi organismi potrebbero mancare di qualsiasi simmetria.
Più in generale, comunque, non è possibile identificare con certezza quali caratteristiche siano inevitabili o prevedibili, perché nell’evoluzione un ruolo decisivo è giocato dagli eventi casuali, anche per organismi che si dovessero evolvere nello stesso ambiente. Pensiamo per esempio all'asteroide che causò la scomparsa dei dinosauri sul nostro pianeta: se ciò non fosse mai accaduto, la traiettoria evolutiva si sarebbe dipanata con buona probabilità in un’altra direzione.
Al netto del caso, però, nessun ecosistema può esistere a lungo senza che la pressione selettiva spinga qualcuno a cercare di accaparrarsi più energia facendo a pezzi qualcun altro. Predare sembra perciò essere una caratteristica universale dei sistemi biologici, rendendo molto favorevole per qualsiasi forma di vita la cooperazione. Chi coopera ha infatti una serie di vantaggi evolutivi, primo tra tutti quello di ridurre la minaccia di essere predati. Non sarebbe strano perciò immaginare di scoprire l’esistenza di alieni con strutture sociali complesse e comportamenti reciproci.

 

Sono dunque comunico

Secondo Kershenbaum la comunicazione potrebbe rappresentare una terza caratteristica naturale della vita. Sulla Terra, sia le piante che gli animali hanno sviluppato strategie diverse per scambiare informazioni: gli uccelli usano il suono per dare l'allarme, le lucciole la luce per attrarre una compagna, le piante gli ultrasuoni per comunicare una condizione di stress o gli impulsi elettrici quando vengono ferite [vedi Bibliografia].
Vista la grande varietà e la profonda difficoltà nel comprendere il linguaggio delle altre forme di vita terrestri, siano essi cetacei, api o querce, siamo sicuri di saper decifrare un eventuale segnale proveniente da una civiltà aliena, o di riuscire a costruire noi stessi un linguaggio comprensibile da chiunque ci ascolti?
Le abilità comunicative, in forma di suoni, simboli o segnali, sono strettamente legati agli ambienti specifici nei quale gli individui si sono adattati. Lo stesso si può dire per le modalità di organizzazione del pensiero, di costruzione degli schemi mentali, di percezione della realtà attorno a sé, dello spazio, del tempo. 
Come è possibile immaginare allora una comunicazione universale? Se il linguaggio della natura è, come disse Galileo Galiei, quello della matematica, forse l’unico tentativo valido potrebbe andare in quella direzione
È così che il 16 novembre 1974 dal radiotelescopio di Arecibo, a Porto Rico, è stato trasmesso un messaggio radio verso l'ammasso globulare di Ercole, a 25 mila anni luce dalla Terra. Il messaggio era composto da 1679 cifre binarie, un numero che è il prodotto di due numeri primi, 23 e 73. Chiunque lo dovesse mai ricevere, potrebbe organizzarlo in un quadrilatero solo in due modi: 23 righe per 73 colonne o viceversa. Sistemando il messaggio nella prima disposizione (23 righe, 73 colonne) si produrrebbe un disegno senza senso, mentre nel secondo modo (73 righe, 23 colonne) si formerebbe un'immagine.

arecibo message

Figura 1. Messaggio di Arecibo

Le informazioni contenute nell’immagine sono tutt’altro che facilmente interpretabili, anzi: anche una squadra di persone umane esperte in crittografia farebbe una grande fatica a decifrarne il senso. Che la matematica sia o meno il linguaggio della natura, comunque, questo tipo di segnale presuppone di tentare un dialogo con forme di vita capaci di comprendere simboli logici e matematici. Anche una megattera o un delfino, considerati tra le intelligenze più sviluppate sulla Terra, non saprebbero che farsene di un messaggio del genere.

 

Bibliografia e sitografia

Scheda docente

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