Il ritorno della stagflazione

Che cos’è? Perché ora? Conseguenze per governi, imprese e famiglie

di Flavio Delbono, 13 Aprile 2023
Stiamo assistendo alla terza crisi economica globale negli ultimi 15 anni. Il conflitto ucraino sta rallentando le economie europee, nelle quali si assiste anche a un eclatante processo inflazionistico. Aumenti dei prezzi e dei tassi di interesse stanno drasticamente modificando le prospettive di investimento delle imprese e i saldi delle finanze pubbliche, oltre a erodendo il potere d’acquisto. Possono i governi nazionali e le istituzioni europee contrastare queste tendenze, per esempio tramite il PNRR?

L’autore: Flavio Delbono è professore ordinario di Economia politica presso l'Università di Bologna. Per Mondadori Education ha pubblicato i corsi Piazza affari (2019) e Scelte sostenibili (2022).

 

Premessa

Stiamo assistendo alla terza crisi economica globale negli ultimi 15 anni. Dopo quella di origine finanziaria del 2008 e la recessione indotta dall’epidemia di Covid-19 nel 2020, il conflitto ucraino sta rallentando le economie europee, nelle quali si assiste anche a un vistoso processo inflazionistico come non si rilevava dalla crisi petrolifera degli anni Settanta del secolo scorso. Inflazione e prospettive di crescita pressoché nulla o, peggio, stagnazione: stagflazione, appunto.

 

L’impennata inflazionistica in Italia nel 2022 (proposta per un’attività)

Nel 2022 l’inflazione italiana, almeno quella che interessa i consumatori, è stata superiore al 8%.

Un’interessante attività da svolgere per prendere attivamente contatto con questo fenomeno consiste nell’utilizzo del sito Rivaluta (rivaluta.istat.it): un servizio gratuito erogato dall’Istat per il calcolo delle variazioni percentuali degli indici dei prezzi. L’indice più utilizzato a tale scopo è il cosiddetto Foi, che misura i prezzi finali di un paniere di beni e servizi rappresentativi dei consumi delle Famiglie di Operai e Impiegati (vedi l’evoluzione del paniere nel tempo a pag. 393 del corso di Economia politica per il secondo biennio Scelte sostenibili, F. Delbono e L. Spallanzani, Mondadori, 2022).

Ad esempio, Rivaluta ci consente di trasformare il valore di 1000 lire nel dicembre 2001 (mese che precede l’introduzione dell’euro) nel corrispondente valore (in lire e in euro) a dicembre 2021: in 20 anni 1000 lire sono diventate 1346 lire, corrispondenti a 0,70 euro.

Questo confronto fornisce un termine di paragone per cogliere le proporzioni dell’impennata inflazionistica registrata nel 2022. Circa l’8% in un anno significa oltre quattro volte il tasso medio annuo (1,73%) rilevato nel ventennio precedente.

 

La ripresa economica dopo la pandemia di Covid-19

Fasi di stagflazione non sono frequenti nelle economie occidentali, almeno in periodi di pace. Gli aumenti dei prezzi solitamente accompagnano fasi economiche espansive. In effetti, i prezzi avevano cominciato a salire nel 2021, non solo in Italia, grazie alla ripresa economica successiva alla fase acuta della pandemia di Covid-19.

Ripresa che in Italia, dopo il crollo di quasi il 9% nel Pil del 2020, è stata misurata da un incremento del 6,6% (entrambe le variazioni del Pil sono ovviamente espresse in termini reali, ovvero depurate dalla concomitante variazione dei prezzi). Gli importanti interventi pubblici di sostegno ai redditi delle famiglie, la fine del lockdown e la ripresa delle attività produttive, hanno comportato un aumento della domanda sia interna sia estera che, non trovando rapidamente un commisurato incremento dell’offerta, ha provocato aumenti dei prezzi.

 

Le conseguenze della guerra in Ucraina sull’economia

All’inizio del 2022, con l’invasione russa dell’Ucraina, il quadro macroeconomico internazionale si è rapidamente deteriorato. Vediamo perché e come, a distanza di circa un anno dallo scoppio del conflitto.

L’invasione russa ha prima di tutto ridotto drasticamente le capacità di produzione ed esportazione dell’economia ucraina, con conseguente scarsità di prodotti alimentari, cereali in testa, sui mercati europei. Le sanzioni nei confronti della Russia, d’altra parte, hanno spesso preso la forma di embargo totale, ovvero di divieto di intrattenere rapporti commerciali con questo Paese. Questa chiusura nella variegata gamma di prodotti importati ed esportati ha inevitabilmente comportato contraccolpi sui produttori di beni di lusso o altamente tecnologici precedentemente destinati al mercato russo. Soprattutto, però, non si è fatta attendere la ritorsione sui mercati delle fonti energetiche, gas e petrolio, che vedevano i Paesi europei fortemente dipendenti dalle importazioni russe. Oltre alle conseguenze drammatiche sulle industrie più energivore (in Italia, ad esempio, quelle siderurgiche e delle ceramiche), nel 2022 le famiglie italiane hanno speso oltre il 60% in più per il gas e circa il doppio per l’energia elettrica rispetto all’anno precedente. Per tacere dei prezzi dei carburanti.

 

L’esito economico del conflitto: la stagnazione

Possiamo quindi sostenere che non si tratta di un conflitto mondiale, come poteva dirsi per le due guerre principali del secolo scorso, bensì di un conflitto globale, in quanto le sue conseguenze si estendono ben oltre i confini degli Stati contendenti. Innescata da uno shock violento che ha colpito l’offerta di fonti energetiche, l’aumento dei prezzi di queste ultime, che rappresentano input primari per la produzione di beni e servizi, ha originato il processo inflazionistico che sta coinvolgendo tutte le principali economie occidentali, inclusa quella degli Usa.

La riduzione dei consumi da parte delle famiglie, il cui potere d’acquisto viene eroso dall’inflazione, accompagnato dalla riduzione di produzione delle imprese che sperimentano incrementi di costo spesso insostenibili, hanno smorzato la ripresa post-Covid spingendo i principali Paesi europei verso un circolo vizioso con prevedibili e previsti esiti recessivi. Esiti che, se duraturi, evolvono in uno stato di ristagno che chiamiamo stagnazione.

 

Gli interventi delle banche centrali per contrastare le crisi

Per domare l’inflazione tutte le principali banche centrali, in primis la Bce (che, ricordiamolo, persegue come obiettivo statutario la stabilità dei prezzi attorno a un tasso di incremento annuo del 2%), hanno abbandonato le politiche espansive intraprese durante la pandemia (come il Quantitative Easing) e alzato i tassi di interesse. Ovviamente, se da una parte queste misure frenano la domanda rendendo più oneroso l’accesso al credito, e dunque limitano l’inflazione da domanda, dall’altra deprimono ulteriormente la spesa privata e dunque la produzione, l’occupazione, i consumi. Quello percorribile dalle banche centrali è il tipico sentiero delle fasi stagflattive; un sentiero reso stretto da due obiettivi contrastanti: contenere l’inflazione e non deprimere la crescita.

Riusciranno poi la Bce e i governi a sostenere ancora la stabilità dei mercati finanziari e dei bilanci degli Stati nell’eurozona? Anche se il Patto di Stabilità e Crescita che vincola i Paesi dell’Eurozona è stato sospeso nel 2020 a tempo indeterminato, i mercati finanziari sfidano quotidianamente l’affidabilità delle obbligazioni emesse dagli Stati, specie da quelli più indebitati come il nostro. Quindi, a prescindere dalle regole di Bruxelles, la necessità di (ri)finanziare un crescente debito pubblico impone di tenere sotto controllo lo spread e il relativo sevizio del debito. Un debito pubblico in calo rispetto al Pil non per una maggiore disciplina fiscale, ma semplicemente perché l’inflazione ha gonfiato il denominatore del rapporto debito pubblico/Pil più di quanto il disavanzo del 2022 abbia incrementato il numeratore.

Possono i governi nazionali e le istituzioni europee contrastare queste tendenze, ad esempio tramite il Pnrr (Piano nazionale di ripresa e resilienza)? Sì, se la sua attuazione sarà rapida e coerente con gli obiettivi assegnati alle politiche che lo devono realizzare. Senza scordare, però, che le riforme più incisive (spesso evocate da una locuzione ormai abusata come “riforme strutturali”) – si tratti della scuola o della ricerca scientifica, della giustizia o della mobilità – dispiegano i loro effetti soltanto nel medio-lungo termine.

 

L’aumento di criticità e disuguaglianze

Aumenti dei prezzi e dei tassi di interesse stanno peggiorando le prospettive di investimento di molte imprese, così come i saldi delle finanze pubbliche, talvolta intossicati da interventi costosissimi come nel nostro Paese il cosiddetto superbonus per le ristrutturazioni edilizie. L’inflazione sta inoltre erodendo il potere d’acquisto, specie quello dei percettori di redditi fissi (lavoratori dipendenti e pensionati). Il minor potere di acquisto di questi ultimi - che peraltro contribuiscono per oltre l’80% del gettito Irpef, la principale entrata tributaria nazionale - non può che esacerbare le crescenti diseguaglianze di reddito e di ricchezza nel nostro Paese, come rilevato da numerose indagini statistiche. Queste diseguaglianze (tra territori, di genere, anagrafiche, di prospettive) hanno spinto molte famiglie sotto la soglia di povertà.

La questione fiscale nel nostro Paese richiede una forte attenzione: il sistema di welfare è sempre più oneroso, quanto meno a causa delle tendenze demografiche, e la spesa pubblica è inevitabilmente destinata ad aumentare per finanziare servizi come la sanità e l’assistenza. È dunque essenziale porre in primo piano l’attenzione al reperimento delle risorse necessarie, evitando quanto più possibile il ricorso all’indebitamento, che scarica sulle giovani generazioni l’onere di finanziare in futuro una porzione della nostra spesa pubblica attuale.

È quindi fondamentale, per garantire un principio di giustizia distributiva tra generazioni, che venga svolta una funzione educativa, non solo istruttiva, in materia fiscale. Si tratta infatti di un tassello fondamentale di quella un tempo identificata come “educazione civica”. La complessa e mutevole trama di relazioni economicamente rilevanti in cui si articola lo scambio tra cittadini e Stato è infatti storicamente decisiva nel funzionamento di una comunità, oltre che un elemento differenziale tra buone democrazie e altre forme di governo (vedi i primi capitoli del corso di Economia politica per il quinto anno Scelte sostenibili, F. Delbono e L. Spallanzani, Mondadori, 2022).

 

Conclusioni

Le tre profonde crisi degli ultimi 15 anni, inclusa quella purtroppo ancora in corso, stanno ridisegnando il quadro geopolitico ed economico mondiale. Il bipolarismo Usa-Urss della guerra fredda sembrava crollato col muro di Berlino nel 1989, ma i tragici eventi recenti mostrano che così non è. Nuovi sfidanti, a partire dalla Cina, hanno occupato la scena, prima nel commercio mondiale e ormai anche nello scacchiere politico e militare planetario.

E l’Europa? Prima area commerciale del mondo in termini di Pil e forte di oltre 450 milioni di consumatori mediamente “benestanti”, continua a rivestire un ruolo marginale nella geopolitica del terzo millennio. Divisa al suo interno e dunque ondivaga verso l’esterno e priva di infrastrutture istituzionali comuni e rapide. Dalla difesa alle politiche migratorie, dalle scelte energetiche (si pensi al nucleare) al contrasto alla pirateria fiscale delle grandi multinazionali del web, numerosi contesti richiederebbero decisioni condivise e incorporate tempestivamente nelle legislazioni nazionali: lodevole in tal senso è il Pnrr, ma per l’Unione europea, con un bilancio di poco superiore all’1% del suo Pil, risulta difficile porsi margini adeguati e traguardi ambizioni.

Anche su questo terreno la formazione di cittadini responsabili richiederebbe un immenso sforzo educativo da parte di coloro che, a vario titolo, sono chiamati, o vocati, a svolgere tale funzione.

 

Filmato didattico