Il frutto avvelenato. Il vincolo europeo e la critica all’Europa

Gli obiettivi


Sin dalla loro fondazione avvenuta negli anni Cinquanta, ampi settori della classe dirigente italiana videro nelle Comunità Europee un «vincolo» utile a disciplinare un Paese incapace di governarsi da solo. Il vincolo europeo può quindi essere considerato un elemento fondativo (insieme ad altri, naturalmente) del nostro europeismo. Esso è comunque rimasto a lungo marginale nel dibattito pubblico sull’Europa. È stato il trattato di Maastricht, con l’enfasi posta sui criteri da rispettare per entrare nell’Unione economica e monetaria, a trasformarlo in tema chiave della narrazione pubblica sull’Europa. Sottesa al vincolo europeo, però, è l’idea che l’Europa sia «altro da noi». Il frutto avvelenato si è rivelato con l’ondata euroscettica suscitata dalle recenti crisi economiche e finanziarie e con le difficoltà incontrate dall’UE nel difendere le economie dei suoi Stati. La presunta alterità di Bruxelles ha fornito agli antieuropeisti un argomento per reclamare il recupero della sovranità nazionale. La lezione ripercorrerà l’evoluzione storica della nozione di vincolo europeo e il processo che ha condotto alla sua metamorfosi in contro-narrazione euroscettica.

Si parlerà di:

  • L’europeismo culla dell’antieuropeismo. La prima parte della lezione metterà in luce il rapporto che esiste tra l’europeismo e il suo opposto. In effetti, per trovare le origini e lo sviluppo dell’euroscetticismo italiano, prima ancora che nell’antieuropeismo ideologico o in quelli che un tempo erano tutto sommato poco influenti ambienti nazionalisti, è necessario cercare nell’europeismo nostrano, nei suoi limiti e nelle sue incongruenze. 

  • Tra tecnocrazia e politica: le origini del vincolo europeo. Generalmente, il vincolo europeo è considerato un concetto di conio tecnocratico, forgiato in particolare dagli ambienti della Banca d’Italia. La partecipazione alla CEE sarebbe servita a ‘imbrigliare’ una classe politica incapace di governare il Paese, obbligandola a aderire alle regole europee. In realtà, sin dagli anni Cinquanta molti esponenti politici, spesso di primo piano, contribuirono all’elaborazione e all’applicazione del vincolo europeo. 

  • Il vincolo europeo alla prova: la congiuntura economica del 1963-1964 e i primi progetti di integrazione monetaria. Fino alla nascita dell’Unione Europea nel 1992, il vincolo europeo è rimasto un concetto abbastanza periferico nel dibattito pubblico sulla partecipazione dell’Italia alla CEE. Vi sono nondimeno alcune eccezioni rilevanti, come la crisi economica del 1963-1964 e il confronto politico sulla partecipazione dell’Italia ai primi progetti di integrazione monetaria avanzati negli anni Settanta del secolo scorso. 

  • Il trattato di Maastricht e la trasformazione del vincolo europeo in «narrazione europeista». Il trattato di Maastricht, con la sua enfasi sulla disciplina di bilancio e sui rigidi criteri da rispettare per entrare nella zona euro, ha favorito l’idea dell’Europa come fonte di disciplina per l’Italia. Il vincolo diventa l’interpretazione prevalente del nostro rapporto con l’UE. Quest’ultima può così dispiegare pienamente la funzione pedagogica ed ortopedica attribuitale dalla classe dirigente, ovvero può i) insegnare agli italiani cosa fare e ii) correggere i loro difetti. 

  • Da narrazione a contro-narrazione: il vincolo e l’Europa «altro da noi». Il vincolo europeo ha abituato gli italiani alla alterità dell’Europa, portato inevitabile di una concezione che, affermando l’inettitudine degli italiani a governarsi da soli, ne enfatizza la diversità e quindi la separatezza rispetto agli altri popoli europei. Questa implicazione si trasforma in un corto circuito dannoso per le fortune dell’europeismo quando le istituzioni comuni entrano in crisi e non riescono a concretizzare le aspettative di crescita, benessere e stabilità che sono state loro associate. L’alterità dell’Europa, presupposto logico della sua funzione educatrice e pedagogica, si trasforma in estraneazione – viatico alla tematizzazione della nostra partecipazione all’Unione come dannosa per gli interessi nazionali



Relatore


Daniele Pasquinucci è professore ordinario di Storia delle relazioni internazionali e Cattedra Jean Monnet in Storia dell’integrazione europea nel Dipartimento di Scienze sociali, politiche e cognitive dell’Università di Siena. Dal 2021 è membro del Consiglio direttivo della Società italiana di Storia internazionale. Tra le sue pubblicazioni più recenti vi sono la curatela, con Mark Gilbert, del volume Euroscepticisms. The Historical Roots of a Political Challenge (Boston-Leiden, Brill, 2020) e la monografia ll frutto avvelenato. Il vincolo europeo e la critica all’Europa (Milano-Firenze, Mondadori-Le Monnier, 2022).

 

Moderatore


Duccio Canestri, Docente e consulente editoriale, Mondadori Education.

 

Dal nostro Catalogo

IL FRUTTO AVVELENATO

Daniele Pasquinucci


Le ragioni che negli anni Cinquanta spinsero l’Italia a aderire alla Comunità Europea sono riassumibili nella volontà di partecipare a un processo volto a promuovere pace, sviluppo e modernizzazione. Ma sin da allora ampi settori della classe dirigente videro nella Comunità un attore esterno necessario per disciplinare un Paese incapace di governarsi da solo. La nozione di vincolo europeo, comunque, è rimasta a lungo sottotraccia. È stato il trattato di Maastricht, con l’enfasi posta sui criteri da rispettare per entrare nell’euro, a farne un tema chiave della narrazione pubblica sull’Europa. Sottesa al vincolo europeo, però, è l’idea che l’Europa sia ‘altro da noi’. Il frutto avvelenato si è rivelato con l’ondata euroscettica suscitata dalle recenti crisi economiche e finanziarie e dalle difficoltà incontrate dall’UE nel difendere le economie dei suoi Stati. La presunta alterità di Bruxelles ha fornito agli antieuropeisti un argomento per reclamare il recupero della sovranità nazionale. Una narrazione europeista si è trasformata in contro-narrazione euroscettica.
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