
27 gennaio. La giornata della memoria
Ricordare la Shoah e le persecuzioni razziali e politiche avvenute durante la Seconda guerra mondiale. Una data del calendario civile istituzionalizzata nel 2000: un lungo percorso, quale futuro?
La data, l’evento
«La prima pattuglia russa giunse in vista del campo verso il mezzogiorno del 27 gennaio 1945. […] Erano quattro giovani soldati a cavallo, che procedevano guardinghi, coi mitragliatori imbracciati, lungo la strada che limitava il campo. Quando giunsero ai reticolati, sostarono a guardare, scambiandosi parole brevi e timide, e volgendo sguardi legati da uno strano imbarazzo sui cadaveri scomposti, sulle baracche sconquassate, e su noi pochi vivi.
A noi parevano mirabilmente corporei e reali, sospesi (la strada era più alta del campo) sui loro enormi cavalli, fra il grigio della neve e il grigio del cielo, immobili sotto le folate di vento umido minaccioso di disgelo […] quattro uomini armati, ma non armati contro di noi; quattro messaggeri di pace, dai visi rozzi e puerili sotto i pesanti caschi di pelo.
Non salutavano, non sorridevano; apparivano oppressi, oltre che da pietà, da un confuso ritegno, che sigillava le loro bocche, e avvinceva i loro occhi allo scenario funereo. Era la stessa vergogna a noi ben nota, quella che ci sommergeva dopo le selezioni, ed ogni volta che ci toccava assistere o sottostare a un oltraggio: la vergogna che i tedeschi non conobbero, quella che il giusto prova davanti alla colpa commessa da altrui, e gli rimorde che esista, che sia stata introdotta irrevocabilmente nel mondo delle cose che esistono, e che la sua volontà buona sia stata nulla o scarsa, e non abbia valso a difesa».
Così Primo Levi, nella Tregua (1963), il suo libro sul «ritorno» (alla vita e in Italia), rievocava l’arrivo dei soldati dell’Armata Rossa sovietica, che il 27 gennaio 1945 raggiunsero e liberarono il campo, o meglio «il distretto di Auschwitz», la rete di campi di concentramento e di sterminio di Auschwitz-Birkenau costruita dai nazisti intorno alla cittadina di Oświęcim (questo il nome polacco della località), dove si consumò l’assassinio di oltre un milione di uomini, donne e bambini. I nazisti si erano ritirati una decina di giorni prima, portando con sé, verso occidente, tutti i prigionieri e le prigioniere in grado di camminare: furono «marce della morte», un altro tassello della macchina dello sterminio; molti e molte di coloro che avevano resistito ad Auschwitz, morirono in cammino. Il 27 gennaio di ogni anno, conviene ricordare che in quel giorno del 1945 lo sterminio stava continuando, così come la guerra.
A noi parevano mirabilmente corporei e reali, sospesi (la strada era più alta del campo) sui loro enormi cavalli, fra il grigio della neve e il grigio del cielo, immobili sotto le folate di vento umido minaccioso di disgelo […] quattro uomini armati, ma non armati contro di noi; quattro messaggeri di pace, dai visi rozzi e puerili sotto i pesanti caschi di pelo.
Non salutavano, non sorridevano; apparivano oppressi, oltre che da pietà, da un confuso ritegno, che sigillava le loro bocche, e avvinceva i loro occhi allo scenario funereo. Era la stessa vergogna a noi ben nota, quella che ci sommergeva dopo le selezioni, ed ogni volta che ci toccava assistere o sottostare a un oltraggio: la vergogna che i tedeschi non conobbero, quella che il giusto prova davanti alla colpa commessa da altrui, e gli rimorde che esista, che sia stata introdotta irrevocabilmente nel mondo delle cose che esistono, e che la sua volontà buona sia stata nulla o scarsa, e non abbia valso a difesa».
Così Primo Levi, nella Tregua (1963), il suo libro sul «ritorno» (alla vita e in Italia), rievocava l’arrivo dei soldati dell’Armata Rossa sovietica, che il 27 gennaio 1945 raggiunsero e liberarono il campo, o meglio «il distretto di Auschwitz», la rete di campi di concentramento e di sterminio di Auschwitz-Birkenau costruita dai nazisti intorno alla cittadina di Oświęcim (questo il nome polacco della località), dove si consumò l’assassinio di oltre un milione di uomini, donne e bambini. I nazisti si erano ritirati una decina di giorni prima, portando con sé, verso occidente, tutti i prigionieri e le prigioniere in grado di camminare: furono «marce della morte», un altro tassello della macchina dello sterminio; molti e molte di coloro che avevano resistito ad Auschwitz, morirono in cammino. Il 27 gennaio di ogni anno, conviene ricordare che in quel giorno del 1945 lo sterminio stava continuando, così come la guerra.
Nel calendario civile italiano
Con una legge approvata il 20 luglio 2000, la Repubblica italiana ha riconosciuto il 27 gennaio «giorno della memoria … al fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subito la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati» (così l’articolo 1 della legge). Il secondo e ultimo articolo prevede che nel «giorno della memoria» siano «organizzati cerimonie, iniziative, incontri e momenti comuni di narrazione dei fatti e di riflessione, in modo particolare nelle scuole di ogni ordine e grado, su quanto è accaduto al popolo ebraico e ai deportati militari e politici italiani nei campi nazisti in modo da conservare nel futuro dell’Italia la memoria di un tragico ed oscuro periodo della storia nel nostro Paese e in Europa, e affinché simili eventi non possano mai più accadere».
La scelta del 27 gennaio come «giorno della memoria» fu oggetto di discussione. Se per certi aspetti proprio la presenza ad Auschwitz, e la testimonianza, di Primo Levi (ormai assurto al ruolo di testimone per eccellenza) la legittimava, alcuni sostenevano che consacrare alla memoria il giorno della liberazione di Auschwitz cancellasse la specifica dimensione nazionale, e pertanto le responsabilità dello Stato italiano, del fascismo, degli italiani e delle italiane in generale. Per questo furono proposte date alternative: per esempio la promulgazione delle leggi razziste (i «Provvedimenti per la difesa della razza italiana» del 17 novembre 1938, peraltro già preceduti da altri decreti, a cominciare proprio dai «Provvedimenti per la difesa della razza nella scuola fascista», 5 settembre 1938); oppure il rastrellamento del ghetto di Roma (16 ottobre 1943). Non mancarono le polemiche sul fatto che nel testo di legge non compariva mai la parola «fascismo», né – di conseguenza – l’antifascismo: dimensioni evocate con reticenza parlando dei «giusti» di «campi e schieramenti diversi». Di fatto, uno sterminio che, nel testo di legge, restava senza mandanti né responsabili. Solo nell’articolo 2 si parla di «campi nazisti», allargando la commemorazione ai deportati politici (ovvero antinazifascisti) e agli internati militari. Nel corso del tempo, la prassi ha colmato altre lacune: per esempio lo sterminio dei rom e la persecuzione degli omosessuali sono entrate di fatto nel programma ufficiale del «giorno della memoria».
Questa vicenda, se non altro, ci avvisa che qualsiasi atto di memoria contiene anche un atto di oblio, che un calendario civile è il frutto di accurate selezioni, che la memoria è modellata nel presente, è un modo di essere nel presente e, caso mai, un orientamento per immaginare un futuro.
La scelta del 27 gennaio come «giorno della memoria» fu oggetto di discussione. Se per certi aspetti proprio la presenza ad Auschwitz, e la testimonianza, di Primo Levi (ormai assurto al ruolo di testimone per eccellenza) la legittimava, alcuni sostenevano che consacrare alla memoria il giorno della liberazione di Auschwitz cancellasse la specifica dimensione nazionale, e pertanto le responsabilità dello Stato italiano, del fascismo, degli italiani e delle italiane in generale. Per questo furono proposte date alternative: per esempio la promulgazione delle leggi razziste (i «Provvedimenti per la difesa della razza italiana» del 17 novembre 1938, peraltro già preceduti da altri decreti, a cominciare proprio dai «Provvedimenti per la difesa della razza nella scuola fascista», 5 settembre 1938); oppure il rastrellamento del ghetto di Roma (16 ottobre 1943). Non mancarono le polemiche sul fatto che nel testo di legge non compariva mai la parola «fascismo», né – di conseguenza – l’antifascismo: dimensioni evocate con reticenza parlando dei «giusti» di «campi e schieramenti diversi». Di fatto, uno sterminio che, nel testo di legge, restava senza mandanti né responsabili. Solo nell’articolo 2 si parla di «campi nazisti», allargando la commemorazione ai deportati politici (ovvero antinazifascisti) e agli internati militari. Nel corso del tempo, la prassi ha colmato altre lacune: per esempio lo sterminio dei rom e la persecuzione degli omosessuali sono entrate di fatto nel programma ufficiale del «giorno della memoria».
Questa vicenda, se non altro, ci avvisa che qualsiasi atto di memoria contiene anche un atto di oblio, che un calendario civile è il frutto di accurate selezioni, che la memoria è modellata nel presente, è un modo di essere nel presente e, caso mai, un orientamento per immaginare un futuro.
Nel calendario civile internazionale
Nell’ottobre 2002, i Ministri dell’Istruzione di tutti i Paesi membri del Consiglio d’Europa (un’organizzazione per i diritti umani indipendente dall’Unione Europea, e con un numero maggiore di Stati aderenti) concordarono l’istituzione di una giornata della memoria della Shoah e della prevenzione dei crimini contro l’umanità. Francia e Germania scelsero di fissare questa giornata il 27 gennaio, mentre altri Paesi l’hanno stabilita in altre date, ritenute più coerenti con le esperienze nazionali. Anche la Francia, peraltro, si era già dotata di una legge sulla memoria, stabilendo la «giornata nazionale in memoria delle vittime dei crimini razzisti e antisemiti dello Stato francese e in omaggio ai “Giusti” di Francia» il 16 luglio (anniversario della grande deportazione di ebrei da Parigi nota come «il rastrellamento del Vel d’Hiv», avvenuta il 16-17 luglio 1942). La denominazione ufficiale del 27 gennaio in Francia è «giornata della memoria dei genocidi e della prevenzione dei crimini contro l’umanità» e si collega ad altri due appuntamenti, in aprile, quando si commemorano il genocidio dei Tutsi in Ruanda del 1994 (7 aprile) e il genocidio degli armeni del 1915 (24 aprile).
Nel novembre 2005, la risoluzione 60/7 dell’Assembla Generale delle Nazioni Unite ha iscritto definitivamente il 27 gennaio nel calendario internazionale come «Giornata Mondiale di Commemorazione in Memoria delle Vittime dell’Olocausto».
Date e denominazioni che aprono la possibilità di ricordare e di studiare in modi diversi.
Nel novembre 2005, la risoluzione 60/7 dell’Assembla Generale delle Nazioni Unite ha iscritto definitivamente il 27 gennaio nel calendario internazionale come «Giornata Mondiale di Commemorazione in Memoria delle Vittime dell’Olocausto».
Date e denominazioni che aprono la possibilità di ricordare e di studiare in modi diversi.
Prima del calendario
La volontà di tornare per raccontare, il timore di non essere ascoltati, di non essere creduti: è una questione ricorrente nelle testimonianze dei sopravvissuti e delle sopravvissute; tema cruciale anche per Primo Levi, che mise in esergo a Se questo un uomo una riscrittura della preghiera Shemà, trasformata in intimazione ad ascoltare, e a meditare.
Il racconto e la memoria della persecuzione e dello sterminio hanno una storia lunga e complessa, che si è intrecciata con il percorso fatto dalla storiografia sulla Shoah, e a sua volta è diventata oggetto di storiografia. Qui, parlando di calendario civile, sottolineiamo solo un aspetto: prima di diventare legge dello Stato, per molto tempo il racconto e l’ascolto dei testimoni sono stati atti di Resistenza – resistenza a un progetto di annientamento che conteneva in sé anche l’oblio, l’occultamento delle vittime e delle tracce dello sterminio. Sono state altrettante tappe di un calendario civile costruito in primo luogo dal basso, non dall’alto: memorie di gruppi ristretti che si scontravano contro reticenze e silenzi, e, raccontando, dovevano farci i conti (documenti 1 e 2).
Il racconto e la memoria della persecuzione e dello sterminio hanno una storia lunga e complessa, che si è intrecciata con il percorso fatto dalla storiografia sulla Shoah, e a sua volta è diventata oggetto di storiografia. Qui, parlando di calendario civile, sottolineiamo solo un aspetto: prima di diventare legge dello Stato, per molto tempo il racconto e l’ascolto dei testimoni sono stati atti di Resistenza – resistenza a un progetto di annientamento che conteneva in sé anche l’oblio, l’occultamento delle vittime e delle tracce dello sterminio. Sono state altrettante tappe di un calendario civile costruito in primo luogo dal basso, non dall’alto: memorie di gruppi ristretti che si scontravano contro reticenze e silenzi, e, raccontando, dovevano farci i conti (documenti 1 e 2).
«Perché non accada mai più»
Che cosa e chi ricordare è una questione che non lascia spazio a dubbi. È più problematico capire perché e soprattutto per chi e per quale futuro. È questo il cuore di ricorrenti discussioni pubbliche. In occasione del giorno della memoria del 2024, Stefano Levi Della Torre ha chiarito il significato della risposta, diventata giustamente rituale, alla domanda «perché ricordiamo la Shoah?»: «perché non accada mai più», sapendo che «è successo, e quindi può succedere di nuovo», formula che si può declinare nella forma attiva «abbiamo lasciato che succedesse, e quindi possiamo farlo di nuovo». Commemorare lo sterminio degli ebrei non significa unicamente incrementare la nostra conoscenza e la nostra consapevolezza (a livello storico, storiografico e civile) di un evento inaudito e incommensurabile come la Shoah, ma anche attivare la sua memoria perché nulla di simile accada mai più: «la memoria della Shoà è intesa come un avvertimento per conto di un’umanità in prospettiva liberata, e perciò chiamata a impegnarsi a che nessuna sua parte venga disumanizzata, oppressa o soppressa» (Levi Della Torre, La memoria della Shoah).
Si tratta di un avvertimento che già risuona nella Shemà che Primo Levi scrisse nel 1946, e torna in tanti punti della sua opera: nello sterminio, vedere l’umanità, intera, in ogni uomo «che non conosce pace / che muore per un sì o per un no», e in ogni donna «senza capelli e senza nome».
Fuori da una dimensione retorica e sacralizzata, il 27 gennaio invita a formulare, a partire da contesti specifici, delle domande generali, dalla portata universale, che riguardano il funzionamento delle società, della politica, dell’animo umano. È opportuno tenerlo a mente tanto più oggi, nel momento in cui torniamo a vivere tempi di crisi della democrazia e di guerra che rimandano a quelli che, a partire dagli anni Trenta, resero possibile pensare, e tentare di realizzare, un genocidio.
Si tratta di un avvertimento che già risuona nella Shemà che Primo Levi scrisse nel 1946, e torna in tanti punti della sua opera: nello sterminio, vedere l’umanità, intera, in ogni uomo «che non conosce pace / che muore per un sì o per un no», e in ogni donna «senza capelli e senza nome».
Fuori da una dimensione retorica e sacralizzata, il 27 gennaio invita a formulare, a partire da contesti specifici, delle domande generali, dalla portata universale, che riguardano il funzionamento delle società, della politica, dell’animo umano. È opportuno tenerlo a mente tanto più oggi, nel momento in cui torniamo a vivere tempi di crisi della democrazia e di guerra che rimandano a quelli che, a partire dagli anni Trenta, resero possibile pensare, e tentare di realizzare, un genocidio.
Bibliografia essenziale
I libri di Primo Levi citati nel testo si trovano facilmente in molte edizioni, e ora sono compresi nel primo volume delle Opere complete, a cura di Marco Belpoliti, Einaudi, Torino 2016 (che contiene anche il testo della prima edizione di Se questo è un uomo, del 1947). Si segnala anche l’edizione di Se questo è un uomo allestita dal Centro internazionale di studi Primo Levi commentata da Alberto Cavaglion (Einaudi, Torino 2012); Cavaglion ha poi ripreso e ampliato questo apparato per il suo volume Primo Levi: guida a Se questo è un uomo, Carocci, Roma 2020.
Su Primo Levi testimone-ricercatore, si veda Primo Levi, Così fu Auschwitz. Testimonianze 1945-1986, con Leonardo De Benedetti, a cura di Fabio Levi, Domenico Scarpa, Einaudi, Torino 2015.
Per la storia della ricezione della Shoah nella cultura italiana, si veda lo studio di Robert S.C. Gordon, Scolpitelo nei cuori. L’Olocausto nella cultura italiana (1944-2010), trad. di Giuliana Maria Olivero, Bollati Boringhieri, Torino 2013. Si può affiancarvi anche il libro di Manuela Consonni, L’eclisse dell’antifascismo. Resistenza, questione ebraica e cultura politica in Italia dal 1943 al 1989, Laterza, Roma-Bari 2015.
Per riflessioni critiche sulle politiche della memoria e consigli per nuove forme e strumenti utili per conoscere, tramandare e attivare il passato, si veda di Alberto Cavaglion, Decontaminare le memorie. Luoghi, libri, sogni, Add Editore, Torino 2021.
Nel testo è citato l’articolo di Stefano Levi Della Torre, La memoria della Shoà: due posizioni in conflitto, 9 febbraio 2024, disponibile online sul sito della Società Psicoanalitica Italiana. Disponibili online gli interventi di Levi Della Torre sul sito della rivista “Una Città”; si rimanda in particolare a Piccolo dizionario delle parole chiave (nella situazione attuale).
Su Primo Levi testimone-ricercatore, si veda Primo Levi, Così fu Auschwitz. Testimonianze 1945-1986, con Leonardo De Benedetti, a cura di Fabio Levi, Domenico Scarpa, Einaudi, Torino 2015.
Per la storia della ricezione della Shoah nella cultura italiana, si veda lo studio di Robert S.C. Gordon, Scolpitelo nei cuori. L’Olocausto nella cultura italiana (1944-2010), trad. di Giuliana Maria Olivero, Bollati Boringhieri, Torino 2013. Si può affiancarvi anche il libro di Manuela Consonni, L’eclisse dell’antifascismo. Resistenza, questione ebraica e cultura politica in Italia dal 1943 al 1989, Laterza, Roma-Bari 2015.
Per riflessioni critiche sulle politiche della memoria e consigli per nuove forme e strumenti utili per conoscere, tramandare e attivare il passato, si veda di Alberto Cavaglion, Decontaminare le memorie. Luoghi, libri, sogni, Add Editore, Torino 2021.
Nel testo è citato l’articolo di Stefano Levi Della Torre, La memoria della Shoà: due posizioni in conflitto, 9 febbraio 2024, disponibile online sul sito della Società Psicoanalitica Italiana. Disponibili online gli interventi di Levi Della Torre sul sito della rivista “Una Città”; si rimanda in particolare a Piccolo dizionario delle parole chiave (nella situazione attuale).